Presentiamo in questo opuscolo, in stretta successione cronologica, alcuni articoli sulla
questione del neofascismo apparsi sulla nostra stampa di partito (“Battaglia Comunista”, poi, dal ‘52,
“Programma Comunista”). Essi coprono un arco di tempo che va dal 1950, allorquando il “risorgente
pericolo fascista” fu segnalato anche dai partiti di sinistra (che pur gli avevano aperto le porte a suon
di amnistia, pacificazione nazionale, disarmo morale e materiale del proletariato...), ma solo in
previsione della minaccia elettorale costituita dal neonato MSI, per arrivare al presente, con la sua
effettiva recrudescenza di azioni squadriste, più o meno legalmente coperte e certamente finanziate da
forze “legali”, che lo Sato borghese utilizza in perfetta simbiosi con i metodi di rincretinimento
democratico e magari “antifascista” (vedete la commovente unità d’intenti con cui i partiti di tutto
l’“arco costituzionale”, indistintamente, i sindacati e il governo condannano le violenze “da
qualunque parte provengano”!).
Gli articoli qui raccolti, pur nella loro frammentarietà, potranno servire al militante
rivoluzionario da motivo di riflessione su alcuni punti nodali del problema: che deve intendersi per
fascismo?, che correlazione c’è tra vecchio e nuovo fascismo?, quali rapporti intercorrono, ai fini
della prospettiva rivoluzionaria, tra antifascismo democratico-borghese e fascismo? Ed ancora: posto
che la sacrosanta indignazione e la lotta non a parole contro il fascismo costituiscono un compito
sentito come permanente ed indilazionabile dalla classe operaia, attraverso quali mezzi può e deve
attuarsi tale lotta per raggiungere i suoi fini? Qual’è il posto del partito di classe in quest’azione?
Per comprendere esattamente le posizioni della sinistra marxista di fronte al problema
“attuale” del neofascismo, occorre tener costantemente presenti i punti di principio da essa difesi sulla
questione del fascismo in generale (e, in particolare, del “mussolinismo”) nel primo dopoguerra. Ci
limitiamo qui a rimandare in nota a quanto apparso, in materia, sulla nostra stampa, ma, per necessità
di un primo inquadramento, almeno, del problema, vediamo di riassumerne i tratti essenziali. Le
nostre tesi si sono sempre scontrate con la vana pretesa di presentare il fascismo come movimento
indipendente dei ceti medi, della piccola e media borghesia; oppure peggio! quale organo di
tutela di pretesi ceti reazionari (i cosiddetti “ceti feudali”: in un paese a pieno capitalismo ed in epoca
imperialista!). Questa pretesa si lega all’interpretazione del fascismo quale ricaduta della socie
“civile nelle barbarie; ragion per cui il compito di tutti coloro che sono interessati al
“mantenimento e progresso delle libercivili(al di sopra delle classi) diventa quello di far blocco,
unitario naturalmente , interclassista, demopopolare, frontista per eccellenza. E il partito
comunista? Esso dovrebbe diventare (il PCI lo è da un bel pezzo!) l’ala dinamica di sinistra di questo
fronte degli “onesti”!
La nostra risposta a questa broda è chiara da cinquant’anni. Valgano per tutte le Tesi per il III°
Congresso del PCd’I (Lione, 1926):
“Il movimento fascista deve interpretarsi come un tentativo di unificazione politica dei
contrastanti interessi dei vari gruppi borghesi a scopo controrivoluzionario. Con tale obiettivo il
fascismo, direttamente alimentato e voluto da tutte le classi alte, fondiarie, industriali,
commerciali, bancarie al tempo stesso, sorretto soprattutto dall’apparato statale tradizionale,
dalla dinastia, dalla chiesa, dalla massoneria, ha realizzato una mobilitazione degli elementi
socialmente disgregati delle classi medie, che ha scagliato in un’alleanza con tutti gli elementi
borghesi contro il proletariato.
Quanto è avvenuto in Italia non deve spiegarsi né come l’avvento di un nuovo strato sociale al
potere, né come formazione di un nuovo apparato di Stato con ideologia e programma originale,
come la sconfitta di una parte della borghesia i cui interessi si identificassero meglio con l’adozione
del metodo liberale e parlamentare. I liberali, i democratici, Giolitti e Nitti, sono i protagonisti di una
fase di lotta controrivoluzionaria dialetticamente collegata a quella fascista e decisiva agli
effetti della sconfitta del proletariato. Infatti, la politica delle concessioni, con la complici di
riformisti e massimalisti, ha permesso la resistenza borghese e il deviamento della pressione proletaria
nel periodo successivo alla guerra e alla smobilitazione, quando la classe dominante e tutti i suoi
organi non erano pronti per una resistenza frontale.
Il fascismo, favorito direttamente in questo periodo da governi, burocrazia, polizia,
magistratura, esercito, ecc. ha poi attuata una sostituzione completa del vecchio personale politico
borghese, ma questo fatto non deve ingannare e tanto meno servire a riabilitare partiti e
raggruppamenti falliti non perché realizzatori di condizioni favorevoli alla classe operaia, ma solo per
aver esaurito ormai tutta una fase del loro compito contro di essa(Cfr. il nostro vol. In difesa
della continuità del programma comunista, pp. 113-4).
Su queste sicure basi teorico-programmatiche, il PCd’I, guidato dalla Sinistra, poté attuare una
efficace e continua mobilitazione di classe sul terreno della lotta rivoluzionaria contro il fascismo,
giungendo sino all’inquadramento militare delle proprie forze, e trainando dietro di esse una
consistente avanguardia del proletariato (pur in una fase non più direttamente rivoluzionaria); e ciò
mentre i variopinti “antifascisti” di ogni altra corrente nel migliore dei casi si lasciavano abbacinare
dalla meteora presto dileguatasi degli Arditi del Popolo (su cui oggi alcuni extraparlamentari,
contro ogni evidenza storica, tentano di imbastire un autentico bluff storiografico e... teatrale contro il
Partito comunista di ieri e di oggi); oppure, finivano per rispondere” alle violenze fasciste con la
firma dei Patti di Pacificazione (stipulati nel ‘21 tra PSI e Fascismo!); o col successivo ritiro
sull’Aventino “democratico”, impotente per definizione, e via dicendo, a prefigurazione dei “fronti
popolari” della cosiddetta Resistenza.
Per giungere ad una comprensione e ad un atteggiamento di classe corretto di fronte al
fenomeno neofascista, è altresì necessario trarre un bilancio dell’azione antifascista del “blocco
democratico” culminata nella Resistenza. Riteniamo valida la nostra interpretazione che, liquidata la
III
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Internazionale e posti i partiti comunisti al servizio delle rispettive patrie e nazioni, in subordine
agli interessi del “paese del socialismo” (frattanto ricongiuntosi all’imperialismo... democratico – leg-
gi USA, Gran Bretagna, Francia...), tali forze “in nessuna contingenza della lunga guerra furono
adoperate per provocare la caduta di un potere capitalista e le condizioni di una conquista del potere
da parte delle classi operaie: furono invece sempre adoperate soltanto in stretta collaborazione con un
gruppo imperialista, e per di più si espela collaborazione con l’uno e l’altro gruppo, a seconda che
mutavano gli interessi militari e nazionali della Russia”; terminata la seconda guerra imperialista, i
partiti opportunisti, legati a tutti i partiti espressamente borghesi, nei CLN, parteciparono a questi
governi costituzionali. In Italia addirittura a gabinetti monarchici, rimandando la questione
istituzionale” (cfr. le Tesi caratteristiche del ‘51 nel vol. In difesa... p. 158). Nel fuoco stesso della
battaglia, nel 1944, così riassumevamo la nostra posizione in materia di fascismo ed antifascismo:
“La situazione storica italiana presente non significa la chiusura di un periodo di governo
fascista borghese e l’apertura di un opposto periodo di politica borghese liberale che ritorni al ciclo e
ai rapporti del periodo precedente il 1922. (...) La situazione che si è determinata non presenta la
conquista anche parziale del potere politico da parte di strati proletari o piccolo-borghesi. La
ricostituzione dell’apparato centrale di controllo politico e di polizia al servizio degli interessi
economici capitalistici avviene a cura e sotto lo stretto indirizzo dei grandi stati vincitori della guerra
(…) La classe proletaria italiana non ha alcun interesse, particolare né generale, immediato
storico ad appoggiare la politica dei gruppi e dei partiti che, approfittando non di forza propria, ma
della rovina militare del governo fascista, impersonano oggi l’esercizio del simulacro di potere che il
vincitore in armi crede di lasciare ad una impalcatura statale italiana. (...) I CLN storicamente e
politicamente si richiamano a finalità e scopi contrari alla politica ed agli interessi proletari. Di fatto,
non possono nemmeno vantarsi dell’abbattimento del fascismo. L’azione clandestina svolta contro il
regime fascista ebbe ed ha per coefficienti effettivi le reazioni spontanee ed informi di gruppi proletari
e di scarsi intellettuali disinteressati, nonché l’azione e l’organizzazione che ogni stato ed esercito crea
ed alimenta alle spalle del nemico, e solo in minima parte l’influenza dei caporioni politici (...) In
realtà, la rete che i partiti borghesi o pseudo-proletari hanno costituito nel periodo clandestino non
aveva come scopo l’insurrezione partigiana nazionale e democratica, ma solo la creazione di un
apparato di immobilizzazione di ogni movimento rivoluzionario che avrebbe potuto
determinarsi al momento del collasso della difesa fascista e tedesca. (...) Il problema della
liquidazione del fascismo non ha alcun senso, in quanto il fascismo è il moderno contenuto del regime
borghese, e si può superarlo storicamente ed annientarlo solo rovesciando il potere della classe
capitalistica ed i suoi istituti, (...) l’unica seria lotta contro il fascismo non consiste nel rintracciare e
perseguitare i militanti, gli squadristi, i gerarchi del periodo fascista, in gran numero già annidati nelle
presenti gerarchie, con metodo e stile immutati, ma nello scoprire e colpire gli interessi di classe e
gli strati sociali che compirono quella mobilitazione e che sono i medesimi che tentano oggi di
serbare il controllo dello Stato. Questi colpi possono essere portati solo da forze di classe; e
quando saranno per esserlo tutti gli organismi più diversi e le gerarchie più disparate che qui
parlano di sradicare il fascismo (...) faranno blocco dalla parte contro-rivoluzionaria della
barricata.” (Cfr. Piattaforma politica del Partito, nel ns. vol. Per l’organica sistemazione dei
principi comunisti, pp.109-segg.)
L’attuale situazione italiana ed internazionale presenta le prime avvisaglie di una crisi
generalizzata che, ad un certo punto, “scoppierà” nel crollo generale, nello scontro militare tra stati
capitalisti, riproponendo il dilemma storico (che borghesia ed opportunismo cercano di allontanare
dinanzi alle coscienze proletarie): O RIVOLUZIONE PROLETARIA O MACELLO INPERIALISTA.
Di fronte a questa prospettiva, la borghesia, forte dell’esperienza del primo dopoguerra e dei successivi
decenni di controrivoluzione imperante, lavora a preparare le migliori condizioni di risposta preventiva
alla rivoluzione proletaria che si profila all’orizzonte. Essa non può più limitarsi a sfruttare l’opera (per
altro preziosa!) di inserimento organico nel proprio ingranaggio statale delle forze politiche e sindacali
operaie”. Lo specchietto per le allodole della democrazia parlamentare non basta. La borghesia è perc
spinta a studiare ed esperimentare forme “nuove di attacco antiproletario aperto, “riscoprendo
accanto ai collaudati metodi riformisti quelli fascisti. I gruppi attuali della destra neofascista vanno
visti in questo generale disegno. Essi sono delle pedine (molto varie, tra l’altro, ed anche in apparente
contrasto tra loro: tanto che il MSI-DN aspira tuttora ad una collocazione “demo-costituzionale” ed
accusa di “illegalismo” le sue frange estremiste!) di un gioco più complesso: costituiscono un momento
della generale preparazione borghese di un vero e proprio movimento fascista in grande stile.
Un’esperienza ormai decennale deve insegnare ai proletari quanto sia vano (o criminoso) sollecitare, di
fronte a c, lo Stato borghese perché si impegni nella soppressione di questi gruppi, secondo la
fallimentare linea del PSI nel primo dopoguerra: “Il fascismo avanza? Rafforziamo lo Stato”. (Cfr.
L’inguaribile cretinismo delle richieste di disarmo dei fascisti, in: P.C., 1974, n°12).
La stretta connessione fra gruppi eversivi di destra e Stato democratico-borghese è talmente
palese che la stessa stampa indipendentenon può esimersi dal confessarlo. L’azione, quindi, svolta
oggi dai sindacati, dal PCI, dal PSI e dalle stesse frange extraparlamentari di sinistra, nel senso di
rivendicare la “democratizzazione” dello Stato, è mille volte più pericolosa di quella del riformismo
inesperto” di cinquant’anni fa. E come allora, se non sarà contrastata dal proletariato sul terreno
dell’azione rivoluzionaria, essa avrà per effetto di legare mani e piedi alla classe operaia, chiudendola
nel vicolo cieco della difesa democratica delle istituzioni per poi consegnarla, inerme, al sopravveniente
Fascismo. E poco importa se, come nel 22, a rimetterci le penne... parlamentari sarà anche il vecchio
arsenale politico responsabile di questa manovra (si veda anche l’esperienza attualissima del Cile).
Quale dunque il compito degli operai coscienti e, in primo luogo, dei comunisti rivoluzionari?
Di fronte agli incalzanti attacchi delle squadre fasciste, gli operai devono imparare a conoscerle ed
affrontarle sullo stesso terreno della lotta armata. Gli attacchi delle squadre fasciste devono essere
un’occasione per la riappropriazione dei temi della “autodifesa operaia”, mediante apposite
organizzazioni di lotta convenientemente equipaggiate e strutturate. Ogni risposta armata agli attacchi
delle bande fasciste dov essere vista come una scuola di guerra in vista del futuro, necessario ed
immancabile scontro contro tutto lo Stato borghese. Ciò presuppone la piena autonomia politica ed
organizzativa della classe, la separazione nettissima da ogni forza opportunista od apertamente
borghese.
Oggi come ieri: O VITTORIA RIVOLUZIONARIA, O VITTORIA DEL CAPITALISMO
FASCISTA.