d’altra parte, la burocrazia è legata alla “necessità di difendersi dall’imperialismo” e perciò “sente
l’esigenza di assicurare, sia pure a modo suo, il funzionamento e lo sviluppo della società, in cui
opera” – altro che “organo del capitalismo mondiale” di Trotzkij! La burocrazia è “per sua natura”
anti-imperialista, il che significa “a modo suo” internazionalista, se le parole hanno un senso –.
Inoltre essa è interessata, con il raggiungimento della propria maturità, a colpire l’elefantiasi
stagnante del modello staliniano “per lo stesso incremento della produttività del lavoro” e poiché,
“dato che dal punto di vista tecnologico, in settori fondamentali, l’industria sovietica è
all’avanguardia (!), “l’aumento della produttività dipende, più che da ulteriori progressi su questo
piano, dallo stimolo dell’iniziativa delle masse, dalla loro effettiva partecipazione alla direzione
del processo produttivo” (!!!). Per mantenersi in sella, la burocrazia, quindi, “stimola” tutto ciò,
facendo ulteriormente crescere il “peso specifico” delle masse, soprattutto da parte degli “strati
inferiori della burocrazia – il 90% minimo, poniamo, n. –, che, in virtù del loro ben più diretto
contatto con le masse, si sono fatti in sostanza veicolo della loro pressione nei confronti dei vertici
della casta dominante: tanto più che talune, almeno, delle rivendicazioni degli operai rispondevano
alle loro medesime esigenze.” (pag. 30).
Così il dramma si scioglie nel lieto fine. Il nemico di ieri, il blocco burocratico
controrivoluzionario contro cui si è battuto Trotzkij, si scompone “naturalmente” al suo interno ed
una parte di esso addirittura ha le “medesime esigenze” del proletariato e perciò le “veicola”, per sé
e per il proprio compagno di strada, cui implicitamente si domanda di non rompere l’alleanza
oggettiva così stabilitasi e, soprattutto, di non muoversi per sé, visto che c’è già chi si prende carico
della sua “pressione”. Quest’ultima cosa non è detta, ma è notorio – e denunziato da altri
“trotzkisti”, cosiddetti “ortodossi” – che la IV
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Internazionale si è sempre ben guardata dal
promuovere una propria organizzazione rivoluzionaria nei paesi dell’Est. Col cosiddetto “pablismo”
questa tendenza all’esplicita rinunzia a disturbare il manovratore ha raggiunto i suoi fasti e nefasti;
ma col “post-pablismo” essa non è mutata di una virgola. Non solo in URSS, in Cina e nel blocco
dell’Est si rinunzia a questo compito (in assenza del quale Trotzkij non vedeva – poverino lui! – via
d’uscita né per la rivoluzione “vittoriosa” in URSS né per quella mondiale), ma persino in paesi
come il Nicaragua, pur in esplicita assenza di un potere degenerato magari, ma uscito da una
rivoluzione proletaria autentica , i “trotzkisti” non intendono rompere il “fronte unitario” della
“costruzione del socialismo in un solo paese”.
A conclusione, non possiamo che rivolgere ai compagni un reiterato invito a riandare
realmente alle fonti, da Marx a Lenin, al continuatore della battaglia di Lenin, Trotzkij, sino a
Bordiga. Da una lettura non a spizzichi di Trotzkij, cogliendo il nesso potente che vi è in lui tra
prospettiva teorica e battaglia politica, emergerà (pur tra debolezze che sono il portato di una ritirata
disastrosa del fronte di battaglia – arduo da “abbandonare” alla disfatta per un “temperamento da
gladiatore” par suo –) la continuità marxista del suo discorso e si capirà meglio l’affermazione non
retorica, non sentimentale, ma storica di Bordiga:
“Davanti allo sviluppo delle forze produttive ed alla statizzazione totale dell’ industria di
oggi, 1956, che ha conservato in pieno, arrestando lo sviluppo verso il socialismo che allora
consisteva nel “salire al gradino del capitalismo di Stato”, le forme aziendali e mercantili
(inevitabili allora in ragione della bassissima potenza industriale del paese), e soprattutto davanti
alla degenerazione del partito al potere, di cui primo indicò il carattere controrivoluzionario,
Trotzkij, in coerenza all’analisi di allora, adotterebbe non solo la formula di capitalismo di Stato per
l’economia russa, ma anche quella di Stato capitalista per la politica russa, abbandonando la
definizione di Stato proletario degenerante che gli fu cara in anni meno luminosi. E quando egli
disse Stato proletario «degenerato» disse con altre parole Stato capitalista e borghese. Se quello
Stato era all’inizio di genere proletario, a degenerazione scontata era uscito dal suo genere, lo
aveva cambiato in quello capitalista”. (Struttura, pag. 415)