VERSO LA RIVOLUZIONE DI DOMANI:
SUL NOSTRO LAVORO ESTERNO ATTUALE
(Inizio 1987)
Improvvidi casi personali mi impediscono unelaborazione p vasta. Vado perc per punti
sintetici, al solito, certo che la “dimostrazione” degli assunti sia, o possa essere trovata, in rebus.
1) Sin dal BI sul Partito abbiamo teorizzato il processo di riformazione del partito “per salti”,
collegandolo al ciclo attuale di sviluppo del capitalismo, e dell’antagonismo di classe cresciuto con esso;
ciclo che supera e modifica le forme attraverso le quali l’antagonismo si (sino appunto al Partito)
rispetto ai cicli precedenti, di cui le tre internazionali sono la visibile condensazione del punto di vista
proletario. La questione è storica e “filosofica”, se vogliamo, in ultima istanza, e sarebbe banale volerla
ridurre a prese d’atto immediatistiche che qualcosa è cambiato”, se non si va alla radice delle cause e
delle implicazioni profonde di questi cambiamenti. La formula del “partito storico” continuo rispetto alla
curva accidentata dei partiti formali chiarisce questa questione, ove si comprenda che le vicende dei partiti
formali sono legate ad un tempo all’acquisizione, definitiva dal 1848 (tanto per segnare una data-
simbolo), del programma del comunismo ed alla necessità di far avanzare questo programma in stretta
dipendenza materiale dalle condizioni di sviluppo del capitalismo e, con esso ed in esso, del proletariato
che va a costituirsi in classe e quindi in partito politico.
Ora, stringendo il brodo, possiamo dire che i cicli precedenti sono stati, a livelli via via in
crescendo, quelli dellimmaturità delle condizioni per lo scontro definitivo, mentre il ciclo attuale è
quello in cui il problema si pone al suo stadio supremo od ultimo (come suprema od ultima è la fase
imperialista del capitalismo). Nel corso di essi si sono registrati assieme un progresso del movimento
antagonista del proletariato e regressi in certi aspetti del suo armamentario teorico-politico; la Terza
Internazionale ha tentato la fusione tra i due termini, storico e formale, del Partito al grado massimo.
Perché non ci è riuscita? Perc, sostanzialmente, l’epoca delle rivoluzioni proletarie dichiarata da essa
aperta in via definitiva è giunta in anticipo sui tempi della formazione di un Partito all’altezza del compito
e perché, in assenza di una previa rottura globale con i presupposti del revisionismo gradualista
secondinternazionalista, si sono riprodotti gli aspetti sostanziali di esso. Il capitalismo, superata la crisi
determinata dall’assalto al cielo degli anni venti, non solo ha potuto rilanciare il suo moto espansivo, ma,
quel che è infinitamente più grave, l’ha fatto minando catastroficamente lelemento soggettivo di
contraddizione. Nelle condizioni date dall’imperialismo, in cui non è possibile una crescita graduale
dell’elemento antagonista entro una socie capitalista stabilizzata, in cui non è possibile alcuna
neutralità rispetto allo Stato, il movimento comunista esistente è organicamente interno alla logica
capitalista, alle sue impersonali esigenze. La riedizione del revisionismo operata dalla Terza Internazionale
degenerata è peggiore, da questo punto di vista, della precedente edizione secondinternazionalista (che
solo nel corso della prima guerra mondiale, e non coerentemente in tutte le sue punte, è arrivata alla
sussunzione diretta dei compiti di gestione del capitale); ma, al tempo stesso, permane e si approfondisce
l’antagonismo oggettivo di cui i partiti operai”-borghesi sono comunque portatori e si avvicina a
passi da gigante la fase del suo scioglimento storico definitivo. Di qui noi ripartiamo per delineare i nostri
compiti, in rottura preventiva, maturata nel corso di decenni di esperienze sanguinose, con tutti i
presupposti revisionistici del marxismo. Ne ripartiamo in quattro gatti”, e non a caso, e, non a caso,
sempre esposti a riassorbimenti da parte dell’anonimo nemico.
2) Quando diciamo che non è possibile oggi un partito di massa non registriamo da fessi la nostra
debolezza effettiva. E’ una vecchia questione. Il trotzkismo di Trotzkij cadde proprio su questo punto,
inseguendo uno schema di formalizzazione del Partito che necessariamente riproduceva in , per potersi
illusoriamente dare, tutti i tratti essenziali del ciclo precedente. Co non è possibile immaginarsi un
qualche ipotetico Lenin che, ove miracolosamente fosse stato presente, avrebbe potuto reinvertire la rotta
del naufragio (cfr. le false interpretazioni di “Falcemartello” n. s. n° 1). La storia, di regola, non procede
per casuali e non si fa coi “se di chi sogna scenari preferibili per il... passato.
Abbiamo tutto da imparare dall’esperienza precedente, traendo lezioni in positivo dallinsieme
degli svolgimenti oggettivi e soggettivi che in essa si sono determinati. Credo che si possa ribadire una
formula che ho g usato in precedenza p volte, e che d’altronde mi guardo bene dal pretendere di avere
inventato. La formula è questa: il corso futuro della formazione del proletariato in classe e quindi in
partito politico ci mostre la congiunzione tra loschema del “Che fare? di Lenin a proposito del partito
e l’aspirazione di una Luxemburg (per non dire di Marx, nella sua sostanza originaria) ad un superamento
di ogni giacobinismo di partito”. La rivoluzione tedesca degli anni venti evidenzia un corno del dilemma
così come quella russa ne evidenzia 1’altro. Nella prima abbiamo assistito di più all’elemento
dell’“autoattivi ed “autocoscienza” del proletariato, per dirla alla CCI, e molto meno all’elemento di
direzione di esso da parte del partito formale, con l’inevitabile slittamento lungo la lineapiù facile della
spontanei, praticata e quel che è grave – teorizzata. Il caso russo ci mostra l’inverso, dandoci un partito
costruito solidamente , ma su oggettive sabbie mobili. Come le sabbie mobili hanno fatto franare la
stabili del partito, questo si è anche sgretolato dall’interno, non semplicemente, affondando, ma trovando
la sua risistemazione lungo gli assi obbligati dello stalinismo. Dopo la catastrofe consumatasi sul finire
degli anni venti occorreva ripartire verso il nuovo ciclo futuro riforgiandosi completamente le armi di
partito. Nessuno ce l’ha fatta, nessun genio poteva farcela: l’esperienza di Bordiga ci offre dei materiali
insostituibili di ripartenza, ma essi stessi incompleti sul versante decisivo: come si realizza la saldatura tra
compagine partito e movimento reale? Lo scenario storico che egli traccia è ineccepibile, ma assorbe la
questione in oggetto in una sorta di nebulosa (da cui poi i “discepoli”, ma non a caso, hanno potuto trarre
varie e contrastanti deduzioni telescopiche). Per quel che ci compete, essendo arrivati dopo di lui al
decennio della pedata, ci compete di sciogliere l’enigma o di andarcene a cuccà.
3) C’è un segreto del riformismo da cui abbiamo positivamente da apprendere. Se nei cicli
precedenti il conflitto proletariato-borghesia poteva (e doveva) essere posto sul piano della contrattazione
indipendente da parte del proletariato di migliori condizioni salariali e di vita nei confronti dei padroni del
vapore e, poi, dello Stato, in quanto rappresentante degli interessi globali della borghesia, e questo poteva
portare a scontri anche violentissimi, data 1’“assoluta inconciliabilità di interessi, oggi questa
rivendicazione, se mantenuta entro l’ambito dei vigenti rapporti economico-sociali, comporta di necessi
unacontrattazione globale, per il “potere”. C’è una grande veri (antimarxista) nel concetto togliattiano,
e staliniano in genere, per cui la classe operaia oggi deve sapersi fare classe-nazione, classe-stato (ovvero
classe in -popolo).
Questi assunti, in linea teorica e pratica, esprimono il fatto della crescente ed estrema
socializzazione capitalista della società; il fatto che, di fronte ad una borghesia diventata, come personale
umano, “classe superflua, può ben sostituirsi ad essa (in linea ipotetica) il popolo in generale, la classe
lavoratrice. Naturalmente, aggiungiamo noi, a patto di “dimenticareche la socializzazione capitalista è
l’esaltazione massima della proprie privata, intesa nel senso marxista autentico (non personalistico), che
essa si regge sul crescente sfruttamento del lavoro salariato a frutto del capitale e delle sue leggi. L’aut aut
dello scontro di classe si profila sempre p netto: non è vero (se non in termini apparenti) che nel passato
avevamo una maggior conflittuali; è proprio oggi che le condizioni oggettive dello scontro sono spinte al
livello massimo, dell’appropriazione sociale globale da parte del proletariato-socie, mentre nel passato
esistevano tuttora ampi margini di rilancio della contrattazione tra le parti; è proprio oggi che il riformismo
si appalesa sempre più come riformismo senza riforme”, guscio vuoto (in termini, diciamolo subito,
storici, non nell’assoluto, di una mancanza di differenziazione” tra le parti, c è anzi vero, qui, il
contrario) e che il socialismo si presenta non p come frutto politico di una inconciliabilità tra lavoratori e
padroni, ma come scontro tra due opposti modi di produzione economico-sociale.
4) Queste constatazioni non ci aprono vie di fuga verso un’agitazione di massa per 1’integrali
assoluta” del programma comunista, ma, materialmente, ci consentono una battaglia che, a partire dalle
battaglie immediate, anche le piùminute, elevi l’avanguardia proletaria e, in seconda istanza, per diversa
via, il proletariato in quanto massa, alla comprensione del nesso tra lotta rivendicativa suun dato punto” e
programma globale del comunismo. Abbiamo più volte trattato questo tema per doverci ritornare oggi.
Chi apre una dicotomia tra interessi immediati e programma comunista in realtà non crede alla materialità
dei processi che portano a detto programma e postula, di conseguenza, un processo di decantazione
puramente ideologica, con, magari, estremismi di facciata, ma con un’intima dissociazione tra materialità
e coscienza. (Può servire alla comprensione di questa questione, en passant, la vicenda dei nostri”
rapporti con il gruppo inglese da noi recentemente contattato: esemplare amalgama di ideologismo,
estremismo (verbale) ed opportunismo nella pratica).
5) Nel ciclo attuale il proletariato, privato del suo partito comunista formale, tende da un lato ad
entrare nel calderone del popolo, dall’altro non può farlo senza portarvi dentro le proprie contraddizioni
antagoniste. La “popolarizzazione” del proletariato esprime allo stadio attuale, in negativo, il suo
provvisorio annichilimento storico; ma, d’altra parte, esprime anche il fatto che la soluzione proletaria dei
problemi è per tutta l’umani, e di tutta l’umani dal suo punto di vista. Massima degradazione e
massimo antagonismo convivono e si tengono conflittualmente. La visione idealistica che chiameremo qui
gemeinwesenistica coglie un elemento di veri: la portata universale, umana senz’altri aggettivi, della
soluzione proletaria; ne ignora 1altro, non meno essenziale: che l’uni di lotta della specie umana non
si realizza in un vuoto di classe, attraverso il concorso di tutti gli esseri umani svincolati dalle loro
determinazioni di classe, bensì attraverso una lotta di una classe particolare, che nella lotta contro il
sistema presente realizza i bisogni della specie e il suo stesso annullamento in quanto classe di questa
socie. In poche parole: tutti i problemi essenziali che oggi si pongono sono problemi dell’umanità “in
generale”, ma di un’umani che, per affermarsi, deve far riferimento ad una storia di classe contro classe.
Una ripassata “filosofica” all’opera di Marx p essere istruttiva.
6) Prendiamo qualche esempio. Il nucleare, ad esempio. Quale nucleare? Il nucleare capitalista, e
non il nucleare “in generale. Il nucleare del profitto, che ha immediata relazione con una data struttura di
classe. Problema “di tutto il genere umano” sì, anche del borghese individuo, che non può pe risolverlo
se non svincolandosi dall’essere della società borghese, se non riferendosi alla lotta del proletariato contro
la macchina del massimo profitto che grava su di esso e su di esso soltanto come motore portante
dell’intera socie presente. La guerra nucleare, ad esempio. Che si tratta di capire perché è determinata e
per quali fini specifici di classe. Anche qui, il borghese individuo pot scoprire che si tratta di un pericolo
per l’Uomo, con la maiuscola per dire quello con la minuscola, l’individuo non-specie. Ma capire da dove
nasce l’esigenza impersonale di guerra è lo stesso che capire come sconfiggerne la tendenza obbligata. Si
potrebbe andare avanti. Tanto ci basta per chiarire come un’esigenza dell’intera umanità, di tutta la specie,
trovi il suo contrario, con cui è obbligata a scontrarsi, in un sistema di rapporti di classe che ha nel
proletariato, o meglio: nel sistema del lavoro salariato, il suo perno.
7) Etramontato, per questo, il vecchio” conflitto tra operai e padroni sul salario, sui ritmi, sulle
condizioni di lavoro? Tutt’altro. Solo che questo conflitto si dilata progressivamente, oggi, all’intero arco
delle questioni che coinvolgono lintera socie, l’intera sorte del genere umano. La lotta trade-unionistica
è, p che mai, una “scuola di guerra” a tutto campo, in cui non si misurano quanti chiedono cinque e
quanti chiedono dieci, ma progetti diversi e contrapposti che abbracciano, nella loro storica
consequenzialità, tutti i problemi del vivere sociale. Nel passato, per esemplificare, poteva sembrare che
l’oggetto del contendere fosse una diversa ripartizione degli utili, un controllo” su questa ripartizione,
libri mastri sott’occhio. Oggi non c’è lotta per il salario che direttamente non implichi il tema del
meccanismo stesso di questo sistema di produzione/riproduzione economico-sociale. Anche quando noi
entriamo in una questione di dettaglio, come quella del referendum sui quattro punti della scala mobile
tagliati, lo facciamo richiamando questa somma di problemi: come funzione la macchina capitalista?, a
quali parametri essa è associata?, a quali parametri deve essere associata la risposta operaia? In sostanza:
qual è l’oggetto reale della contesa al di del contingente? A questa stregua la semplice” lotta trade-
unionistica diventa scuola di educazione militante di comunismo così come oggi, al massimo grado, ciò è
necessario più che possibile.
7 bis) Introduco qui una parentesi suggeritami dalla lettura della relazione dall’Inghilterra per
rendere p esplicita una questione di fondo.
I compagni inglesi, e non sono i soli, operano una inconcepibile dissociazione tra attività sindacale
ed attività politica, tanto da criticare a Bordiga di “limitarsi ad un’attivi sindacale dura non
distinguendosi politicamente dalla socialdemocrazia” ed arrivando poi a postulare una “divisione del
movimento operaio tra ala riformista ed ala rivoluzionaria propiziata dalla propaganda politica in
rapporto all’agitazione”, dalla critica allaristrettezzasindacale’” di scioperi come quello dei minatori etc.
Siamo nel puro “ideologismo” idealistico-soggettivista, che si puntella di necessità sull’attivismo. Il
riformismo sindacale è tutt’altro che ristretto. Esso costituisce un tutt’uno organico, che il riformismo
politico non fa altro che rivestire ideologicamente, ma non certo dall’esterno dei rapporti su cui esso si
costruisce.
La conduzione dello sciopero dei minatori non è stata ristretta” al sindacale; al contrario è stata
perfettamente e compiutamente politica (sul versante opposto al nostro).
La “divisione del movimento operaio” concepita come frutto di “educazione politica”
(ideologica) è un puro non senso, in quanto astrae dal terreno su cui si determinano le scelte
“divise”, riformista e rivoluzionaria. Non si supera l’ipoteca riformista se non stando nella lotta sul
“ristretto” piano sindacale, che contiene in sé tutti gli elementi politici prospettici. Tant’è: la
“parola d’ordine del referendum per dare allo sciopero un carattere politico” è una classica
scappatoia in termini di forme organizzative svincolate dal terreno reale di scontro, senza mettere
in conto le sue conseguenze... riformiste. Non abbiamo qui un proletariato unificato nella lotta e
dalla lotta, che cresce, prende cognizione della propria forza, individua grazie a ciò i muri da
abbattere e gli strumenti che a ciò gli abbisognano, ma un proletariato preso allo stadio attuale,
cioè debole e diviso (anzi: meglio se “politicamente diviso” grazie alla “propaganda’) chiamato ad
una consultazione da cui trarre il famoso “livello politico superiore”. Cioè: prendiamo degli
eunuchi e “consultiamoli” sull’arte di... fottere (riformismo e borghesia).
La nostra strada è completamente opposta. Noi non siamo troppo poco demarcati rispetto al
riformismo. I1 nostro bagaglio di demolizione di esso, in linea teorica e politica, è completo (specie se
raffrontato a quello di chi fa la voce grossa col “proprio” riformismo e con la propria” borghesia tanto da
dimenticare il quadro internazionale dello scontro, o da stravolgerlo: vedi caso URSS, non insolito tra i
trotzkisti e semi-trotzkisti). Ma lo scontro col riformismo lo conduciamo sul suo stesso terreno di
elezione, e non potrebbe essere diversamente per un materialista abituato a non astrarre la penetrazione
ideologica dal terreno oggettivo attraverso cui si veicola. Le condizioni che permettono legemonia
riformista nella classe operaia sono le stesse che ne permetteranno lo scalza mento. La divisione nel
movimento operaio ha un senso solo se fondata sullo sviluppo dell’unità di fronte nella lotta, da cui
deriva il salto qualitativo del proletariato, la sua “costituzione in classe e quindi in partito politico”. Le
versioni opposte del problema le conosciamo da tempo e da tempo le abbiamo classificate nel
pugnettarismo” (per chi conosce il bolognese), né ci stupisce o spaventa il fatto che le pratiche
autogratificanti che ad esso si riferiscono possano fruttare godimenti immediati in termini di adesioni: il
fatto è che questa messe di adepti non è il frutto di una crescita reale del movimento proletario nel suo
complesso, ma il risultato della sua debolezza tradotta in termini soggettivi di “partito”.
8) Per stabilire il “che fare” in campo sindacale non abbiamo che da ribadire la linea già fissata.
Il primo compito nostro è penetrare nella classe operaia “così com’è”, tastarne il polso, contribuire a
promuoverne ogni possibile azione anche minima che valga ad estenderne il fronte di lotta. In nessun
caso nascondiamo cosa significhi la politica del riformismo c, anzi, fondiamo ogni nostra proposta
concreta sulla denunzia di essa. Ma non chiediamo agli individui proletari di venire a noi per scelte di
coscienza. Marx, se non sbaglio (e comunque la citazione è desunta da ottime fonti marxiste),
affermava: l’importante è che comunque ci sia lotta, perché è dalla lotta stessa che derivano i presupposti
materiali della coscienza e le condizioni stesse dell’opera dirigente del partito. L’ingenuo obiette: ma
non ogni lotta va in questo senso; quelle promosse dai riformisti vanno in senso contrario, e proprio per
questo noi dobbiamo “demistificare etc. etc. Il fatto è che il riformismo opera sì in senso
controrivoluzionario, ma su un terreno sempre p carico” di contrasti. L’esplosione di questa carica è
indipendente da noi. Da noi p dipendere la sua direzione di fuoco: a ciò potremo arrivare non grazie a
divisioni nel movimento operaio” lungo dorsali di preventivo schieramento ideologico, ma grazie ad una
capaci di orientamento previamente conseguita. E’ bene mettersi in testa che noi non stiamo davanti e
nelle fabbriche per “creare” la lotta delloggi del domani, ma per imparare a stabilire un rapporto
con essa e con i soggetti agenti di essa, per dare corpo a quel che noi abbiamo da insegnaread essi.
Ovvio che per fare questo ci occorrono delle forze, che dobbiamo “reclutare”. Ma altrettanto ovvio
dovrebbe esser comprendere che anche nella fabbrica noi non reclutiamo l’operaio “in quanto operaio”,
ma il militante, il “rivoluzionario professionale”,al di fuori dei rapporti etc. etc. (Che Fare?), alla stessa
stregua per cui reclutiamo nelle scuole, negli uffici, sul territorio, piccoli borghesi e transfughi di classi
anche peggiori compresi. Di specifico c’è solo la strada da far fare, spesso (e tutt’altro che sempre od
obbligatoriamente) per arrivare al reclutamento di questo soggetto. In ogni caso, si sappia ben distinguere
tra quello che è reclutamento di singoli rivoluzionari professionalial partito e quel che è reclutamento
di singoli, gruppi, masse di operai al fronte di lotta. La sovrapposizione o la confusione tra i due piani p
indurre a spiacevoli incidenti nell’uno o nell’altro senso: educazionismo o movimentismo, anti-frontismo
verso la lotta o frontismo di striscio verso politiche e partiti avversi... I materiali per legare i due aspetti di
quel che è un solo problema complessivo esistono di g, nelle condizioni oggettive della vita di fabbrica,
vetrina aperta sull’intera socie, ma occorre saperli naturalmente ben maneggiare. Nessuna circolare
pot stabilire dei decaloghi infallibili sul modus operandi, ma sarebbe assai utile affidare alle nostre
sezioni una rimeditazione sulle esperienze da noi sin qui condotte, ab intus (vedi referendum) e
dall’esterno (minatori inglesi). Abbiamo fallato? E chi ha fallato? Credo che non abbiamo sbagliato in
niente, se non nel mancato controllo durante e dopo delle capaci digestive di nostri singoli compagni o
singole sezioni, operazione per la quale non ci siamo mai dati sin qui strumenti adeguati, forse per tema di
caporalismo ispettorale (ma davvero è “amministrativismo controllare come funzionano e stabilire come
dovrebbero funzionare le membra della nostra organizzazione?).
9) Mentre siamo ferreamente contrari ad ogni formalismo organizzativo (da quello dei “comitati di
difesa del sindacato di classe”, di programmistica memoria, ai comitati i p svariati creati artificiosamente
in vitro da questa o quella organizzazione ivi compresa l’“associazionedi “Operai Contro”, sino alle
neo-costituenti di un quarto o quinto nuovo sindacato etc. etc.); mentre irridiamo a queste “scorciatoie
impotenti, specchio di un impotenza di fondo a comprendere le determinazioni reali del movimento di
classe”, noi stiamo invece bene attenti ad antivedere, seguire, favorire ed estendere (e... dirigere) le forme
reali in cui la lotta si esprime in termini organizzativi nuovi in quanto adeguati ai nuovi livelli dello
scontro. Per questo, mentre, concordiamo con un’affermazione apparentemente minimalistica delle tesi
sindacali di Programma” del’72 (secondo cui oggi si tratta di reimportare nella classe la stessa coscienza
trade-unionistica), non concordiamo con l’indifferenza verso le forme della ripresa, in quanto tale
indifferenza denota una visione deformata delle caratteristiche di contenuto dello scontro attuale ed una
scissione tra “coscienza trade-unionista” e coscienza di partito che non ha storicamente mai avuto ragion
d’essere, ed oggi meno che mai. Cosa possiamo dire di queste forme al di là di quanto anticipato nelle
tesine diPartito e classe?
10) Nel ciclo controrivoluzionario la borghesia ha potuto capitalizzare la forza intrinseca dei suoi
meccanismi centralizzati e concentrati e la debolezza conseguente alla sconfitta proletaria degli anni venti
per “inglobare” il proletariato entro i suoi confini. Con ciò non è sparita la lotta di classe, ma il riformismo
imperialista che la egemonizza tuttora l’ha portata e tenuta all’interno dei meccanismi capitalistici non solo
in quanto limite non debordabile, ma in quanto struttura cui finalizzarsi. Siamo “tornati al quadro
delineato dalla famosa lettera di Engels, con la differenza che le forze operaio”-borghesi non stanno
semplicemente alla coda del movimento borghese, ma ne sono un elemento in prima persona: ed è il
massimo di depressione cui si possa arrivare. Le trasformazioni sociali all’interno dei partiti operai o
popolari” sono la traduzione fedele di questa tendenza storica. Ma non possiamo dimenticare l’altro
aspetto della questione: che gli spazi entro cui operare questa sottomissione “reale e non formale del
proletariato si vanno progressivamente e traumaticamente restringendo. Il “popolarismo” entro cui oggi il
proletariato è costretto minaccia di volgersi nel suo contrario, con la ripresa: l’egemonia del proletariato, su
cui pesa oggettivamente tutta la socie, sul popolo anziché il viceversa. A differenza dei tempi di
Engels, il capitalismo non ha davanti a un indefinito ciclo di espansione entro cui inglobare
provvisoriamente il proletariato. I1 conflitto storico torna a esplodere e con esso il processo di
costituzione del proletariato in classe e quindi in partito politico”, come s’è g detto. Ma come questo
processo concretamente si da?
11) Possiamo dire che la risalita sa un calvario. La Terza Internazionale po costituirsi per
separazione dalla socialdemocrazia di interi settori e persino partiti di massa contro il “tradimento”
revisionista per riannodare il filo spezzato. In real questa rottura/continui si basava su alcuni dati da
giocare tutti e subito”, irripetibili alla distanza: esistenza di un movimento operaio socialmente puro”,
educato per decenni alla lotta di classe indipendente nei confronti dello Stato, esistenza di un nucleo di
partito internazionale presente in questo movimento e strettamente coordinato al programma comunista, il
trauma catastrofico della guerra. Su queste basi si poteva ipotizzare un salto consono alla nuova epoca
delle rivoluzioni proletarie, ricompattando il proletariato a detto livello ed impedendo la contraria
ricomposizione borghese. Era perfettamente giusto tentare questa strada di “fusione al calore
incandescente della rivoluzione. Ma quando il calore è andato raffreddandosi si si è anche mostrato che
l’armamentario stesso del partito doveva essere riforgiato. Sul finire degli anni venti la socialdemocrazia
aveva g compiuto un bel tratto di strada in senso inverso. Il fronte unico veniva così a mancare delle
sue basi materiali di applicazione precedenti, venendo a corrodere non la socialdemocrazia, ma i partiti
comunisti degenerati dal loro stesso interno. Inutile dire che oggi il processo si è definitivamente e
irreversibilmente compiuto sotto questo aspetto. Né noi possiamo in alcun modo attenderci forme di
ripresa che ci diano una transizione delle masse al programma comunista via i partiti riformisti attuali. Qui
ricominciamo da zero. Gli schieramenti riformisti attuali non ci offrono truppe pronte a passare agli ordini
di altri stati maggiori, ma semplicemente delle forze sociali su cui ricostruire ex novo il tessuto del partito.
Ed è cosa diversa.
12) Nella crisi la massa proletaria che tuttora segue i riformisti dovrà reimpadronirsi, come s’è
detto, degli stessi utensili trade-unionistici entrando in conflitto persino su questo terreno con le proprie
direzioni (e non a caso, perc una “vera lotta trade-unionistica è impossibile nell’e dellimperialismo
senza porsi sullo stesso terreno indicato dal riformismo, di rapporto diretto con lo Stato: rapporto che può
essere di accordo, subordinazione od antagonismo). Non è che diciamo questo in senso talmente assoluto
da escludere margini entro cui p darsi una lottatrade-unionistica” anche dura per determinati settori in
grado di ricontrattare la spartizione degli oneri e degli utili all’interno del sistema presente, ma fissiamo
una linea di tendenza generale che si rivela sempre più netta, al di delle congiunture e degli accidenti di
percorso.
Ora, questa lotta presenta per forza di cose alcune caratteristiche specifiche rispetto ai cicli passati:
opposizione blindata da parte del riformismo ad andare oltre la soglia delle compatibili”, non
aziendalmente, settorialmente considerate, ma viste nel loro complesso (azienda-Nazione, azienda-Stato);
quindi necessi di riorganizzazione dal basso da parte dei proletari che intendono lottare (nelle forme
stabilite dalla “tradizione dei percorsi precedenti, dalla maturi del movimento, dall’incandescenza della
lotta e dal rilievo della posta in gioco); ed infine, particolare non ultimo, legame sin dall’inizio molto più
stretto con l’insieme dei problemi politici. La riacquisizione dell’utensile sindacale” procede, per la sua
specifica strada, nello, stesso senso della riacquisizione del partito politico. I due aspetti vanno tenuti
presenti assieme per non cadere in due tipi di deviazione: l’identificazione del piano immediato con quello
politico (“Operai Contro”, tanto per intenderci), o la separazione tra i due piani (parte dell’esperienza di
Programma Comunista”,Lotta Comunista, idem come sopra).
Sintetizzando in una formula questo processo storicamente determinato ho usato in precedenza
l’espressione di organismi anfibi”, che mi pare calzante. Un riesame di tutta l’esperienza dal ‘68 ad oggi
lo conferma.
13) Ho detto sopra: stesso senso, ma specifica strada. I proletari che si riorganizzano sul piano
immediato, con c sospinti a cercare soluzioni politiche, di partito, partono dallimmediato (per quanto
un particolarepiano immediato”, come si può ben capire); l’organizzazione dei rivoluzionari deve trovare
la via di giunzione con questo processo, ma non procede per la stessa via, nulla avendo noi da cambiare al
Che Fare?” su questo piano. Ne nascono difficoltà aggiuntive per noi, pur entro un percorso globalmente
ascendente. Gli “operai contro (non parliamo qui dei nostri amici omonimi) tendono a fermarsi ad un
certo stadio politico pre-scientifico, pre-partito; sono inoltre esposti al pericolo permanente di vivere la
loro esperienza particolare come staccata dal resto della massa arretrata; e, per ultimo, generalmente
non possono tenere” al di là di una data congiuntura di lotte, se non come minoranza politica
cosciente”... a metà. Perciò non possiamo guardare a questi organismi anfibi come ad una soluzione od
un sostituto al problema tanto del sindacato quanto del partito. Per noi essi rappresentano una leva da
rapportare da un lato alla massa (affinc l’organizzazione proletaria avanzata serva a qualcosa sul terreno
immediato) e dall’altro al nostro programma complessivo (nei suoi elementi “coscientizzabili”,
organizzabili politicamente). Al tempo stesso dobbiamo essere “troppo bassi” agli occhi di chi ciancia di
separazione politica” etroppo alti” agli occhi di chi si sente g pago della propria “associazione politica
degli operai”.
14) E noi dove stiamo nel concreto? A parte quanti tra noi si interrogano sull’essere o non essere o
fanno la gara a inventarsi le peggiori vulgate” (stavo per dire puttanate) per poi incolpare i Sacri Testi,
parliamo proprio di noi come corpo dotato di una sua linea, poco importa se incompresa dai pinchi.
Ha ragione chi critica il ragionamento: la massa stenta a mobilitarsi anche sulle questioni p
elementari -quindi le soluzioni riformiste non costituiscono un ostacolo o una deviazione; i lavoratori più
combattivi si muovono sulle linee del riformismo -quindi ne facciamo nostre le rivendicazioni”. Spero
solo che si evochino dei fantasmi...
Al contrario, noi parliamo di ostacolo e deviazione riformista per tutto l’arco storico che va alla
rivoluzione (e un pezzo dopo), non legandoci le mani ad una determinata forma del riformismo, avendo
nella nostra visione comprese anche tutte le mutazioni genetiche possibili ed immaginabili. In secondo
luogo, però, non è esatto dite che i lavoratori p combattivi si muovono sulle linee del riformismo: noi
distinguiamo tra piano del riformismo e lotte (quando si può realmente parlare di lotte) impeciate di
illusioni e pregiudizi riformisti, ma tra il “piano” e il movimento” esiste un décalage. Marx (e Bordiga)
osarono lanciare la formula che l’importante non è per che cosa il proletariato creda di lottare, purc
lotti. Occorrerebbe qui un trattatello filosofico sul quantum ed il quale, sul rapporto azione-
materiali/coscienza etc. etc., ma diamo assodato che chi scrive non ha mentalità filosofica e lasciamo
correre.
Atteniamoci al “concreto: i minatori inglesi si sono mossi portandosi dietro illusioni e pregiudizi
(che la fine della lotta potrà anche rafforzare allimmediato), ma hanno dimostrato alcune cose: primo, che
non sempre la massa stenta a mobilitarsi anche sulle questioni p elementari; secondo, che la
mobilitazione si incrocia coi bastoni ideologico-programmatici ed organizzativi del riformismo; terzo,
che una risposta in positivo a questi bastoni p essere data anche muovendosi all’interno del
riformismo; quarto, e ci siamo, che noi – a patto di considerare come necessario il riferimento di massa
combattiamo il piano del riformismo sollevando tutte le questioni, sino a quella del potere di classe, ma
sollevandole nella lotta, con le leve che esse ci offrono e non tenendoci di fatto fuori dai suoi concreti
percorsi per salvare la nostra purezza”. Tendiamo a due risultati insieme: prendere dei militanti e
formarli (militanti, si ricordi, usciti dalla lotta, non incontrati in qualche circolo di discussione, quindi con
un certocammino” specifico) e far avanzare la lotta, ovvero, anche molto p modestamente, imparando
come si sta dentro in essa perché essa avanzi (qui la formazione è, spesso, tutta da farsi da parte nostra).
Sappiamo benissimo quali possono essere gli utili immediati che possiamo trarre sull’uno come
sull’altro versante. Non parliamo di una nostra “tattica da partito”, meno che mai di una tattica per
costruire il movimento di massa ed il partito. Parliamo , però, di un atteggiamento ben preciso, che non
èmorbido anzic duro, come vorrebbero compagni magari molli, ma realista, che cioè tenga in conto i
coefficienti reali attraverso cui può darsi l’avanzamento del fronte di classe a partire da quello che
(purtroppo) è.
15) Chi ha una qualche dimestichezza con l’operaio vero constate che di quello che gli andiamo
dicendo non tratter tanto il discorso generale (distante anni luce dalla sua concretezza immediata), ma
l’anello basso cui afferrarsi per risalire lungo la catena, cioè quel che è possibile per lui fare nel momento
in cui è spinto alla lotta (questa lotta) e si studia di vincerla. C che per noi sta “a monte per lui
rappresenta un cammino da fare da valle”. Se avrà capito che, ad es. nel caso-referendum, lo hanno
fregato con la mancanza di mobilitazione di classe e il rinvio alla consultazione inter-classista, tra l’altro
malamente affrontata, sa troppo poco”? Lo sarà per l’intellettuale piccolo-borghese per il quale tutto è
troppo poco rispetto alla sua Coscienza.
Questa “distanza tra i poli partito-coscienza ed azione immediata-“scintille di coscienza” non può
essere colmata da alcun nostro atto di volontà ed intelligenza; si tratta solo di comprendere che non si tratta
di uno spazio vuoto ed inerte perc, quando anche noi” non lucriamo all’immediato la concreta
prospettiva del partito va avanti. Poniamola pure così: dal’68 ad oggi c’è stato un accumulo di esperienze,
un taglio con livelli precedenti etc. che ci appartengono, ed a cui è mancato e manca non l’ipotetico
contenitore-partito preconfezionato, ma unorganizzazione di militanti che lavorano al partito
esperimentati e disciplinati, in grado di inquadrare anche preventivamente le situazioni, di starci in
mezzocome pesci nell’acqua”, di non smarrirsi al primo mutar di vento. Il testo sulla classe operaia dal/al
non preconfeziona tattiche, ma indica i presupposti materiali di mutamenti nella situazione oggettiva e
soggettiva della massa dalla quale noi stessi siamo “influiti” prima di poterci entrare con le proprie
mostrine da generali della rivoluzione.
16) Si potrà dire che viste le distanze di cui sopra dovremmo prioritariamente preoccuparci di
mettere a punto i nostri arsenali di “inquadramento generale”, ovvero “battere e ribattere sui presupposti,
dedicare un maggior dispendio di energie al nostro percorso, e a quello dei soggetti volontaristicamente
anti-riformisti”, come si esprime un nostro bravo compagno al tepore delle settembrate romane. Credo che
qui ci sia un piccolo difetto. Se è ben vero che noi dobbiamo tracciare i presupposti non lo facciamo “nel
vuoto”, non possiamo e non dobbiamo astrarre dal percorso della massa (a meno che non pensiamo o che
questa si renderà spontaneamente permeabile a noi al momento buono o che in fondo non c’interessa più
di tanto, essendo la battaglia perduta e dovendo noi salvare il nostro onore”: cfr. “Battaglia sul terzo
conflitto mondiale). In secondo luogo, di conseguenza, parlare del nostro percorso” non ha senso se non
in rapporto a c: sui presupposti si potrebbe anche dire che stiamo perfettamente immobili. Terzo: mi
preoccupa non l’attenzione, ma lo sbilanciamento esclusivista verso i “soggetti anti-riformisti” a danno
della massa. Proprio perc si tratta di “soggetti” in cui la volon si riveste di (falsa) coscienza noi non
abbiamo nei loro confronti doveri di maggior apertura che verso la massa, ma quello di un’azione
specifica, ci su piani diversi di confronto, e che presumono sempre e comunque la massima
indisponibilità ad aprire le porte del programma e dell’organizzazione. Se l’atteggiamento di fronte alla
massa dev’essere sempre ultra-disponibile, se la tattica p essere elastica a condizioni date, l’identità
teorico-programmatica semplicemente non si tocca. Noi siamo certo disposti a discutere con il Diavolo e
sua Suocera, come diceva qualcuno, ma costringendo questi nostri interlocutori a rapportarsi
costantemente e congiuntamente ai due piani: l’azione concreta e l’intervento teorico-programmatico.
Questo in tutti i casi, non solo quello della lotta diciamo così sindacale. Ad es., sulla questione della
guerra o del nucleare, della donna o del razzismo, noi non crediamo ad un’elaborazione in vitro di
preparati per il partito senza agire su questi due piani congiunti. Ci torneremo poi.
17) Le idee avanguardiste (ci riferite ai percorsi dell’avanguardia come prius: cfr. RCP come
ottimamente riferitoci da M.) non tengono conto dell’accelerazione e dell’incrociarsi oggettivi dei due
fenomeni, azione di massa-partito. C’è un residuo di visione secondinternazionalista” adattata ai nostri
tempi: crescita graduale e separata dell’“accumulo di forze operaie spontanee rispetto al partito e siccome
questa crescita stenta, crescita graduale e separata dellaccumulo di forze del partito.
In realtà, il nostro ciclo storico sarà contrassegnato da esplosioni, come spiegato ad inizio, rispetto
alle quali resteranno inevitabilmente indietro quanti si saranno dati a costruirsi il partito in proprio”
sdegnando i preliminari di queste esplosioni. vale sperare che ci entreremo direttamente dentro
quando esse si daranno loro sponte. Non vale perc la spontanei anche massima va studiata,
accompagnata e “guidata” ab intus a cominciare dalle fasi di stanca ed a quelle di riflusso successive alle
esplosioni (che non saranno mai unica, definitiva Esplosione); perc va ricostruita una linea continua
nella massa e per la massa (non, ovviamente, sul piano della stabilità e crescita rettilinea di “strutture
organizzate”). Questo metodo serve a noi prima che alla massa stessa: se non impariamo, come diceva
Lenin, a fonderci con la massa (e qui parla l’autore di Che Fare?”!), non saremo mai capaci di produrre
programmi ed organizzazione. Rottura del movimento operaio? No, rottura nel movimento operaio e sua
ricomposizione al livello più alto. Con le quasi inesistenti risorse umane di cui oggi disponiamo? Sì,
anche a partire dai quattro gatti perché un’attivi bene impostata anche dai quattro gatti tanto verso
l’“avanguardia che verso la massa si salde, sa saldata dai fatti ad eventi sorprendenti”. Non ci è
ignoto il caso di anche un solo compagno chiamato a guidare ed illuminare la lotta di masse,
all’improvviso e senza che nulla lo facesse prima presagire. Noi ci prepariamo a questi eventi
necessari, stando bene attenti, anche quando saremo issati sul palco dalle masse, a distinguere (per
legare) i due piani diversi, partito e massa.
18) Tutto quanto scritto qui sopra non si riferisce, come s’è detto, al solo aspettosindacale. Anzi:
il fattore scatenante di una ripresa che resta più che mai, in ultima analisi, proletaria può benissimo
verificarsi altrove. Non è una novi, del resto: vedi quel che dice Lenin di determinate “crisi politiche
nelle istituzioni (citando il caso Dreyfuss) rispetto alla mobilitazione rivoluzionaria delle masse
(spontanea ed organizzata, dallinterno e dall’esterno). Questo punto diventa oggi di ancor maggiore
evidenza. Perc? Perc se da un lato la situazione economica del proletariato è estremamente debole,
essa sta in diretto rapporto con tutti i problemi della socie; perché più che mai tutto quello che matura
nella socie (nucleare, guerra ad es.) affonda le sue radici nel rapporto lavoro salariato-capitale; perc la
somma di questi problemi che sempre più riguardano “l’insieme della socie umana trova le sue radici, e
quindi la legittimazione della guida alla loro soluzione da parte del proletariato, nel rapporto di cui sopra.
Non è un mistero un accidente sconveniente che la bandiera di certi problemi sia presa all’immediato
da parte di altri settori della socie, in particolare dalla piccola-borghesia, in quanto anch’essi direttamente
toccati “in quanto esseri umani da questi problemi. Ma l’essenziale è che anche prima che il
proletariato vi intervenga come forza attiva essi sono, per loro natura, suscettibili di essere rapportati
alla loro fonte prima, nel movimento e, con azione di rimando, verso il proletariato stesso. Ed è il
piccololavoro specifico cui noi ci dedichiamo, ben lontani dal pensare a scegliere due o tre temi
popolari” di separazione dal riformismo (cfr. sempre lRCP, che qui uso un potroppo come referente
polemico visti gli echi che una certa linea al di del caso in oggetto risuonano tra noi).
19) La situazione attuale è caratterizzata da un’apparente (o reale, all’immediato) separatezza tra
le “singole” questioni. C’è chi si occupa del verde, chi del nucleare, chi della guerra, chi dei rapporti tra le
pareti domestiche, chi delle puttane ottimiste e sinistre, dei gays etc. etc.
Avendo annegato il proletariato nel popolo non si è potuto fare però a meno di resuscitare le
questioni che coinvolgono il proletariato in quanto forza storica antagonista attraverso il popolo, “gli
uomini”. Il riformismo si assume (“inconseguentemente” ed in quanto frammenti separati) tutte queste
questioni, e si fa teorizzatore anzi della loro soluzione “specifica”. Solo che lo specifico tende
naturalmente al generale, la fronda richiama alla radice. Nel dossier sul PCI mi pare sottolineassimo come
indicativo il fatto della “specializzazione della FGCI “per temi” (una, dieci, cento FGCI, a seconda che si
parli di verde, nucleare, gays...). Questo, però, è il preludio della necessaria ricomposizione, reazionaria
o rivoluzionaria, dei problemi in un tutt’uno inscindibile. Sopra tutti i problemi quello della guerra,
compendio esemplare di essi.
Dunque: noi stiamo sempre e soltanto nel movimento del proletariato, ma ciò non significa che ci
limitiamo all’immediatismo operaistico (all’aziendalismo). Noi stiamo col proletariato anche e proprio
quando affrontiamo spinte e movimenti allimmediato capitalizzati da altri strati e classi. Non siamo di
quelli che dicono: ci astraiamo da questi movimenti o saremo disposti a starci solo quando saranno
egemonizzati” dal proletariato, perché l’egemonia proletaria non è un prius, ma una conseguenza di
questo movimento reale.
(Con c rispondiamo anche al quesito: se il fattore scatenante non è la condizione proletaria
quale lo sa?”, in quanto perfettamente estraneo alla real profonda del contrasto che proletariato-
borghesia va maturando).