storici, non nell’assoluto, di una mancanza di “differenziazione” tra le parti, ché è anzi vero, qui, il
contrario) e che il socialismo si presenta non più come frutto politico di una inconciliabilità tra lavoratori e
padroni, ma come scontro tra due opposti modi di produzione economico-sociale.
4) Queste constatazioni non ci aprono vie di fuga verso un’agitazione di massa per 1’“integralità
assoluta” del programma comunista, ma, materialmente, ci consentono una battaglia che, a partire dalle
battaglie immediate, anche le più “minute”, elevi l’avanguardia proletaria e, in seconda istanza, per diversa
via, il proletariato in quanto massa, alla comprensione del nesso tra lotta rivendicativa su “un dato punto” e
programma globale del comunismo. Abbiamo più volte trattato questo tema per doverci ritornare oggi.
Chi apre una dicotomia tra interessi immediati e programma comunista in realtà non crede alla materialità
dei processi che portano a detto programma e postula, di conseguenza, un processo di decantazione
puramente ideologica, con, magari, estremismi di facciata, ma con un’intima dissociazione tra materialità
e coscienza. (Può servire alla comprensione di questa questione, en passant, la vicenda dei “nostri”
rapporti con il gruppo inglese da noi recentemente contattato: esemplare amalgama di ideologismo,
estremismo (verbale) ed opportunismo nella pratica).
5) Nel ciclo attuale il proletariato, privato del suo partito comunista formale, tende da un lato ad
entrare nel calderone del “popolo”, dall’altro non può farlo senza portarvi dentro le proprie contraddizioni
antagoniste. La “popolarizzazione” del proletariato esprime allo stadio attuale, in negativo, il suo
provvisorio annichilimento storico; ma, d’altra parte, esprime anche il fatto che la soluzione proletaria dei
problemi è per tutta l’umanità, e di tutta l’umanità dal suo punto di vista. Massima degradazione e
massimo antagonismo convivono e si tengono conflittualmente. La visione idealistica che chiameremo qui
“gemeinwesenistica” coglie un elemento di verità: la portata universale, umana senz’altri aggettivi, della
soluzione proletaria; ne ignora 1’altro, non meno essenziale: che l’unità di lotta della “specie umana” non
si realizza in un vuoto di classe, attraverso il concorso di tutti gli “esseri umani” svincolati dalle loro
determinazioni di classe, bensì attraverso una lotta di una classe particolare, che nella lotta contro il
sistema presente realizza i bisogni della specie e il suo stesso annullamento in quanto classe di questa
società. In poche parole: tutti i problemi essenziali che oggi si pongono sono problemi dell’umanità “in
generale”, ma di un’umanità che, per affermarsi, deve far riferimento ad una storia di classe contro classe.
Una ripassata “filosofica” all’opera di Marx può essere istruttiva.
6) Prendiamo qualche esempio. Il nucleare, ad esempio. Quale nucleare? Il nucleare capitalista, e
non il nucleare “in generale”. Il nucleare del profitto, che ha immediata relazione con una data struttura di
classe. Problema “di tutto il genere umano” sì, anche del borghese individuo, che non può però risolverlo
se non svincolandosi dall’essere della società borghese, se non riferendosi alla lotta del proletariato contro
la macchina del massimo profitto che grava su di esso e su di esso soltanto come motore portante
dell’intera società presente. La guerra nucleare, ad esempio. Che si tratta di capire perché è determinata e
per quali fini specifici di classe. Anche qui, il borghese individuo potrà scoprire che si tratta di un pericolo
per l’Uomo, con la maiuscola per dire quello con la minuscola, l’individuo non-specie. Ma capire da dove
nasce l’esigenza impersonale di guerra è lo stesso che capire come sconfiggerne la tendenza obbligata. Si
potrebbe andare avanti. Tanto ci basta per chiarire come un’esigenza dell’intera umanità, di tutta la specie,
trovi il suo contrario, con cui è obbligata a scontrarsi, in un sistema di rapporti di classe che ha nel
proletariato, o meglio: nel sistema del lavoro salariato, il suo perno.
7) E’ tramontato, per questo, il “vecchio” conflitto tra operai e padroni sul salario, sui ritmi, sulle
condizioni di lavoro? Tutt’altro. Solo che questo conflitto si dilata progressivamente, oggi, all’intero arco
delle questioni che coinvolgono l’intera società, l’intera sorte del genere umano. La lotta trade-unionistica
è, più che mai, una “scuola di guerra” a tutto campo, in cui non si misurano quanti chiedono cinque e
quanti chiedono dieci, ma progetti diversi e contrapposti che abbracciano, nella loro storica
consequenzialità, tutti i problemi del vivere sociale. Nel passato, per esemplificare, poteva sembrare che
l’oggetto del contendere fosse una diversa ripartizione degli utili, un “controllo” su questa ripartizione,
libri mastri sott’occhio. Oggi non c’è lotta per il salario che direttamente non implichi il tema del