Sono imminenti le celebrazioni del trentennale della Resistenza e tutte le forze politiche
“che contano” si apprestano a sfruttarne il conclamato “prestigio” per rafforzare il consenso delle
“masse” intorno alle proprie insegne. Ce n’è per tutti: dalla DC (che nella Resistenza celebra il
“nuovo ordine” democratico: ordine soprattutto, e capitalista – ben s’intende) alla “sinistra
extraparlamentare” (per cui la Resistenza “rossa” continua... con la raccolta di firme per mettere
fuori-legge il MSI!).
Di fronte all’imperversare di falsificazioni e speculazioni “storiografiche” – ma non solo! –
d’ogni genere, il nostro Partito continua a svolgere il suo lavoro di critica marxista sulla realtà della
Resistenza. Ciò non tanto per “spiegare” cosa effettivamente la Resistenza fu o non fu, quanto per
trarre dall’organica impossibilità da parte di essa di risolvere il problema operaio – impossibilità
comprovata proprio da questo trentennio di ricostruzione “post-fascista” e spietato dominio
capitalista –, le lezioni necessarie per la ripresa della classe. Un lavoro del genere è tanto più
irrinunciabile in una situazione come l’attuale in cui si manifesta (magari ammantata di rivestimenti
ideologici “neo-resistenzialisti”) un primo risveglio del movimento rivoluzionario: ma se questo
vuole davvero raggiungere la sua maturità non potrà prescindere dalla dura opera di critica che le
forze della Sinistra portano avanti da trent’anni.
Quale contributo documentario, ripresentiamo ai lettori il capitolo conclusivo dello studio su
“Il Proletariato e la seconda guerra mondiale”, apparso a puntate sull’organo del nostro partito di
allora, tra il ‘47 e il ‘48. Le grandi questioni vi sono trattate sinteticamente, di scorcio, con qualche
inevitabile approssimazione. Ma quel che esso perde in completezza lo acquista in un’immediatezza
di esposizione, che risponde alla urgenza della battaglia antiopportunista di quegli anni che (in
condizioni rese più gravi dall’ulteriore riflusso del movimento di classe in corrispondenza al clima
di guerra fredda) fummo i soli a sostenere sul piano di un rigoroso attaccamento alle posizioni
marxiste. Soprattutto vi è vivo il richiamo “a caldo”, di battaglia, alle vicende della nostra corrente
di sinistra, enucleatasi dopo la svolta stalinista del “socialismo in un solo paese” cioè, in Italia, dopo
il III° Congresso di Lione del PC d’I. (1926).
Occorre fare alcune precisazioni a questo proposito.
La Sinistra italiana non pretese mai di isolarsi in sé stessa, di rivendicare a sé una sorta di
privativa “nazionale”; al contrario, essa espresse l’esigenza di un programma rivoluzionario unico
quale condizione dell’enuclearsi di una corrente comunista internazionale. Perciò diciamo che – sot-
to questo profilo – Trotzkij e Bordiga stanno sotto un’unica bandiera, interpreti di una stessa lotta
contro l’opportunismo, per il socialismo.
Ma il movimento trotzkista, privato del prestigioso leader bolscevico, non seppe salvarsi dal
naufragio della 3
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Internazionale: utilizzando per caricaturizzarle talune sfasature presenti nello
stesso Trotzkij, esso imboccò una via sempre più opportunista, all’insegna di sempre più arrischiati
(ed improponibili) fronti con le organizzazioni politiche dello stalinismo.
La guerra fece “precipitare” la situazione, aggravandola.
D’altra parte, neppure per la Sinistra italiana (a differenza delle note ottimistiche che nel
testo qui riprodotto qua e là compaiono) il calvario era chiuso. La formazione di una nostra
corrente, anche formalmente separata dal PCI, a Pantin (Francia), nell’esilio, nel ‘33, poté solo
porre i grandi temi sul tappeto, non risolverli all’immediato. I gruppi della sinistra ritrovatisi in
Italia, a partire dal ‘42, non potevano, a loro volta, non risentire gli effetti dei colpi combinati
portati dal fascismo e dallo stalinismo sulle stesse avanguardie di punta della classe operaia, e ciò si
espresse in un’inevitabile disomogeneità e in certo confusionismo programmatico, che solo a fatica,
e a prezzo di dolorose selezioni, poté essere superato negli anni successivi. Neppure il P.C.Int. nato
dall’incontro di questi gruppi poteva raffigurarsi quale organo di direzione rivoluzionaria
immediata della classe operaia. Il ciclo controrivoluzionario mondiale, apertosi nel ‘26, non
permetteva il ripresentarsi di una situazione simile a quella del primo dopoguerra. La riacquisizione
del programma marxista e non “la rivoluzione” era il terreno su cui dovevano misurarsi le scarse
forze rivoluzionarie rimaste integre dalla bufera controrivoluzionaria; e solo nel ‘53, con il
definitivo raggrupparsi di un certo numero di compagni attorno al “Programma Comunista” ed