Ad un anno dalla prima grande manifestazione contro la mega-base il presidio di Vicenza chiama ancora una volta a raccolta l’intero movimento contro la guerra e, di più, facendo un passo molto importante, chiama ad allargare la battaglia oltre le frontiere nazionali in una giornata di lotta internazionale, lanciando un ponte verso altri movimenti che in Europa si confrontano con lo stesso problema, con la stessa macchina di guerra ed oppressione. Questa è davvero la strada –tutta in salita certamente, perché non può contare su nessuna sponda istituzionale– su cui noi pensiamo occorra mettersi con decisione e coerenza: l’auto-organizzazione ed il collegamento fra tutti i fronti di lotta aperti, il coinvolgimento attorno alla vitale questione della pace (della pace vera che noi vogliamo) e della guerra (verso cui il capitalismo ci vuol precipitare intrappolati come topi) delle più vaste masse di sfruttati oggi ancora passivi, il ponte da gettare verso il movimento in campo negli Stati Uniti e quello verso i fratelli di classe che nel Sud del mondo oggi resistono e combattono –sia come sia– le aggressioni e l’oppressione dell’imperialismo.
La gente che a Vicenza ha tenuto il campo, pur fra inevitabili alti e bassi e arretramenti rispetto alla tensione originaria, ha dimostrato d’avere la necessaria testa dura e spina dorsale eretta così che ricacciarla a casa o prenderla per il naso non si è rivelata operazione facile. Né per il governo di centro-sinistra (che la base l’accetta, punto. In coerenza agli interessi da esso rappresentati e gestiti) che con la tipica melina italiota ha puntato e punta allo sfibramento e alla divisione del movimento di lotta. Né per i pseudo-amici, le pseudo-sponde parlamentari rappresentate dalla cosiddetta “sinistra radicale” cioè da quei 150 parlamentari, un autentico ammasso di larve, la cui “opposizione alla Base” risiede alla fin fine nel chiedere che alla mega-base stessa vengano trovati altri siti, magari possibilmente all’estero (siano “altri” a grattarsi la rogna!) così da evitare quella incredibile serie di doppi e tripli salti mortali di fronte al movimento ed al proprio stesso popolo dinnanzi a cui ci si presenta con altisonanti parole ed istanze di pace mentre si sostiene un governo del Capitale che (necessariamente) la guerra la deve preparare ed in effetti la sta già facendo.
Sappiamo che dentro il movimento attivo sul territorio è ben presente –forse largamente maggioritaria– la tendenza naturale e spontanea a pensare di risolvere il problema che ci si ritrova in casa delimitandolo alle problematiche locali e di grave impatto ambientale, eludendo fin dove possibile le questioni politiche più generali implicate nella lotta contro la Base, concentrando la protesta verso la ricerca di una soluzione in ambito territoriale in cui un qualche accomodamento col governo è pur sempre possibile trovare. Questa tendenza spontanea presente del tutto legittimamente nella massa attiva a Vicenza ritiene che attraverso questa strada sia da un lato più facile un ancora più ampio coinvolgimento nella lotta e dall’altro più “a portata di mano” una risoluzione positiva del problema aperto sul proprio territorio.
Ma proprio su questa tendenza spontanea punta il governo prima per depotenziare la protesta, poi per sfinirla e soffocarla. E su di essa agisce anche, muovendosi di conserva col governo in questo senso, la sopradetta “sinistra radicale” la cui funzione obiettiva è quella di coprire con una sequela di discorsi “pacifisti”, “solidaristi”, “multipolaristi” a secondo dei casi gli interessi del capitalismo e dell’imperialismo italiani camuffati dietro le cosiddette “missioni di pace” come Padre Zanotelli, in mezzo al silenzio generale da egli spezzato, ha di recente molto ben denunciato.
Chi punta a localizzare e soffocare la lotta di Vicenza approfitta inoltre del peso di una questione che rimane ancora irrisolta dentro al movimento ma a cui non ci si può sottrarre: anche ammesso in ipotesi che a Vicenza si riesca a trovare in qualche modo una forma di “accomodamento” che venga incontro al disagio della popolazione e del territorio, può il movimento contro la guerra fermarsi a questo, quasi alla maniera dei cittadini di Aviano i quali protestavano, al tempo dei bombardamenti sulla Jugoslavia, per il rumore prodotto nelle loro case dall’incessante traffico di morte sopra “i loro cieli” senza mettere in discussione la guerra imperialista stessa? Può davvero il movimento contro la base e quello contro la guerra limitare dentro questo orizzonte locale e “pragmatico” la sua opposizione?
Noi pensiamo come sia ben vero che l’opposizione alla guerra da qui nasce, dalla reazione ai suoi effetti sulla vita quotidiana delle persone, dai rumori all’inquinamento dell’aria e delle falde, dagli arsenali atomici dietro l’angolo di casa, dal degrado aggiuntivo di una città ridotta a super-caserma invasa da militari disumanizzati dalla “professione” e in vena di esibizioni e svaghi poco edificanti. Ma se da questo dobbiamo partire, a questo non ci possiamo fermare. Se lì ci fermassimo il governo avrebbe presto o tardi gioco facile a dimostrare la buona volontà dei suoi presunti correttivi, mentre gioca tutti i giorni la partita vera che è quella della legittimazione della sua politica imperialista esercitata sulle masse sfruttate delle periferie del mondo.
Noi pensiamo che la battaglia contro i danni ambientali vada raccordata al necessario rilancio della battaglia politica della classe lavoratrice sulle cui spalle è scaricato il costo crescente del militarismo, un cancro che contribuisce al degrado materiale ed umano in generale di questa società borghese in disfacimento. Occorre perciò con chiarezza ribadire che “non vogliamo la Base perché siamo contrari alla vostra guerra cui essa è preordinata”! Questo è il “realismo” –che non scansa lo scontro politico impostoci– a nostro avviso necessario per suscitare e richiamare in campo l’indignazione e la partecipazione più ampie della nostra gente per proseguire la lotta.
Questo passo che occorre con forza ribadire è reso ancora più necessario dal sinistro incedere della guerra preventiva, dall’Afghanistan alla Palestina all’Iraq. E quand’anche sia ben possibile che nuovi altri fronti (vedi Iran) non vengano in breve tempo aperti né la evocata (da Bush) guerra mondiale stia dietro l’angolo, quello che invece è assolutamente certo è che sostanze infiammabili si stanno diffondendo ai quattro angoli del pianeta. Dai vicini Balcani in cui bande di autentici criminali come gli attuali “governanti” del Kosovo possono dar fuoco alle polveri in qualsiasi momento venga loro dettato da chi gli tira i fili, ai confini della Russia che alle evidenti provocazioni risponde, da grande potenza borghese e capitalista quale è, con la stessa terribile moneta e cioè riarmando, fino alla lontana Cina di cui i capitalisti occidentali ci martellano sulla ingombrante invadenza da contenere salvo averne vitale bisogno per i loro traffici di merci e denari. Siamo dentro e dobbiamo contrastare insomma un evidente corso verso un baratro sempre più profondo, originato dalle contraddizioni in cui si dibatte il capitalismo mondiale, dalla feroce competizione sui mercati sui quali il Capitale trascina il proletariato in una universale concorrenza. La base Dal Molin è un tassello dentro questo quadro generale, ed a questa dimensione dobbiamo considerare e porre la nostra opposizione ad essa.
Dentro questo quadro generale allora noi diciamo che il corso verso la guerra del Capitale non può essere effettivamente contrastato, come è doveroso e possibile fare, se la mobilitazione in Italia ed in Europa venisse indirizzata esclusivamente contro gli USA, omettendo il ruolo e la responsabilità dell’imperialismo di casa nostra. La strada che certe sirene “pacifiste” ci prospettano, quella di una autonomia del “nostro paese” e dell’Europa dai guerrafondai americani di cui i nostri Stati capitalisti sarebbero semplici “subordinati e sudditi” (i più espliciti e coerenti “pacifisti” e/o “anti-imperialisti” di tale pasta parlano espressamente della necessità per l’Europa di costituire un proprio esercito, possente e autonomo!) porta in realtà diritta all’intruppamento sciovinista in chiave italiana ed europea ed aprirebbe le porte alla chiamata di guerra qualora un domani venisse condotta e propagandata in nome degli esclusivi interessi della “nostra nazione” o di un blocco borghese europeo liberatosi “dal giogo” di Washington.
Proviamo invece a vedere l’altra faccia del dominio globale del Capitale: esso suscita opposizione e risveglio di lotte nell’intera umanità degli sfruttati, pensiamo solo alla ripresa del conflitto sociale nell’Europa dell’Est dalla piccola Slovenia, alla Polonia, alla Rep. Ceca. E la nostra classe ancor di più sarà risospinta dalle determinazioni materiali a rimettersi in piedi, questo fin dentro “il cuore della bestia” cioè dentro gli Stati Uniti. Già oggi interi popoli si oppongono alle politiche neo-colonialiste dell’Occidente e resistono in armi alle armate imperialiste per sconfiggerle e cacciarle via: occorre riconoscere la funzione e la enorme valenza di queste Resistenze popolari che stanno inchiodando sul terreno il nostro stesso nemico contro cui qui a Vicenza ed in Europa ci battiamo.
Non ci sogniamo di farla facile. Vediamo benissimo quanto le resistenze messe in capo dagli sfruttati di ogni continente siano spaiate, divise, organizzate dietro fasulle bandiere di liberazione anche, e quanto lungo e tortuoso sia il cammino per arrivare ad un unitario movimento di lotta il quale tuttavia può rappresentare il vero e autentico sbarramento alla macchina di oppressione e guerra contro cui siamo chiamati a batterci.
L’opposizione al Dal Molin, il movimento contro la guerra in Italia ed in Europa siano e si riconoscano come una parte, un fronte di una battaglia generale in atto contro l’imperialismo.
SIAMO CONTRO LA BASE PERCHE’ SIAMO CONTRO LA GUERRA DEL CAPITALE!