volantone per la manifestazione del 20 ottobre 2007
Noi tutti siamo qui, essenzialmente, per altri motivi. Perché misuriamo nelle nostre tasche gli effetti di un’azione governativa che ci penalizza pesantemente e che, nel frattempo, ha invece già ben accolto i “segnali” ed i “pungoli” mandati da Montezemolo e dalla Confindustria che, a ragione, possono ben rallegrarsi di aver ottenuto da un governo di centro-sinistra quello che neppure da Berlusconi si era potuto ottenere. Siamo qui a batterci per noi, gli eterni esclusi dal gioco della presunta “redistribuzione delle ricchezze” capitalisticamente accumulate. Ma davvero lo possiamo fare sulla base dei presupposti dei promotori di questa manifestazione? Intendiamo gettare sul piatto una piattaforma rivendicativa ed un piano di lotta da imporre al governo (a questo presunto “amico”come a quello duro e forte in senso antiproletario che si approssima) sulla base della nostra forza ed organizzazione di classe oppure continuare a fungere da massa di manovra e appoggio per manovre tutte giocate sul piano istituzionale/parlamentare in cui dovremmo ridurci a chiedere “protezione per i deboli”? Perché qui sta il punto: qualora ci facessimo legare le mani da un cosiddetto “realismo” che ha come unico orizzonte gli equilibri ed i maneggi parlamentari/istituzionali e rinunciassimo a imporre sul campo con un coerente piano di mobilitazione e lotta le nostre istanze e le nostre rivendicazioni, finiremmo dritti chiusi nell’angolo. Da un lato ogni calcolo di moderazione e di rinuncia ad una coerente azione di classe non garantisce nemmeno le “nostre postazioni” (a nostro avviso: presunte “nostre postazioni”) sul piano parlamentare/istituzionale – e per affermarlo non dobbiamo aspettare il momento in cui i poteri capitalistici decideranno di assestare un calcio nel sedere alla cosiddetta “sinistra radicale” – dall’altro si spalancano le porte a che sul malcontento e sulla rabbia più o meno sorda delle masse allunghino le mani una serie movimenti ed organizzazioni apertamente reazionari, come già da ora verifichiamo in particolare al Nord non solo con la penetrazione leghista nella classe ma perfino con una certa agitazione di stampo populista/”peronista” messa in campo dallo stesso Berlusconi. Il vuoto lasciato dall’assenza o dall’inconsistenza di una politica e di una organizzazione di classe è e sarà sempre di più riempito dall’azione, dalla politica e dagli interessi delle classi borghesi!
Già oggi esistono una massa di lavoratori e una serie di movimenti (dal sindacalismo auto-organizzato, ai comitati No Dal Molin/No Tav, alle associazioni più avanzate degli immigrati) che ben a ragione non accettano la prospettiva suicida del “pungolo al governo” che non pungola niente. Noi, comunisti internazionalisti, avremmo voluto avere qui presenti questa massa di compagni perché le ragioni che smuovono questa manifestazione sono, al di là del quadro istituzionale che le si è voluto dare, le loro stesse. E per questo semplice motivo noi chiamiamo chi oggi è qui ad essere presente alle manifestazioni di lotta che questi compagni andranno ad organizzare. Non c’è, al fondo, divisione fra chi partecipa a questa manifestazione e coloro che ne faranno delle altre, slegate dal ricatto del “governo amico”. Siamo tutti sulla stessa barca; l’importante è trovarne il timoniere. E proprio su ciò dobbiamo ragionare.
Le misure previste dall’accordo delle “parti sociali” e governo sono state sottoposte ad un referendum che, secondo alcuni, avrebbe sancito l’approvazione ad esse da parte dei lavoratori. In realtà il NO è risultato vincente in tutte le situazioni in cui la nostra classe mantiene una sua struttura organizzativa di lotta, in particolare fra i metalmeccanici ma non solo (vedi certe strutture dei call-center). Ed è qui, al di là delle percentuali bulgare globali, il nocciolo della questione. Come dice la stessa Rossanda: “l’andamento delle consultazioni indette dai sindacati dimostra che sia i pensionati che i lavoratori dipendenti sono ormai determinati dalla paura di perdere anche il poco che hanno. Vale per ogni categoria che sia venuta via via rinunciando al conflitto”. Dove c’è conflitto il NO prevale, e da qui (dal cuore della nostra classe!) deve ripartire un processo di riaggregazione dell’insieme della nostra forza antagonista. “Strano” a dirsi, neppure molti esponenti del NO si sono più di tanto sbilanciati anzi hanno detto: “non lavoriamo a far cadere questo governo” ma solo a mandargli degli ulteriori... segnali di allarme sociale.
Ebbene, se tutte le lamentele su questo governo che “lede gli interessi dei lavoratori” hanno un senso, non resta che riconoscere una cosa: che si tratta di un governo dei padroni, del capitale; senza di che non si capirebbe il ruolo dei Padoa-Schioppa, dei Montezemolo che approvano (alzando sempre, com’è logico, il prezzo), della merda mastelliana, rutelliana ecc. ecc.. E, domani, del “veltronismo”, pronto ad accogliere nel seno “riformista” i grossi manager industriali alla Marchionne (al cui “stile innovativo” si china peraltro lo stesso segretario del Prc!) contro il “corporativismo” dei nostri meschini interessi di classe e a licenziare una volta per tutte dal proprio governo le “sinistre estreme” dopo che esse hanno utilmente svolto il loro ruolo di ingabbiamento della classe lavoratrice.
Nessuno schifa più di noi la prospettiva di un ritorno di Berlusconi, della destra, al governo. Ma questo esito è semplicemente il risultato dell’azione del governo attuale, che, semmai potesse riciclarsi al potere, già annuncia il licenziamento della cosiddetta “sinistra radicale” dai suoi ranghi nella prospettiva alla Blair-Sarkozy cioè un governo forte a mani libere antioperaie. Il pericolo vero non è, di per sé, il ritorno di Berlusconi al governo, MA IL NOSTRO DISARMO PREVENTIVO. Quando Berlusconi governava noi abbiamo saputo reagire, facendo pesare le nostre ragioni. Oggi ci troviamo immobilizzati di fronte ad un governo del capitale in veste di centro-sinistra e rischiamo tanto più di esserlo di fronte ad un ritorno della destra, cui dovremmo rispondere sottoscrivendo una “alternativa” padronale “di sinistra”.
La vera via d’uscita per noi è la ricostruzione di un tessuto di classe, a partire dalla questione sindacale che non possiamo riconsegnare alle direzioni attuali, legate allo Stato capitalista di cui sono una cinghia di trasmissione, sino a quella politica che significa la ricostruzione di un autentico partito comunista. Non illudiamoci! Il capitalismo non può “ridistribuire” le ricchezze che accumula, ma solo concentrarle e centralizzarle.
L’unica sua possibilità di concederci delle briciole deriva dalla sua capacità imperialista di farsi valere nel gioco della concorrenza internazionale, sia detto chiaro e tondo per esempio a chi dalle file della “sinistra radicale” parla di una possibile “Europa sociale” la cui natura potrebbe essere diversa se non opposta rispetto al capitalismo selvaggio e guerrafondaio americano. L’unica possibilità di concederci delle briciole risiede quindi nel potenziale di guerra del nostro capitalismo che l’attuale governo, in continuità coi precedenti, ha dispiegato nel mondo dalla Jugoslavia, all’Afghanistan, al Libano. Con un nuovo fronte di guerra, in Iran, forse prossimo ad aprirsi col suo seguito di orrori e morti: i pochi, al momento, “nostri” e i troppi “altrui”!
Nella nostra società esiste già un potenziale costituito da una massa di lavoratori italiani che dice NO all’attuale deriva padronale rivestita di colori di centro-sinistra e da una massa di lavoratori immigrati che esprimono la propria ripulsa contro una politica imperialista neo-coloniale contro i propri paesi d’origine. Questo è il nostro vitale serbatoio di forza se davvero intendiamo esprimere e far valere i nostri interessi di classe.
Ben venga, dunque, questa manifestazione a misura che essa sappia aprirsi a questa vitale prospettiva e non rinchiudersi in un tentativo di rabberciare un quadro che è già definito, fuori e contro di noi. Siamo solo agli inizi della battaglia. Che essa sia la nostra, in questa piazza e in tutte le altre occasioni di lotta che si stanno intraprendendo, al di là di ogni e qualsiasi “sigla” che intenda promuoverla. Le sorti di esse dipendono da noi.