Volantone per la manifestazione FIOM a Roma del 18 maggio 2013
Governi Berlusconi, Monti, Letta: alla continuità dell’offensiva
antioperaia va opposta la continuità di un vero movimento di lotta!
Oggi i metalmeccanici della Fiom tornano in piazza dopo un lungo periodo di assenza della mobilitazione, quanto mai necessaria in un quadro di minaccioso peggioramento delle condizioni presenti e future del proletariato, attaccato senza sosta dal capitalismo nello scenario di crisi.
A decretare la sospensione della lotta è stato il vertice Cgil, che nulla ha opposto alla cancellazione dell’art. 18 e alla “riforma” Fornero sulle pensioni. Ma la sospensione è stata assecondata anche dai segretari nazionali Fiom, né possono dirsene estranei SEL e le “sinistre radicali”.
Tutti costoro, approssimandosi le elezioni, hanno dismesso ogni precedente idea di mobilitazione, puntando le proprie carte sul risultato delle urne, più o meno accordandosi tra loro per “nuovi” equilibri istituzionali con un centro –“sinistra” atteso vincitore, e soprattutto rilanciando l’aspettativa che ne potesse derivare un mitigamento dell’offensiva antioperaia (aspettativa infondata, per un centro –“sinistra” già ampiamente dimostratosi “più realista del re” quanto a “responsabile” sottomissione ai diktat del capitalismo nazionale).
La lotta dei lavoratori, lo si sa, è massimamente sconsigliata per il “buon esito” delle elezioni, dove si punta ad acchiappar voti in tutte le direzioni e a concordare “più ampie convergenze”. E’ proibita, poi, se la mobilitazione promossa (come che sia) contro Berlusconi, la si sarebbe dovuta proseguire contro il governo Monti sostenuto dal PD, e in vista di un auspicato nuovo esecutivo del PD stesso.
In questo contesto gli appelli pietistici provenienti dai vari leaders della “sinistra” politica e sindacale, dove si richiamano le drammatiche difficoltà di settori sempre più ampi di lavoratori e si chiede di “rimettere al centro il lavoro”, non significano proprio nulla, se intanto è stata messa nel congelatore la lotta! E a conti fatti gli appelli delle pseudo –“sinistre” in lizza non hanno convinto neanche i lavoratori, se il risultato del voto è stato deludente per la coalizione PD-SEL e ancor più drastico per la “sinistra” non coalizzata al PD.
Ora la Fiom chiama a tornare in piazza, denunciando il governo Berlusconi che “ha negato la crisi lasciando che i ricchi si arricchissero sempre di più”, e il governo Monti che “l’ha usata per legittimare le politiche di austerità”. In realtà sul centrale versante dell’attacco antioperaio c’è stata piena continuità di azione tra il governo PDL-Lega e la Grande Coalizione di Monti sostenuta da PD, PDL, UDC. La libertà di licenziamento, la derogabilità assoluta dei contratti, l’allungamento dell’età pensionabile, i tagli alla spesa sociale, la gragnuolata di ulteriori tasse, etc. etc. sono il risultato della staffetta tra questi governi che hanno operato al servizio del capitalismo italiano, secondo i dettami della “santa alleanza dei capitalisti europei” (di cui l’Italia fa parte a pieno titolo). Il capitalismo nella crisi difende i profitti falcidiando posti di lavoro a centinaia di migliaia, mentre con le politiche di austerità si sostengono i conti traballanti di banche e Stati, rassicurando gli “investitori privati” che mai sarà messo a rischio il loro giro di incassi.
Sotto l’esecutivo Berlusconi il vertice della Fiom in una prima fase ha chiamato alla lotta. La segreteria della Cgil si è ben guardata dal mobilitare l’insieme dei lavoratori e in questo modo l’attacco padronal-governativo è andato a segno, contro i metalmeccanici e contro l’intero mondo del lavoro. Non che la Cgil non abbia indetto scioperi, ma lo ha fatto con il solo obiettivo di indebolire l’esecutivo di centro-destra in vista della (poi mancata) rivincita elettorale, ovvero con scioperi proclamati in puntuale ritardo rispetto alle cadenze dell’offensiva antioperaia, giammai unificando l’intero mondo del lavoro attorno alla lotta dei metalmeccanici, e soprattutto vanificando gli scioperi con la finale sottoscrizione degli accordi di capitolazione in un primo tempo contestati.
Non a caso nello sciopero Fiom del 9/03/2012 il segretario confederale Vincenzo Scudiere è stato contestato in piazza San Giovanni da una piazza operaia, attenta e partecipe, che reclamava a brutto muso lo sciopero generale, iniziando a presentare il conto allo stato maggiore della Cgil per un’opposizione finta che lasciava i metalmeccanici soli a sostenere lo scontro. Scudiere ha concluso il suo intervento (fischiato fino all’ultima parola) con Landini e Airaudo comparsi improvvisamente sul palco a scrutare una piazza decisamente ostile al confederale Cgil.
Invero sin dall’autunno del 2011, quando Berlusconi sembrava stracotto e le elezioni ormai vicine, lo stesso vertice della Fiom ha iniziato a frenare la lotta dei metalmeccanici, piegandola ai calcoli della partita elettorale del centro –“sinistra”. Dall’apparentamento elettorale con SEL, a sua volta impegnata a coalizzarsi con il PD, è derivato un limite invalicabile alla contestazione della politica della Cgil, e un sostanziale accordo per una sorta di “convergenze parallele” dove, pur continuando la recita sulle “posizioni della Fiom diverse da quelle della Cgil”, la segreteria Fiom ha assecondato il progressivo svilimento della mobilitazione per lasciare campo libero alle strategie elettorali.
Ora è verissimo che la lotta sindacale non basta e che occorre la cosiddetta “sponda politica” (che oggi non c’è, come tante volte ha rilevato Rinaldini). E’ vero che la lotta non può restare confinata allo specifico campo sindacale, ma deve poter essere inquadrata in un programma complessivo che porti avanti la visione generale e il punto di vista dei lavoratori sull’insieme delle questioni che si agitano nel rapporto tra le classi, così contrastando il corrispondente e onnilaterale protagonismo politico delle classi dominanti. Che però questo compito, che esprime la necessità della ricostituzione del partito di classe, vada concepito nella direzione percorsa dal vertice della Fiom, noi questo lo neghiamo nel modo più netto.
In tempi ormai trascorsi il proletariato italiano considerava il PCI “il proprio partito” (ridotto progressivamente a mera “sponda politica” dei lavoratori nelle istituzioni, sulla quale comunque poter contare). Ma, se quella “sponda” (con il suo epilogo PD-SEL-RC) ai giorni nostri ha così miserevolmente esaurito ogni funzione utile per i lavoratori, sicché non li rappresenta né i lavoratori se ne sentono rappresentati, diventa necessario chiedersi attraverso quale decorso ciò è accaduto! Non basta dire: “oggi il lavoro non è rappresentato, occorre il partito del lavoro”. Occorre anche chiedersi le ragioni dell’evaporazione del partito che fu, per vedere in quale direzione si ricostruisce il protagonismo dei lavoratori e in quale altra invece si continuerebbe ad annichilirlo sempre di più.
Noi diciamo che è stata la lontana rinuncia al programma di classe a far sì che l’adesione della massa operaia al partito “erede dell’Ottobre” venisse messa al concreto servizio della contrapposta causa del capitalismo nazionale (quella “causa nazionale” che Napolitano evoca a ogni piè sospinto per spostare il quadro politico sempre più a destra). Un filo di continuità con l’Ottobre comunista che ancora in tempi relativamente recenti non era del tutto spezzato nei sentimenti della massa operaia, se Berlinguer ritenne di dover dichiarare “esaurita la spinta propulsiva dell’Ottobre”!
Per venire ai nostri giorni, quale protagonismo operaio, quale “sponda politica” sono possibili nel connubio e nelle coalizioni centro –“sinistre” con immarcescibili democristiani, dove alla buona occorrenza non si disdegnano percorsi in comune con i “tecnici”alla Monti, se non addirittura con il cavaliere di Arcore? Perché questo è il reale orizzonte politico centro –“sinistro” all’interno del quale ci si è illusi di poter identificare e utilizzare una “sponda politica” per la lotta dei lavoratori!
La ricerca della “sponda politica” secondo questi canoni ha di fatto azzerato e vanificato il pur parziale protagonismo di lotta già messo in campo con sacrificio dai lavoratori metalmeccanici, mentre non è accettabile pensare che i lavoratori possano riconquistare la propria “sponda politica” mettendo la sordina alla lotta, perché su queste basi si azzera, invece, ogni indipendente protagonismo politico della classe operaia!
La “sponda politica” di cui ha bisogno il proletariato è quella che si alimenta della lotta e non che la spegne, che si pone sempre al centro dello scontro politico e non che accetta periodicamente di svuotare e ammutolire le piazze per lucrare qualche scampolo di mini-rappresentanza in un parlamento estraneo e ostile al proletariato! Il centro della vita politica non sono i palazzi istituzionali, ma la società dove si determinano i reali rapporti di forza tra le classi. Lì la “sponda politica” proletaria deve essere sempre presente, attiva, protagonista!
Landini reclama “un nuovo corso con il lavoro al centro”, ma poi affida il “nuovo corso” all’ennesima conta elettorale (con quale possibilità di diverso esito rispetto alle recenti elezioni?) o ad altre alchimie di continui rassembramenti di “nuovi” “stati maggiori”, sempre subordinando la mobilitazione a questi calcoli.
Si dice ancora che si tratta di costruire una “sinistra di governo”. Ma perché non si prende atto che i cosiddetti “governi amici” con “la sinistra” al governo hanno regalato solo pesanti arretramenti ai lavoratori, mentre per decenni i lavoratori hanno strappato i propri diritti contro i governi democristian –“socialisti” solo e unicamente con la lotta di piazza (lotta riformista ma vera), in tal modo condizionandoli veramente quei governi?! Non si tratta di “andare al governo” castrando gli interessi e il protagonismo dei lavoratori, si tratta di affermarlo il protagonismo dei lavoratori rivendicando il potere di decisione politica alla classe che lavora e produce, se veramente si vuol “mettere il lavoro al centro”. Non è questo obiettivo propriamente dietro l’angolo? Lo sappiamo, ma il partito di classe lo si costruisce lavorando in questa direzione, e non riproponendo le “scorciatorie” dove pseudo-rappresentanze dei lavoratori, che abbiano preventivamente cambiato al 100% sostanza e pelle, vengano ammesse a occupare qualche scranno che non conta niente in governi comunque sottomessi agli interessi capitalistici. Così si costruisce non il protagonismo ma l’annichilimento politico della classe lavoratrice!
Siamo tutti consapevoli di quanto sia difficile la situazione. Ma le scorciatoie non esistono e a maggior ragione sono criminali le strategie che azzerano la mobilitazione nel vicolo cieco dell’elettoralismo e della politica istituzionale, perché così viene reso vano il sacrificio dei lavoratori, che non riescono a capitalizzare neanche i minimi punti di forza acquisiti con la lotta, se poi questi (invece di essere perseguiti coerentemente) vengono abbandonati e dispersi al vento.
Qual è la condizione del proletariato dopo mesi di logorree elettorali? L’unica certezza (palpabile anche in questa piazza) è che si riparte da posizioni di maggiore difficoltà e debolezza.
Quale “sponda politica” i lavoratori avrebbero mai potuto trovare nella coalizione guidata dal PD, dove l’astro in ascesa di Renzi deve il successo all’aver cancellato ogni riferimento alla realtà dell’antagonismo di classe? Quale sponda, se il PD è stato il più fedele sostenitore di Monti, essendo prontissimo a rinnovare l’alleanza? Chi sarebbe il principe azzurro che, baciando questi rospi, li trasformerebbe in magnifiche principesse, e la loro “austerità” in “cambiamento con il lavoro messo al centro”? Niente di diverso, peraltro, ha fatto la “sinistra più radicale”, laddove le istanze dei lavoratori sono risultate del tutto taciute e omesse dai portavoce di “Rivoluzione civile” (il tutto ben accetto ai “comunisti”, illusi che la carta Ingroia gli garantisse un bottino di voti!).
Quale “cambiamento” potesse conseguirsi su queste basi lo si è visto nella partita successiva al voto. Da un lato Bersani ha catalizzato a suo modo la resistenza dei settori del PD ostili alla riedizione dell’alleanza con Berlusconi, ma dall’altro è stato chiaro che al fondo di questa resistenza non c’entrava nulla “il lavoro da rimettere al centro”, ma solo il rifiuto di una nuova alleanza con il cavaliere (in quanto riedizione di un gioco al massacro – elettorale – del PD, già misurato con il suo “leale sostegno” a Monti a petto dello spregiudicato smarcamento di Berlusconi). Lo scontro confuso apertosi nel PD ha lasciato a terra Bersani finanche nella sua ultra-minimale (e irragionevole dal puto di vista degli interessi del capitalismo nazionale, visto l’esito elettorale) ripulsa di nuovi abbracci con il PDL, spalancando le postazioni di comando nel partito ai democristiani di lungo corso e ai renziani in ascesa, in tandem con la regia di Napolitano, propostosi egli stesso come referente del nuovo “compromesso storico” con i democristiani interni ed esterrni al PD e con tutto il restante arco montiano e pidiellino. In ciò disvelando un punto di approdo della traiettoria del PD sempre più lontano e contrapposto alle sue lontanissime origini, e con ciò segnando l’ulteriore marcato spostamento a destra dell’intero asse della politica nazionale.
Peraltro, una volta preso atto che il risultato elettorale non spalancava le porte al governo PD-SEL, non meno improbabile e ridicola è apparsa la subitanea conversione del programma di “cambiamento” in funzione (per quanti nel centro –“sinistra” hanno inteso sostenerla) dell’alleanza PD-Movimento5Stelle. Ennesima “realistica” scorciatoia. Ovvero: poiché, dopo oltre 60 anni, per la seconda volta sparisce dal parlamento ogni rappresentanza pseudo –“comunista”, si è voluto credere allora, realismo per realismo, che la “nuova sponda politica” sostitutiva e bell’e pronta potesse essere il M5S, da accreditarsi questo di chissà quali coefficienti di opposizione (e addirittura “opposizione anticapitalista” si è sentito dire da certa “sinistra estrema”!).
La realtà tutto al contrario vede confermato, dopo il governo Monti, un quadro di centralizzazione di tutte le forze politiche unite in una nuova Grande Coalizione e allineate ai diktat del capitalismo nazionale. Un quadro che ha travolto tutte le “realistiche” scorciatoie per “una sinistra di governo”, mentre il M5S, che pur ha raccolto consenso e aspettative, con la sua monocorde e confusa battaglia anti-casta si dimostra del tutto inconsistente in quanto presunta opposizione a questo quadro politico che avanza minacciosamente contro i lavoratori.
La stretta capitalistica di Monti contro i lavoratori viene dunque sostanzialmente confermata con il governo Letta. Non ingannino le promesse sull’IMU e quant’altro, perché nulla giungerà a lenire il disagio che colpisce fasce sempre più ampie di proletariato, mentre, stabilizzato l’avvio del governo, le promesse da campagna elettorale lasceranno il posto alla gestione della crisi dal punto di vista degli interessi del capitalismo, che sono quelli di salvaguardare i capitali e i profitti costi quel che deve costare per gli altri (tra tante cose vaghe, l’unica cosa certa detta da Letta è che la “riforma Fornero” verrà rivista nel senso della maggior precarizzazione dei contratti a termine).
Una centralizzazione alla quale il vertice della Cgil si è subito allineato, dal momento che, dopo la caterva di accordi separati con i quali Cisl-Uil in questi anni hanno accettato tutti i ricatti imposti dai governi e dal padronato, ora la Cgil ricompone l’unità con questi sindacati sulla base dei cosiddetti patti su “produttività e sviluppo” e “sulla rappresentanza” sottoscritti con Confindustria. In particolare si sottoscrive che la rappresentanza dei lavoratori spetta soltanto ai sindacati che firmano gli accordi e si impegnano a farli rispettare. Lo stesso vertice della Fiom, mentre ancora contesta nei tribunali gli accordi sottoscritti separatamente da Fim-Uilm, non denuncia né i contenuti della riconciliazione con Cisl-Uil né il “patto sulla rappresentanza”, così contraddicendo platealmente tutto quanto ha portato avanti finora.
Se la finta opposizione della Cgil (quella a corrente alternata, solo contro i governi di centro-destra per danneggiarne l’immagine, senza opporre una reale resistenza alle politiche antioperaie) non sta in piedi e certo non la rimpiangeremo, è altrettanto vero che la linea oggi vincente di Cisl-Uil, la linea della sottomissione totale ai diktat padronal-governativi, giammi potrà garantire, attraverso la cosiddetta “coesione sociale” cioè la totale rinuncia dei lavoratori a difendersi, quei minimi ripari in termini di “ripresa degli investimenti, nuovi posti di lavoro, allargamento degli ammortizzatori sociali” come i vari Bonanni-Angeletti vorrebbero far credere.
La stretta capitalistica non mancherà di bruciare amaramente anche l’illusione che non ci sia da far altro che chinare il capo e piegare la schiena, perché in tal modo, pur soffrendo, se ne potrà uscire. Così non sarà e solo la ripresa della lotta potrà iniziare a porre fine alle nostre sofferenze. Il vero volto del capitalismo e delle sue politiche anticrisi è quello che (in un capitalismo mondiale dove centro e periferie sono ancora lontani ma sempre meno distanti) si vede nel massacro di Dacca in Bangladesh, dove svariate centinaia di lavoratrici e lavoratori tessili sono morti perché costretti a lavorare in uno stabile fatiscente dove si produceva per i più importanti marchi del tessile mondiale (italiani compresi). E’ questa la reale sostanza delle politiche anticrisi del capitalismo!
A questa sostanza i lavoratori non possono e non devono sottomettersi! Non c’è altra strada che quella di riprendere la via della lotta e del protagonsimo di classe! Prima decidiamo di iniziare a percorrerla e (un po’) meno impervio potrà essere il nostro cammino!
internet: www.nucleocom. org – mail: info@nucleocom.org – Casella postale n. 15347 00143 Roma Laurentino
17 maggio 2013