nucleo comunista internazionalista
interventi




Volantone per lo sciopero generale del 12 marzo 2010

Per i proletari non c’è uscita dalla crisi
senza un programma di lotta contro il capitalismo

Prima di tutto: è davvero venuto il tempo di parlarci fuori dai denti, di richiamare ad una riflessione profonda sul momento assai delicato che come classe lavoratrice stiamo attraversando. Prima che gli eventi ci sorprendano e ci travolgano, ossia sorprendano e travolgano una classe lavoratrice d’Italia sfilacciata, disorganizzata, senza fiducia in sé stessa, senza fiducia nella sua azione indipendente e nell’esercizio della sua propria forza di classe. In balia cioè dei giochi e dei disegni delle varie frazioni borghesi che si stanno scontrando accanitamente per gestire il potere, per servire gli interessi del capitale. Prima che gli eventi ci sorprendano: sia di fronte all’incalzare della crisi capitalistica mondiale ed alle sue ricadute drammatiche sulle condizioni del proletariato, sia di fronte allo scontro senza esclusione di colpi che è in corso sul piano politico e istituzionale fra frazioni, fra bande borghesi. Bianco-nero-verdi oppure rosa-viola che siano, una più intimamente anti-proletaria dell’altra (e non ingannino le fumisterie demagogiche e populiste con cui esse, tutte, si ammantano).
Ed allora: a che cosa deve servire, verso che cosa deve essere indirizzato l’odierno sciopero generale del venerdì? (che, piccolo dettaglio, in alcune province è stato disdetto per manifestare in altro momento unitariamente con Cisl-Uil, ciò in nome delle maledette “specificità locali” buone soltanto a dividere e debilitare le energie e la volontà di lotta dei lavoratori).
Deve essere, come l’intende la direzione Cgil, poco più di uno stanco rituale, uno sfogatoio del malessere sociale da incanalare e da utilizzare come sgabello per politiche borghesi e “governi amici” prossimi venturi; oppure un momento in cui, finalmente, ci si predispone ad unificare le lotte sopra ogni frammentazione territoriale e localistica, a far valere la forza di classe dei proletari attorno alla quale organizzare la difesa degli interessi e delle istanze della classe lavoratrice d’Italia?


I numeri della crisi

Le stime del FMI registrano per il 2009 un PIL mondiale inferiore a quello del 2008. Nonostante la Cina sia tornata nell’ultimo trimestre del 2009 a indici di crescita sostenuta, il tasso globale annuo di crescita del Pil mondiale è negativo o nella migliore delle ipotesi prossimo allo zero. Il Pil dei 30 paesi dell’Ocse si ferma a un secco 3,4%. Il Pil dell’Italia diminuisce del 4,9%.

indici I padroni corrono ai ripari tagliando l’occupazione e ridislocando i capitali: 8 milioni di posti di lavoro tagliati negli Stati Uniti dal dicembre 2007, 4,6 milioni tagliati in Europa nel 2009. In Italia la Cgil denuncia un milione e mezzo di posti di lavoro che saranno bruciati a fine 2010.

I governi hanno riversato una montagna di quattrini nelle voragini aperte dalle banche e dalle assicurazioni e a sostegno delle imprese. Questo si traduce nel rilancio del deficit di bilancio e del debito degli Stati: il deficit Usa supera il 10% e nell’Eurozona si supera il 6% medio. L’Italia avrebbe nel 2009 un deficit al 5,4% e un debito pari al 115% del Pil. Per capire cosa significhino questi numeri basta guardare ai paesi che in Europa hanno avviato le “manovre di risanamento”. Irlanda e Lettonia hanno ridotto drasticamente la spesa pubblica e i salari. In Islanda il parlamento ha votato una legge che mette a carico dei contribuenti il risarcimento agli investitori britannici e olandesi danneggiati dal fallimento della banca privata Landsbanki! L’intera Europa sta imponendo alla Grecia (dove i conservatori sono stati cacciati anche a seguito di un forte movimento generale di opposizione e dove ora il lavoro sporco è affidato al governo “socialista”, governo “amico” che il movimento di lotta deve predisporsi ad abbattere senza sconti) un piano fatto di riduzione dei salari, aumento dell’età pensionabile e della tassazione indiretta. Stesso dicasi per la Spagna, dove è stato annunciato l’aumento dell’età pensionabile fino a 67 anni (tanto per dire di quell’altro campione di Zapatero, idolo e faro fino all’altroieri della “sinistra” italiana).

L’Italia segue a ruota e il governo Berlusconi, dopo l’accordo separato che punta a smantellare il CCNL, ha approvato una legge che prevede per i neo-assunti contratti appositamente certificati che devolvono le controversie di lavoro ad arbitri chiamati a decidere “secondo equità”, ovvero in caso di licenziamento senza l’osservanza dell’art. 18 della legge 300...


La vera posta in gioco

Secondo la Cgil il governo Berlusconi “nega la crisi e non fa nulla per superarla”. Contro di esso si grida che la crisi “c’è ed è gravissima”, salvo poi circoscrive il problema alla “crisi delle politiche e del modello neo-liberisti” senza dire che ad andare in crisi è il sistema stesso del capitalismo.

Il governo, in realtà, sta facendo quello che soltanto può fare un governo borghese, e cioè salvaguardare i profitti sperando che le cose si aggiustino. Come tutti i governi borghesi scarica sul conto del proletariato gli effetti negativi della crisi e punta a rilanciare i profitti con nuovi capitali messi a debito dei lavoratori contribuenti e con nuove “controriforme” del lavoro. Perché l’unica ricetta ammessa dal capitalismo è quella che passa per lo schiacciamento del lavoro; è lì la fonte generatrice del valore e soltanto da lì può trarre linfa un sistema che ammette sfruttamento, disoccupazione e guerre, ma giammai assenza di profitti.

Le opposizioni e il sindacato reclamano “una vera politica industriale” e “l’intervento dello Stato per uno sviluppo fondato su innovazione, ricerca, energie pulite...” (!?). Ma queste sono pie illusioni. Quali sarebbero le “politiche industriali che proteggono il lavoro”? Quelle di Obama? E perché non si dice che gli aiuti statali a Chrisler e GM sono arrivati solo dopo che i lavoratori statunitensi hanno accettato i tagli occupazionali e la trasformazione dei propri crediti pensionistici in azioni delle aziende “risanate”? Si è detto che il governo italiano non ha fatto niente per supportare la Fiat a differenza del governo tedesco “sceso in campo a difesa della Opel”. Perché mai, allora, Opel dichiara 8.300 esuberi in Europa?

In realtà le “politiche industriali” che consentirebbero di salvare capra e cavoli tutelando insieme gli interessi dei padroni e dei lavoratori sono una chimera dannosa che indirizza la rabbia dei lavoratori verso la prospettiva debilitante di un’impossibile riforma del capitalismo con l’aspettativa di parzialissime “redistribuzioni” a proprio favore. Una strada senza uscita che, invece di temprare il proletariato contro l’ostacolo reale di un capitalismo irriformabile, ne annulla ogni protagonismo politico in proprio. La soluzione dei nostri problemi non sta nella possibilità di convertire alle “giuste politiche” gli sciacalli della finanza, gli squali industriali e i loro governi, né in astratti criteri di “equità” e “sostenibilità sociale” finalmente riconosciuti da chi oggi ci toglie il lavoro, ma nella quantità ed efficacia della lotta che sapremo mettere in campo, nella forza che sapremo opporre ai padroni e allo Stato (che intanto iniziano a scatenare la polizia contro le lotte dei lavoratori). Le soluzioni, che noi siamo obbligati a pretendere e a imporre, saranno soltanto il risultato di un vero movimento generale di lotta contro un sistema che non conosce soluzioni accettabili per la nostra classe. Per questo abbiamo bisogno di sostenere le nostre rivendicazioni immediate con la messa in campo di una prospettiva di alternativa globale al capitalismo.


La piattaforma della Cgil elude la vera portata dello scontro

Non va in questa direzione la piattaforma che indice lo sciopero di oggi. Uno sciopero lontano dai precedenti passaggi di mobilitazione (lo sciopero del 12/12/08 e la manifestazione del 4 aprile), e soprattutto segnato, come le precedenti iniziative, dall’inconsistenza della prospettiva con la quale si vorrebbero sostanziare le pur giuste rivendicazioni. E’ questo un punto di estrema importanza. Perché in difetto di una prospettiva adeguata che segni un effettivo passaggio di unificazione politica, in difetto della determinazione reale a unire le forze per una lotta efficace, anche le grandi kermesse si rivelano smobilitanti: e così è stato per il 4 aprile. Con il risultato che da allora ad oggi – ed è passato un altro anno – i lavoratori si sono ritrovati a difendersi da soli, a lottare azienda per azienda contro il fronte compatto di padroni, governo e Stato, in una miriade di mobilitazioni, presidi, picchetti, da ultimo duramente attaccati dalla polizia.

Si dice che “oggi la situazione è difficile”, che la Cgil è isolata con Cisl e Uil che continuano a firmare accordi separati ulteriormente peggiorativi. Questo è senz’altro vero. Ma occorre anche chiedersi: come è potuto accadere questo? Nel 1994 e nel 2002 le grandi mobilitazioni dei lavoratori non restarono affatto isolate e anzi valsero ad arginare l’attacco del centro-destra e del padronato. Cosa è accaduto? Come sono maturati “la forza del centro-destra” (e del padronato) e “l’isolamento della Cgil”? Sono maturati attraverso l’assenza di una prospettiva di classe che ha via via disorganizzato e smobilitato la forza già messa in campo. Sono maturati attraverso l’assenza programmata di ogni vera determinazione di lotta per mobilitazioni concepite come mera sponda e trampolino per la sfida elettorale del centro-sinistra. Sono maturati attraverso il sostegno della Cgil e della “sinistra” al governo Prodi, cui ha fatto seguito la clamorosa precipitazione del disorientamento politico dei proletari e dei lavoratori (con la Lega divenuta il primo partito operaio del Nord Italia)!

Quale credibilità può avere l’iniziativa di lotta, quale capacità di unificazione del mondo del lavoro, e quali consensi e attestati di solidarietà ancora più ampi può conquistarsi, se si è disposti a portare in piazza le proprie sacrosante ragioni solo quando al governo c’è il centro-destra? E’ doveroso opporsi a questo governo e noi qui siamo, ma occorre anche chiarire fino in fondo quale è la prospettiva generale della lotta. Noi siamo in piazza per la nostra classe e non per rimettere in sella un altro governo alla Prodi-Padoa Schioppa cui permettere un’altra volta di risanare i conti dello Stato scaricando il conto sul proletariato!

O il proletariato assume la coerente difesa dei propri interessi senza guardare in faccia a governi “amici”, dando accesa battaglia tra gli stessi lavoratori a quanti portano avanti questa prospettiva suicida, o esso continuerà a vedere le proprie forze disgregate e isolate, divise al carro delle più diverse sirene della borghesia, appartengano esse al centro-destra o al centro-sinistra, siano esse nazionali o padane.

I lavoratori hanno certamente la necessità di “mettere ordine ai conti dello Stato”, ma nel senso di ripulire la stalla dalla pletora di parassiti che grufolano nella greppia statale e non certo per continuare a pagare a vantaggio di costoro un conto sempre più salato. Ogni giorno sentiamo e vediamo insopportabili ed incredibili storie di mega-truffe, un verminaio di affaristi che fanno impunemente i loro affari: chi può mettere ordine, chi può spazzare via questa porcilaia? Possiamo ancora confidare nelle “mani pulite” dei “governi amici” che sono essi stessi parte integrante di questo sistema e che hanno dimostrato di sapere e volere soltanto scaricare il conto sui lavoratori? No! Ancora una volta ripetiamo che è solo la nostra scesa in campo come classe e come forza organizzata che può e deve fare pulizia. Abbiamo bisogno di pulizia sociale e “morale”, e da nessuna forza o governo borghese possiamo aspettarci nulla neanche su questo, essenziale, obbiettivo.

detroit

Il necessario carattere internazionale della nostra risposta di lotta

Oggi l’incedere della crisi sposta enormemente in avanti questi problemi, rendendoli più acuti. Anche per questo la piattaforma della Cgil è inadeguata. Si presenta come una sommatoria di rivendicazioni a carattere puramente nazionale, ma la crisi e la risposta di lotta ad essa già assumono una dimensione che travalica i confini nazionali. Oggi il problema non è solo la riforma fiscale in Italia. La questione da non scansare è che il proletariato dell’intero Occidente è chiamato a mobilitarsi per evitare che i governi gli scarichino addosso, insieme a una valanga di licenziamenti, anche piani di risanamento volti a risollevare il sistema in crisi e i conti pubblici. Oggi tocca a Grecia e Spagna, ma le ragioni che hanno portato in piazza i lavoratori greci sono le stesse che già si pongono e si porranno in Italia.

Ovviamente i governi europei tenderanno a procedere per gradi e a evitare che possa saldarsi la protesta oltre i confini nazionali. La vicenda greca evidenzia che i governi e le istituzioni del capitalismo mondiale si muovono all’unisono per presentare il conto ai lavoratori di un dato paese. Oggi i lavoratori greci lottano non solo contro il proprio governo ma contro l’intera impalcatura del capitalismo mondiale, che si gioca in Grecia una partita più ampia: far passare il disegno che devono essere i lavoratori, in Grecia e ovunque, a pagare il conto della crisi.

La piattaforma della Cgil non spende neanche un accenno di solidarietà per i lavoratori greci. Questo è un grave errore, anche perché i governi e le istituzioni europei puntano a isolare e contrapporre i lavoratori dei diversi paesi con argomentazioni del tipo: “il risanamento dei conti greci non deve essere pagato dai lavoratori tedeschi”. Se lasciassimo spazio a questa propaganda consentiremmo alla borghesia internazionale di procedere unita contro i lavoratori e di colpirci dopo averci isolato nazione per nazione e anzi mettendoci gli uni contro gli altri.

 

Separare il destino dei lavoratori da quello del capitalismo

Sempre più occorrono, invece, solidarietà e unità internazionale di classe del proletariato.

Proprio per questo sono da respingere i discorsi sui “padroni italiani che non sanno fare il proprio mestiere”, dove si azzardano improbabili distinzioni tra la competitività “al ribasso” che attacca i diritti dei lavoratori, e la competitività (buona?) derivante invece da “ricerca e innovazione” (come se non fosse vero che il padronato traduce anche l’innovazione in ulteriore spremitura del lavoro!).

Con ciò si rivestono le istanze operaie di argomenti fasulli calibrati sul criterio delle “compatibilità di mercato”, quando invece la competitività comporta pur sempre lo scatenamento della concorrenza tra lavoratori. Non c’è una competitività buona che gli operai possano rivendicare per sé, c’è la necessità di liberare l’attività produttiva dal profitto e dalla barbarie del mercato; c’è la solidarietà di classe e l’unità politica del proletariato mondiale da rimettere in piedi per conquistare questo obbiettivo.

Con il ricatto della crisi, infatti, il padronato punta a rilanciare alle stelle la competizione tra lavoratori cancellando ogni tutela residua. Al riguardo il sindacato e la Cgil portano responsabilità ben precise nell’aver concesso nel tempo ai governi e alle imprese le condizioni della più indecente “competitività al ribasso” in particolare a danno delle nuove generazioni. Oggi il padronato chiede condizioni di lavoro sempre più precarie e si moltiplicano gli accordi sindacali, separati e non, che hanno questi contenuti. Lo sciopero di oggi ha senso se si inizia a imporre l’alt alle politiche di precarizzazione del lavoro e a recuperare il baratro generazionale impedendo lo smantellamento totale di ogni tutela per chi entra nel mondo del lavoro.

Lo stesso vale per la “questione dell’immigrazione”, dove la sacrosanta rivolta dei lavoratori di Rosarno mostra il vero ed unico volto della “competitività”, insieme a un vero splendido soprassalto di lotta contro di essa. Non stupisce che un sindacato e una “sinistra” “responsabilmente” partecipi delle “esigenze di competitività del sistema Italia” fin troppo spesso hanno fatto finta di non vedere – quando non hanno avallato – quello che accade ovunque in Italia contro i settori più ricattati del proletariato (immigrato e non solo); mentre a conti fatti hanno dedicato soltanto generiche dichiarazioni ex post sulle condizioni di super-sfruttamento degli immigrati di Rosarno, guardandosi bene dal raccoglierne – loro che affettano ogni giorno inconsistenti contestazioni al centro-destra – il segnale di vera lotta di classe contro il capitalismo e contro il governo. La questione dell’immigrazione è una questione di classe e non di “accoglienza umanitaria”: l’integrazione dei lavoratori immigrati nel sindacato e nelle lotte è necessaria per mettere in campo un argine di lotta dell’insieme dei lavoratori contro il ricatto della competitività che azzera ogni diritto e ogni rispetto degli immigrati per innalzare lo sfruttamento di tutti i lavoratori.


Per l’unità internazionale dei lavoratori contro il capitalismo

Anche perché non si deve dimenticare che, se la crisi inizia ora a tornare nell’Occidente imperialista che l’ha generata, nei decenni passati l’Occidente ha potuto garantire la propria “prosperità” scaricando i disastri nelle periferie del mondo, e l’ Italia – dall’Iraq, alla Jugoslavia, all’Afghanistan – ha partecipato e partecipa appieno alla devastazione criminale che l’ipocrisia imperante ha preteso chiamare “missioni umanitarie di pace”! La guerra che i governi occidentali scatenano contro le popolazioni dei paesi del Sud e dell’Est del mondo non è “un’altra questione” che non ha a che fare con i temi dello sciopero, perché invece è la faccia esterna della stessa guerra di classe che i “nostri” governi conducono – con mezzi e politiche diversi, ma con finalità uniche: preservare i profitti – contro i propri lavoratori.

Le politiche di “interventismo statale a tinte sociali”, quelle alla Obama per intenderci, non a caso vanno a braccetto con la guerra e i massacri perpetrati in Afghanistan. A quanti da “sinistra” reclamano l’ “intervento sociale dello Stato” occorre ricordare che negli anni ’30 esso non garantì affatto l’uscita dalla crisi, perché, in cambio di misure sociali fino ad allora sconosciute (e oggi si parte da bilanci statali in profondo rosso), i governi (destrissimi e “centro-sinistri”) dell’Occidente imperialista poterono conseguire l’annullamento del protagonismo – e dell’internazionalismo – di classe dei lavoratori, conducendo al massacro della seconda guerra mondiale (ecco la loro vera ed unica soluzione della crisi!) un proletariato diviso nazionalmente e aggregato al carro delle borghesie nella competizione commerciale prima e nei fronti di guerra poi!!


tabacchifici

Chi non è accecato dall’illusione di poter “uscire dalla crisi” attraverso la “vittoriosa competizione” della “propria” azienda e dell’ “azienda Italia” supportate dallo Stato, in concorrenza e contro altri lavoratori che hanno i nostri stessi problemi, può vedere che le premesse della prospettiva di classe sono già in campo e sempre più saranno sollecitate a esserci e ad attrezzarsi alla lotta. Lo sono nelle proteste della piazza islandese che non vuole pagare i fallimenti delle banche; negli scioperi generali in Grecia, Spagna, Portogallo contro i piani europei di risanamento dei conti e l’innalzamento dell’età pensionabile fino a 67 anni, contro compagini governative “di sinistra”, in testa il “socialista” Zapatero idolo e faro fino all’altroieri della “sinistra” italiana; nella splendida lotta delle operaie “flessibili” dei tabacchifici in Turchia a supporto delle quali i sindacati turchi hanno indetto lo sciopero generale!!!

Lo sciopero di oggi deve guardare e collegarsi a queste lotte per costruire a livello internazionale l’unica vera via per il proletariato di uscita dalla crisi del capitalismo: quella che afferma – e non annulla – il proprio protagonismo politico contro il capitalismo e la sua crisi.

Occorre che i lavoratori ritrovino la fiducia in se stessi come forza organizzata di classe che unifichi le proprie forze attorno a un programma di lotta contro il capitalismo

nucleo comunista internazionalista

internet: www.nucleocom.org
mail: info@nucleocom.org
Casella postale n. 15347 00143 Roma Laurentino