nucleo comunista internazionalista
interventi



volantone per la manifestazione di Roma dell’11 ottobre 2008

La crisi attuale non è “berlusconiana”, ma globale, del sistema capitalista.
Ad essa ed al suo generale attacco alla classe proletaria
possiamo rispondere in un solo modo:
rimettendo in campo

LA NOSTRA FORZA SOCIALE
LA NOSTRA ORGANIZZAZIONE
SINDACALE E POLITICA
IL NOSTRO PROGRAMMA COMUNISTA

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Siamo in piazza oggi, così come lo saranno migliaia di lavoratori, di giovani, di compagni il 17 per lo sciopero dei sindacati di base in due momenti di mobilitazione che si danno per dar voce e per rispondere ad una esigenza al fondo non dissimile. E’ la sacrosanta necessità che tutti sentiamo vivissima di porre un argine all’attacco a 360 gradi a cui la nostra classe è sottoposta. Di porre un argine e reagire ad un’aggressione del capitale – dal salario, alla precarietà, alla contrapposizione e divisione indotta nella nostra classe fino ad arrivare al razzismo – che misuriamo duramente nelle nostre tasche e sentiamo bruciare sulla nostra pelle.

Occorre dunque porre un argine e reagire uscendo dallo stordimento provocato dalla bastonata elettorale. Cominciando – sperabilmente – a realizzare che quella bastonata altro non ha sanzionato e registrato sui pezzi di carta gettati nell’urna, che il precedente stato di impotenza, di disarmo in cui la classe lavoratrice si è trovata di fronte al “governo amico”. Stordita e narcotizzata anche da coloro che oggi, 11 ottobre, convocano la piazza “contro le politiche aggressive del governo di centrodestra”, dopo aver programmaticamente agito a depotenziare e svilire ogni movimento di lotta e di contrasto contro le politiche aggressive – con tutta la vasellina che volete – del governo di centrosinistra.

Tutti sentiamo allora la necessità di far crescere un movimento di massa che raccolga e unifichi un arnaz2 tessuto di lotte sindacali ed immediate al di là del puro perimetro dei conflitti aziendali e territoriali, dentro cui poter raccogliere la nostra forza di classe e così farla pesare contro la forza del capitale che oggi ci schiaccia e ci vede frantumati. Ma stretta ed insieme a questa esigenza si pone quella di acquisire, di dotarsi di una complessiva politica, di una nostra generale politica di classe. Noi diciamo: la necessità di un Partito di classe il quale dichiari apertamente e apertamente si proponga lo scopo dell’abbattimento e del superamento del presente ordine borghese, della presente dittatura del capitale. Scopo generale al quale debbono collegarsi tutti i vitali movimenti di lotta immediati e parziali che si danno in contrasto all’attacco e all’aggressione che l’intera nostra classe subisce.

Non basta sentirsi contro questo governo e scendere in piazza. Occorre intendere bene la sostanza dei problemi che ci stanno di fronte, fare un bilancio rigoroso del cammino che ci sta alle spalle, delineare un percorso e obiettivi precisi per il futuro, un programma e le forze chiamate ad attuarlo. Tutto questo, diciamolo francamente, manca al presente. E questa mancanza, questo vuoto, risulta ancora più enorme e drammatico alla luce dei colossali fatti che stanno scuotendo il sistema capitalistico mondiale.


arnaz3 Sotto i nostri occhi, sta andando a pezzi un intero sistema, un intero ordine sociale: è la fine del capitalismo come l’abbiamo conosciuto finora. Soprattutto come l’abbiamo conosciuto finora QUI, nelle metropoli d’Occidente. E’ il crollo di un mondo, di un “habitat” nel quale non solo la sinistra riformista in tutte le sue sfaccettature e comunque mascherata ma anche la classe lavoratrice, la massa degli schiavi salariati, avevano potuto crescere e convivere seppur certo conflittualmente accanto ed insieme alla borghesia ed al capitale.

Tutti i compagni presenti in questa piazza avvertono benissimo le conseguenze del terremoto storico in atto, senza bisogno che le ricordiamo noi. Avvertono benissimo dove la borghesia vorrà scaricare la spaventosa distruzione di valori fittizi che pur non sono stati “creati” a caso o per mera “avidità” di una cerchia di speculatori ma sono serviti, per una lunga fase, per narcotizzare le masse nelle metropoli (nel mentre si scaricavano le bombe sugli sfruttati delle periferie). Ora che la dose di droga si è esaurita le masse, impoverite e traumatizzate, devono guardare negli occhi ed affrontare il mostro capitalista, feroce nella sua agonia, per quello che è!


Ed allora, alla luce di questo dato di fatto, di questo svolto epocale, vogliamo continuare a ripeterci il discorso sul “berlusconismo”, magari come questione “personale” di un particolare satrapo, come il vero problema che abbiamo davanti, oppure il discorso “sull’anomalia italiana” che una giusta politica “di sinistra” potrebbe correggere? Non prendiamoci in giro: più i toni antiberlusconiani arrivano al parossismo (vedi IDV e Travaglio vari) più si mistificano i problemi reali. L’insieme del capitalismo imperialista occidentale, con epicentro gli Usa, è entrato in crisi nell’ambito di una spietata competizione capitalista globale da cui stanno emergendo i segni di un “nuovo sistema mondiale” post-americano e post-occidentale in genere che non sarà meno spietato dell’attuale ordine agonizzante, ed allora è giusto e sacrosanto combattere le politiche berlusconiane ma non come una “anomalia italiana” perché questo serve solo a scantonare ed occultare  il problema della generale crisi di sistema per poi proporre delle contromisure “riformiste.

Quale sarebbe questo “deciso mutamento del modello economico oggi imperante” di cui parla l’appello dell’11? Forse una “nuova socialità” welfariana capitalistica contro il “liberalismo” capitalistico? Noi conosciamo un solo mutamento possibile: socialismo contro capitalismo, rivoluzione contro conservazione e reazione. Non ci sono oggi le forze organizzate in campo per rendere attuale questa prospettiva? E sia. Ma quanto di concreto noi oggi possiamo e dobbiamo fare lo facciamo in questa dichiarata direzione, combattendo l’ignavia o l’illusione di chi continua a debilitare le forze disposte a reagire (e ad infangare il comunismo) con programmi “alternativi” privi di base reale, ma in realtà di salvaguardia del mostro capitalista riveduto e corretto secondo i propri sogni. Non vedono forse gli amanti dello Stato contro la deregulation del mercato come oggi negli Usa lo Stato (re)intervenga alla grande: come al solito, per salvare il capitale?! La pretesa “alternatività” dell’ “interventismo statale” in nome degli “interessi collettivi” da sempre sta tutta qui.

Lo dice chiaramente il Manifesto del 23 settembre 2008 quando invoca che la sinistra debba tornare ad essere “alternativa pur nell’ambito, come in passato, di una economia capitalistica di mercato”.


Quanto ai “rinnovati venti di guerra”, siamo sicuri che “riprendere un’azione per la pace e il disarmo” sia obiettivo congruo di fronte a una corsa capitalistica alla guerra che è nella logica della crisi attuale? Chi la fermerà? Il “buon senso popolare” testato sui “sondaggi di opinione”? Ancora una volta con richiami general-generici presuntamene in grado di mobilitare masse più ampie, ma in realtà frutto di precisi indirizzi politici, si scansa il problema dell’antagonismo organizzato di classe e della prospettiva del socialismo chiamato a spezzare il capitalismo alle radici, se veramente si vuole il disarmo degli assassini e la pace. Secondo l’appello dell’11 il rischio di guerra è oggi “particolarmente acuto nello scacchiere del Caucaso”, dovuto “anche alla sindrome di grande potenza che sta impossessandosi della Russia di Putin”(!!!). La parola d’ordine “alternativa” sarebbe: “ridare prospettiva a un ruolo dell’Europa quale principale protagonista di una politica che metta fine all’unilateralismo (!!!) dell’amministrazione Bush”, sino alla “nostra” dissociazione dall’ “occupazione in Iraq e Afghanistan (e fin qua ci siamo!), dove la presenza di truppe italiane non ha ormai alcuna giustificazione”. Ormai? Forse che prima -quando col governo Prodi si votava il finanziamento delle missioni- “ci stavamo” in nome della “causa democratica” e ora non più? In breve: accodamento alla propaganda degli USA e suoi scherani, tipo i “mariani” polacchi, contro il “neo-zarismo” di Mosca (e il “rinascente impero cinese”), senza neppure arrivare a comprendere quello che il meno scemo e venduto dei borghesi europei capisce al volo: che l’aggressione USA nel Caucaso (altro che Putin!) costituisce un tassello della corsa bellica contro l’emergente concorrenza extra-occidentale e contro l’Europa capitalista concorrente. Una “sinistra” quindi che, mentre blatera di “ruoli dell’Europa”, intanto si demarca dalle stesse -caute e vili (come al solito!)- prese di distanze borghesi dagli USA dello stesso Berlusconi (con un Fassino che rimprovera i trattati con la Libia che “metterebbero in causa la sovranità della NATO!”). E noi siamo contro l’uno e l’altro: contro l’imperialismo europeo in proprio e contro l’accodamento alle crociate caucasiche -e oltre- orchestrate da Washington. (Né siamo stati mai innamorati del capitalismo russo -o cinese- per i fregi “comunisti” esposti, figuriamoci di Putin).


Oggi “l’opposizione politica non esiste”, questo il fatto. E costituisce una deleteria illusione quella che accredita la Cgil come “supplente” dei partiti di “sinistra” che hanno declinato ogni politica di classe. La Cgil giunge al redde rationem con l’attacco di Confindustria e del governo di centro-destra -sullo smantellamento del contratto nazionale e sul resto- dopo “anni e anni di concertazione e politiche moderate e a seguito del disastro dei due anni di rapporto con il governo Prodi... che l’hanno portata a non essere in grado di costruire una politica credibile di conflitto sociale” (citiamo -e condividiamo- Cremaschi). Situazione che non cambia, men che meno di botto, se la Cgil, dopo aver tenuto bordone al governo Prodi contro i lavoratori, accenna ora in nome della difesa degli interessi dei lavoratori a dire no a Confindustria e governo di centro-destra. E dunque è vero che “si pone la questione della forza organizzata che sta dietro (perché dietro?) la ricostruzione del conflitto”. E’ ancora vero che, a causa del disastro compiuto dalla “sinistra” e dal sindacato confederale, occorre tornare a rivolgersi al “proletariato reale” oggi frammentato e diviso, per ricostruire “la massa critica” di una opposizione vera; e diamo atto che lo sciopero del 17 si muove tempestivamente in questa direzione. Un’opposizione che non può sognare spallate immediate né immaginarsi come un’immediata chiamata universale a lotte generalizzate sulla base di un “unico programma complessivo”, ma deve forzatamente ripartire da date situazioni conflittuali da raccordare unitariamente in prospettiva.

Il problema è che anche per far “soltanto” questo occorre un programma d’insieme a carattere politico che presieda alle stesse lotte sindacali. Perché è dall’assenza di una generale politica di classe che dipende l’attuale difetto di “massa critica” e la divisione e debolezza delle nostre forze: dall’illusione di molti lavoratori che, dopo il disastro del centro-sinistra, aspettano -è dura a credersi, ma questo è il risultato fallimentare del riformismo, sindacale e politico; prendano nota le “anime belle” del manifesto!- che qualcosa gli arrivi da questo governo e dal federalismo (che invece concorrerà ad approfondire le divisioni per togliere a tutti); dall’assenza di risposte di classe sui temi della scuola e sui tagli agli sprechi di Stato che siano in grado di contrastare la campagna di divisione tra operai e “fannulloni” per cementare i lavoratori in un unico fronte di lotta; alla canea e alle aggressioni omicide contro i lavoratori immigrati che purtroppo non vedono tuttora risposte di lotta adeguate della massa proletaria bianca italiana, che rischia invece di accodarsi alla generale ostilità fomentata dalle forze di governo -Lega in primis- ma non solo da esse; per non dire delle popolazioni che in Iraq, Afghanistan, Libano, Palestina combattono anche contro le “nostre” missioni militari “ormai non più democratiche” (prima invece?) e la cui lotta è puntualmente ignorata dagli appelli “per la pace e il disarmo”.

E’ il problema del Partito comunista, posto -in maniera più o meno congrua- solo da ristrette frange del nostro fronte di lotta. Con questo non diciamo affatto che tutto va rimandato a questo esito. E giammai ne poniamo la sostanza in richiami nominalistici al partito, bensì nella effettiva presa in carico -nella difficoltà che ci riguarda tutti- dei compiti che anche in questo contributo per le mobilitazioni dell’11 e del 17 siamo impegnati a esplicitare. Ogni e qualsiasi lotta vera ci sta bene e noi ci siamo, ma cerchiamo di segnalare il senso direzionale di essa. Trovarci in piazza a “gridare” e a segnalare uno schieramento in campo è ottima cosa, se questo serve a promuovere questo obiettivo. Altrimenti c’è solo la riedizione di vecchi scenari: “antiberlusconismo” e fronte popolaresco a servizio della variante presunta soft della borghesia (una chimera!). O si prende atto che il capitalismo ha dichiarato e sempre più sarà “costretto” ad approfondire la sua guerra di classe contro gli sfruttati del mondo intero, e anche da questa parte -la nostra- si va verso la guerra sociale, classe contro classe, per il socialismo; o -sia come sia- ci si intruppa dietro un proprio capitalismo riformato o riformabile, inevitabilmente imperialista e sciovinista (come confermano le dichiarazioni di “politica estera” caucasica di cui sopra).

Chi è qui presente cominci a prenderne atto per andare fino in fondo.


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