volantino per lo sciopero del 12 dicembre 2008
Siamo chiamati in piazza per reagire al pesante precipitare degli effetti di una crisi mondiale del capitalismo che tutti i governi cercano di scaricare, in forme e con intensità diverse, sulle spalle della classe lavoratrice, sulle spalle del mondo del lavoro. Non ci sono altre ricette dal loro punto di vista cioè dal punto di vista della contabilità capitalistica che sta al di sopra e comanda l’azione di ogni governo di qualunque coloritura politica borghese esso sia.
Il capitale deve schiacciare il lavoro salariato poiché è da lì che si genera il valore, il valore vero e non quello fasullo di carta, ed il profitto su cui ruota tutta la presente società. Mettiamola e giriamola come vogliamo, ma questa è la croce a cui la classe lavoratrice è inchiodata, tanto più nel momento in cui il motore della macchina capitalistica è grippato. Contro questa pressione, contro questa forza del capitale dobbiamo e possiamo opporre la forza di classe, la scesa in campo determinata ed organizzata della classe lavoratrice la quale come manda avanti l’intera società così ha nelle sue mani il potere di bloccarla e di imporre le sue esigenze.
Non sono parole al vento o pie illusioni. E’ quello che sta già cominciando praticamente a darsi come primissima risposta al capitale ed alla sua crisi da parte della nostra classe, con le dimostrazioni operaie, per ora circoscritte, in Cina ed in Spagna, con il movimento di lotta più generale in Grecia. Ed è su questo terreno che dobbiamo predisporci anche noi, qui in Italia.
Le parole al vento, le pie illusioni, la demagogia vuota stanno tutte di casa
in realtà nel preteso “realismo” di chi ritiene possibile una soluzione della
crisi ugualmente buona per il capitale e per il lavoro, per il padrone e lo
schiavo salariato: “tutti nella stessa barca”. Di chi non ha altra prospettiva
da segnare ai lavoratori che invocare l’aiuto e l’intervento dello Stato, come
se questo “intervento sociale” non abbia la contropartita devastante di legare
mani e piedi la classe lavoratrice al carro dello Stato capitalistico.
Gettandola disarmata nella feroce competizione globale, prima. E poi nella
competizione finale sui campi di battaglia dove sta l’unica “soluzione alla
crisi” che questo sistema sociale marcio conosce: la distruzione su vasta scala
di uomini e cose! Anche queste non sono parole al vento: è la storia,
tragica per la classe lavoratrice, seguita al crollo del ’29 e del tanto
invocato intervento dello Stato tanto in Italia che in Germania, in America (il
famoso New Deal di cui tutti si riempiono la bocca). Il massacro di un
proletariato diviso ed intruppato dietro i destini della “sua Patria”. Animale
da soma sul fronte della produzione per il profitto, prima. Carne da cannone,
poi. Ecco quale è stato lo sbocco, salvifico per il capitale, dell’intervento
dello Stato “per uscire dalla crisi”!
La profondità stessa di questa crisi capitalistica, le sue implicazioni
generali e di sistema a cui la classe lavoratrice deve saper opporre insieme
sia un piano di difesa immediato delle sue condizioni di vita, sia la messa in
campo di una sua propria alternativa generale, di una sua propria prospettiva
politica che infranga “la legge insindacabile”, la dittatura del capitale,
questa crisi – dicevamo – impone a tutti noi di parlare chiaro, di parlarci
chiaro. Anche se questo può risultare sgradevole e perfino urtante.
Abbiamo bisogno di mettere in campo sul serio e di far pesare la forza della classe lavoratrice. Non portano da nessuna parte gli scioperi e le dimostrazioni, magari indetti il venerdì perché riescano “più forti”, a cui non si dà altro sbocco se non quello di chiedere a governo e padroni di riaprire “tavoli di concertazione”, “comuni cabine di regia” ecc. ove “imporre” a governo e Confindustria di “fare la propria parte” per “salvare l’Italia”.
Le stesse rivendicazioni sacrosante che questo sciopero vuole sostenere (in
fatto di difesa di salari e pensioni, di lotta alla precarietà, di difesa del
contratto nazionale, contro i tagli alla scuola riversati sulle spalle delle
famiglie ecc.) cadono nel vuoto totale se non si indica un preciso percorso di
lotta con cui imporle sul campo. Qui invece al contrario tutto
l’orizzonte in cui si vuole inquadrare e incanalare il malcontento e la protesta
è quello dei giochi di sponda sul piano istituzionale per chiedere – senza
esagerare troppo con la piazza, non si sa mai! – una “sostanziale correzione
delle misure sin qui adottate dal Governo” (e Berlusconi, a queste condizioni,
se ne fa un baffo). Il che tradotto in pratica significa che la lotta dei
lavoratori, nelle intenzioni delle attuali direzioni politiche–sindacali, è
buona per essere usata come sgabello nella contrattazione politica dell’attuale
miserabile opposizione verso Berlusconi e la sua banda. Peggio ancora: dando ad
intendere che “un riequilibrio nella distribuzione del reddito a vantaggio del
lavoro dipendente” possa avvenire senza il dispiegamento di una reale lotta di
classe – che i vertici sindacali e i “partiti amici dei lavoratori” si guardano
bene perfino dall’evocare (o nominano per pura finzione come nel caso della
cosiddetta “sinistra radicale”) – si spalanca in breve la strada prima alla
disillusione, poi allo sfondamento vero e proprio nella massa lavoratrice delle
reazione borghese nelle cento forme in cui essa si maschera.
Tanto prima ci lasceremo alle spalle le illusioni e la mentalità di un’epoca
che questa crisi di portata storica si incarica di chiudere definitivamente,
tanto prima potremo opporre un argine adeguato e all’altezza degli attacchi che
subiamo su tutto il fronte. L’epoca di un “riformismo possibile”, di una
gestione “equa e solidale” del capitalismo è alle nostre spalle,
definitivamente. Prendiamone atto!
Solo degli imbonitori di professione possono “spiegare” ai lavoratori ed alla gente semplice che la presente crisi mondiale del capitalismo sia dovuta agli “errori e alle politiche sbagliate” di questo o quel governo o alla particolare sfrenata “avidità” di questo o quel gruppo di alti speculatori e di finanzieri parassiti. Quello di cui sentiamo i primi morsi è invece lo sbocco naturale, insito nel meccanismo capitalistico. Oggi investe in pieno anche noi, investe in pieno anche il proletariato del (ex) “prospero Occidente” dopo che la dose di droga finanziaria ha esaurito i suoi effetti. Essa, droga finanziaria, è stata utile e necessaria al capitale anche e non per ultimo allo scopo di narcotizzarci. Ci hanno intossicato la pancia di merci fasulle (a credito) così come ci hanno intossicato il cervello. Prendiamo atto che i parassiti della finanza e i ladroni delle banche hanno svolto egregiamente questa “opera sociale” per continuare la quale – in altre forme – essi sono salvati con una girandola di miliardi. O, forse, dobbiamo farci prendere per il naso con le storielle che anche gli sciacalli della finanza e delle Borse possano essere “riformati” e messi al servizio di un “giusto ed equilibrato sviluppo”?
La valanga ora arriva anche qui dopo che per decenni – non dimentichiamolo mai – la crisi è stata scaricata “lontano da noi” a mezzo della rapina, dell’oppressione bestiale, di guerre a ripetizione contro i paesi e le masse delle periferie del mondo. Operazione a cui l’Italia (l’Italia che dovremmo “salvare”!) ha svolto in pieno la sua parte con tanto di “governi amici” in sella. Dalle bombe sulla Yugoslavia a quelle sull’Afghanistan.
Ricordiamocelo bene, perché parlare della guerra esterna non è parlare
d’altro rispetto all’assalto che dobbiamo attrezzarci a respingere qui,
all’interno del paese. Parliamo della medesima guerra di classe scatenata dal
capitale a scala globale di cui uno, fra gli altri, dei riflessi è l’onda
inarrestabile degli immigrati sulla cui condizione viene ad abbattersi ora più
che mai in maniera drammatica l’incedere della crisi.
Non c’è nessuna via di fuga minimalista, nessuna scorciatoia per “uscire
dalla crisi” senza finire trascinati nei suoi vortici, al di fuori della messa
in campo di un vero programma classista di lotta all’altezza della guerra di
classe che oggi subiamo. Tanto sul piano immediato che su quello politico
dell’alternativa globale al presente sistema.
Nessuno potrà venire a toglierci le castagne dal fuoco. Come classe
lavoratrice cominciamo a prendere il destino nelle nostre mani!
Difesa intransigente degli interessi di classe!
Contro un intero sistema sociale folle e drogato, riappropriamoci della
storica prospettiva del lavoro e degli sfruttati di tutto il mondo: socialismo o
barbarie!
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