Scriviamo dal Friuli, “lindo e ordinato”, dove non vi è emergenza rifiuti. Per il momento almeno, dato che 3 province su 4 sono ampiamente sotto la soglia stabilita della raccolta differenziata, dove le discariche in funzione sono vicine alla capienza e ben presto occorrerà scavare altre buche nel territorio e dove una gran quantità di rifiuti (il 95% di quelli industriali) vengono “esportati” fuori regione. In molte città importanti da Roma in su il livello di guardia sta per essere toccato e, ci dicono, che in tutta urgenza occorre provvedere seguendo il criterio buche–inceneritori onde evitare emergenze di tipo campano, a cui ampiamente tutto il sistema produttivo del Nord ha del resto contribuito se è vero come è vero che ha utilizzato le terre del Sud per smaltire i suoi scarti industriali. Appestandole, avvelenandole. Business per padroni e padroncini padani, business per i circuiti illegali delle camorre, business per lo Stato legale i cui organi non per caso hanno chiuso gli occhi e girato la testa dall’altra parte. Alla faccia delle più evidenti e circostanziate denunzie, da quelle di un Roberto Saviano a tante altre persino provenienti da ambiti e commissioni istituzionali, che si sono accatastate negli anni. Uno come Di Pietro oggi polemizza ed attacca i suoi ex colleghi di Napoli e dintorni per non essersi a tempo dati una mossa, per essersi voltati anch’essi dall’altra parte.
Domanda: come mai? Risposta nostra (non scontata): questo non è un affare che si può risolvere in alcun tribunale dello Stato, non è affare che avvocati e magistrati nemmeno quelli più integerrimi possano risolvere se non per punire come capro espiatorio qualche racket politico locale, qualche singolo affarista, qualche singolo porco. Lo diciamo per la stragrande maggioranza della gente comune (e in verità anche per la grande maggioranza dei compagni di sinistra più o meno ”radicale” come si usa dire, intrisi come sono di spirito costituzionalista oltre che afflitti da quella terribile patologia che va sotto il nome di “cretinismo parlamentare ed elettoralistico”) la quale giustamente vive e sente con rabbia e senso di intollerabilità questo immondo spettacolo e certamente ne deve chiedere il conto ed esigere punizioni esemplari, però: non dobbiamo essere fessi oltre un certo limite!
La vastissima platea del sordido affarismo e dei porci che nella e dalla spazzatura si sono ingrassati non potrà che farla franca se la resa dei conti sarà delegata e ricercata sul piano istituzionale, senza che i preposti “alla giustizia” sentano il fiato sul collo della collera popolare. Il processo, per così dire, per questo immenso sfacelo/immenso affare lo si deve fare nelle piazze, da Napoli a Milano. Senza di ciò nessunissima aula di tribunale potrà “rendere giustizia”, per la semplice ragione che lo Stato non può condannare sé stesso (per piazza Fontana 1969 cioè per la “strage di Stato” lo Stato poteva forse auto–condannarsi?) né colpire a fondo e alla radice il potere tentacolare del “crimine organizzato” che di fatto svolge una funzione complementare ad esso (qualche compagno proprio di Napoli ha definito la funzione della camorra molto efficacemente: “anestetico sociale”).
Ma veniamo al dunque che ci interessa che non è certo svolgere un ecumenico “chi è senza peccato...” né rivolgere un atto d’accusa “in generale” sulla origine ultima della gestione antisociale e criminogena del ciclo dei rifiuti e del tipo di produzione che li genera che per noi senza dubbio risiede nel sistema della Merce stessa ossia nel capitalismo, come del resto perfino taluni non–marxisti o addirittura anti–marxisti arrivano a riconoscere. (1) Questo potrebbe sembrare uno scantonare dalla precisa e particolare “emergenza” (15 anni di “emergenza”!) di Napoli e della Campania, da questa specifica intollerabile porcilaia il cui portone un governo in stato comatoso tenta affannosamente di socchiudere portando la montagna dei rifiuti fuori dall’epicentro con carichi scortati sulle cui destinazioni, se potesse, apporrebbe il segreto di Stato. In questi aspetti, tragedie e drammi pagati sulla propria pelle dalle masse, assumono i tratti della farsa, in continuità con la storia e la ignobile tradizione del viscido regime borghese italiano: siamo a uno scenario che ricorda quasi l’ 8 settembre. Allora, 8 settembre 1943, i “comunisti” (stalinisti) s’attaccarono al Re in fuga, oggi i loro discendenti mongoloidi s’attaccano ai treni ed alle navi della monnezza: “per l’amor di Dio, accettatela, bruciatela”. In Emilia in Toscana soprattutto: “compagni, bruciatela alla svelta e più che ne potete”. Sennò cade Bassolino –poi vedremo di fare i conti con lui– cade il nostro governo, cade tutto... Siamo di sicuro almeno per questa “sinistra” rosa, arcobaleno, a pallini, all’8 settembre!
Su Carta un dirigente di Rifondazione scrive: “In nome dell’emergenza mettiamo un attimo da parte le analisi delle cause e la ricerca dei responsabili. Ogni cosa a suo tempo (...) Muoviamoci invece insieme con spirito umanitario e compassionevole per evitare ancora troppe sofferenze alla popolazione napoletana”. Viene da chiedersi se questa gente allo sbando abbia idea di che sentimenti susciti fra le popolazioni, e non solo al Nord, questa brodaglia “compassionevole” spacciata come unica forma di concreta solidarietà. Dovremmo con ciò intendere che possiamo permetterci di voltare le spalle alle popolazioni “calamitate”, ignorare o sottovalutare i disagi ed i rischi sanitari che su di esse incombono? No, noi intendiamo dire che l’operazione tecnica di rimozione delle tonnellate di rifiuti giacenti che ovviamente deve essere al più presto eseguita, ed in qualche modo sarà eseguita, deve procedere, per un movimento di classe all’altezza della situazione, congiuntamente all’operazione politica della più sistematica denuncia, del più preciso attacco alla generale porcilaia che ha condotto al disastro, ovviamente non avendo alcun riguardo, nell’affondare il coltello della denuncia, di farne saltare gli equilibri di potere (“vuoto estremismo parolaio” che magari “fa il gioco delle destre”, ci sentiamo fischiare nelle orecchie. Rispondiamo: non fate un solo passo per attaccare realmente la porcilaia per il semplice motivo che dentro ad essa vi ci siete ritagliati un cantuccio).
Senza una campagna politica di questo tipo condotta fra le masse di tutto il paese le quali sono attentissime e sensibilissime rispetto a questa questione esse hanno tutto il diritto di intendere la “solidarietà umanitaria” richiesta come una pietosa implorazione non tanto per far cessare l’emergenza bensì come tentativo di far passare sostanzialmente in cavalleria tutto quello che ci sta dietro, salvo certamente qualche (o una serie di) capro espiatorio da dare in pasto all’indignazione della gente. Ed intanto al Nord si ingrossa la corrente federalista/secessionista fino a minacciare di rompere gli argini dentro il proletariato mentre anche fra le popolazioni meridionali riprendono vigore (se non intendiamo male) pulsioni localiste, “meridionaliste” di natura uguale e contraria alla linea di frattura padana.
Compagni, lo diciamo alla massa che sente di dover reagire alla deriva, la massa scesa in piazza il 20 ottobre per intenderci, abbiamo idea di quello che si prepara se continuiamo a restare con le mani legate, se non usciamo dal ricatto continuo del “fare il gioco delle destre”, oppure siamo noi, quattro gatti, ad essere visionari allucinati?
Allora il dunque, Napoli, la Campania. Non riteniamo di scantonare affatto quando spieghiamo il corso dell’”emergenza” campana come esito derivato dalla più generale gestione della porcilaia che è lo Stato capitalistico italiano. Quella di Campania ne è una, diciamo così, dependance più puzzolente? E sia, ma il fetore in più che da essa promana deriva dallo status quo imposto dalla gestione del complesso equilibrio degli interessi particolari che la borghesia italiana svolge “per il bene comune collettivo” inteso nell’accezione di bene collettivo dello Stato borghese che non corrisponde affatto alle reali necessità di una sana vita sociale della collettività.
Non si è riusciti in Campania a costruire nemmeno un inceneritore in modi e tempi ragionevoli, non si è riusciti ad organizzare una decente raccolta differenziata e riciclo collegato? Ebbene ciò è il risultato degli interessi combinati della Fiat e della rete dei padroni e padroncini padani, degli interessi dei potentati clientelari locali, di quelli delle reti criminali illegali considerate anche nella loro funzione “sociale” (anestesia sociale) di distributori di reddito (funzione “illegalmente svolta” per uno scopo però sommo e generale dell’insieme del potere borghese: il mantenimento della pace sociale). (2)
Una rete di interessi che nessun “slancio riformista” per quanto mosso dalle migliori intenzioni –quanto era quello di Bassolino possiamo tranquillamente non negarglielo– può azzardarsi a toccare. Ed allora il corso obbligato delle cose, dentro queste maglie intangibili per la stabilità complessiva del sistema, incanala anche i più autorevoli riformisti a ridurre il “nuovo rinascimento” promesso ad una più prosaica e realistica “gestione socialmente utile” delle cose, dello status quo. Non si vuole e non si può ribaltare il tavolo? Allora, inesorabilmente, non resta che adattarsi e procedere ad una sostituzione dei vecchi comitati d’affari con nuovi comitati d’affari. Si potrebbe dire ad essi: non volete, non potete chiamare ed indirizzare le masse ad una partecipazione attiva, alla lotta per spazzare la stalla (attenzione: non per “fare la rivoluzione” ma per provare “semplicemente” a ripulire la stalla dalle clientele, dall’affarismo più spudorato, dalle camorre) ed allora O con uno scatto di dignità vi fate da parte (alzando bandiera bianca) O dovete finire dove in effetti oggi siete e cioè immersi nella fogna.
Dentro questo quadro una massa di proletari a Napoli e nel meridione più in generale è stata ridotta al ruolo di cliente, a soggetto da anestetizzare e non ha potuto fare altro (nell’arretramento generale del proletariato italiano) che prendersi quel poco o quel tanto di welfare legale o illegale che gli è stato passato o che è riuscita a strappare. Si è adattata alla situazione trovandone pure spesso una sistemazione, un tornaconto alla scala del suo proprio interesse particolare e immediato dentro però ad un generale degrado sociale.
Qualcuno forse potrà trovare in questo “adattamento contrattato” alla situazione anche qualcosa di molto radicale, di molto antagonista: cosa c’è di più radicale per un proletario che percepire ogni mese del denaro senza lavorare? Non è questo forse un modo, può pensare una certa mentalità “ultra–antagonista”, per “fottere lo Stato”? Ma se lo Stato borghese per un certo periodo, per un lungo periodo anche, è costretto a tollerare questa anomalia (scaricata alla fine comunque su Pantalone, sulle spalle del proletariato produttivo) ciò si può dare unicamente alla condizione che il proletario si privi, rinunci a ragionare ed agire come classe antagonista davvero alla società del Capitale cioè a perseguire il suo interesse immediato non separatamente dall’interesse generale di classe il quale corrisponde davvero all’interesse della società intera quando organizzata su basi razionali, sane, di un corretto vivere civile collettivo (sia chiaro, nella nostra maniera di vedere le cose, non parliamo di particolari “colpe” individuali o d’una massa di individui. Semmai “la colpa” è della classe, l’insieme della classe, ridotta a negare la sua funzione storica, a degradare sé stessa; semmai “la colpa è nostra” per l’insufficienza o la nullità del movimento politico di classe).
In questo senso invitiamo tutti i compagni a riflettere sulla vicenda dell’Arsenale di Taranto dove –da quello che abbiamo potuto apprendere– i lavoratori pubblici dello stabilimento hanno potuto profittare del massimo, per dir così, del tornaconto a scala immediata adagiandosi nell’ombra del parassitismo dell’apparato statale. Solo che, quando arriva il momento, il conto che il capitale ed il suo Stato presentano è assai salato e tutto in negativo per il movimento di classe. Così oggi leggiamo di come davanti ai cancelli della fabbrica in cui si ritrovano contrapposti i lavoratori delle ditte private da quelli pubblici abbiano piena agibilità i caporioni e capipopolo fascisti: abbiamo “fottuto lo Stato” o non abbiamo piuttosto subito una castrazione?
Alle masse insomma non sono state fatte mancare le merci, non sono state gettate nell’indigenza, piuttosto sono state trascinate ed inghiottite anch’esse nella melma generale. E’ pensabile che lo status quo, che l’equilibrio sociale dentro la palude possa essere mantenuto per un tempo indefinito, che le masse possano continuare a subire il precipitare del degrado? Non è pensabile, o meglio non è più oggettivamente possibile. L’equilibrio, lo status quo dovrà saltare, sta già saltando in effetti: l’utilizzo massiccio della polizia, la chiamata in causa dell’esercito da un lato, dall’altro la reazione popolare spontanea e rabbiosa (con le caratteristiche “nuove” che in essa si delineano –vedi corrispondenza dalla “prima linea” di Napoli che qui sotto pubblichiamo-: radicalità e “non politicizzazione” dei movimenti di lotta, carattere torrenziale degli stessi, abissale distanza con gli apparati politici ufficiali, caduta verticale dei tradizionali filtri, partiti di sinistra e sindacato, di contenimento ed incanalamento delle lotte il che non conferisce di per sé alle lotte stesse un carattere “sovversivo puro”...) sono il prologo dello scenario che ci si para davanti.
Dalle pagine del Sole/24 Ore (4/1/08) viene evocata, di fronte all’insostenibilità della situazione (“basta così non andiamo più avanti”), l’attualità di una “rivoluzione meridionale” che dal punto di vista borghese ripulisca e normalizzi il Sud (una linea su cui sembra ci si stia muovendo in Sicilia, vedi l’opera di “ripulitura” messa in atto da Confindustria dentro certi suoi ranghi troppo in odore di mafia, vedi il braccio di ferro intorno alla direzione del (ex) Banco di Sicilia che il vertice di Unicredit vorrebbe rimuovere. Naturalmente resta tutto da vedere se questo “risanamento” possa procedere, diciamo così, tranquillamente e soprattutto quali saranno le ricadute in profondità, sul piano sociale); si evoca la necessità di “una sorta di ’marcia dei 40mila’ in nome di un Mezzogiorno che rifiuta di essere sommerso dai rifiuti”. La borghesia “sana” cioè auspicherebbe “uno Stato normale” ove le sue forze armate svolgano appunto “normalmente” le proprie missioni, da Kabul ai Balcani, e non debbano invece essere chiamate a presidiare la discarica di Pianura o l’inceneritore di Acerra. Ma, e qui sta il punto, questo auspicato “Stato normale” dovrebbe avere la forza non tanto di risolvere razionalmente un “problema tecnico” (fare bene le discariche, organizzare “il ciclo virtuoso” della raccolta ecc) né tanto di procedere ad un radicale ricambio di un personale politico impresentabile (indecenza davvero bipartizan), quanto avere la forza di gestire la questione sociale a Napoli come in tutto il meridione ovvero affrontare frontalmente quel proletariato del Sud che sino ad ora si è provveduto, attraverso i canali legali e quelli illegali, ad anestetizzare.
Se la borghesia evoca per Napoli e per il Sud la “marcia dei 40mila” della Torino 1980 dove si spezzò la schiena alla classe operaia, sa che deve prepararsi ed attrezzarsi ad un duro scontro sociale con le masse. Quando si dice: “ci serve uno scatto, come a Torino 1980, per uscire dalla melma”, allora bisogna mettere nel conto anche la Reggio Calabria 1970! (3)
Questo ci pare essere il tracciato verso cui si marcia data l’insostenibilità della situazione. Ma, a petto di questa necessità oggettiva, avvertita dalla borghesia “sana” quanto dalla massa dei cittadini per una finalità “di risanamento” che solo apparentemente ne accomuna le istanze al di sopra degli interessi di classe, si erge come una cappa infrangibile ed oppressiva sull’intera società quella rete di interessi, quel blocco di potere i cui affari e traffici sono gestiti dall’apparato politico in maniera assolutamente trasversale (per un’idea abbastanza “agghiacciante” della cosa si veda L’Espresso del 17/01/08: “La grande alleanza dei rifiuti. Da Forza Italia ai DS, passando per l’Udeur e An. Così il business della spazzatura ha coinvolto le forze politiche. Tra appalti milionari e posti di lavoro.”) sicché solo spostare o togliere un tassello da questo puzzle appare impossibile senza compromettere o far venir giù l’intera costruzione marcia fradicia e la situazione a Napoli e dintorni ci sembra assomigliare a quella di una pentola a pressione dove la sacrosanta collera popolare è, per il momento, contenuta ed esplode ora qua ora là nel territorio, ora alla discarica ora nel rione.
In un fondo del Manifesto (13/01/08), fondo anche nel senso dell’abisso in cui si sta rotolando (“L’occasione mancata dalla solita destra” ove ci si rammarica della mancanza di “senso di responsabilità nazionale” da parte della destra e si suggerisce quale dovrebbe essere invece il comportamento di una “destra sana”: “A Napoli c’è frustrazione ed apatia. La destra potrebbe organizzare la raccolta, galvanizzare le persone, convincerle a fare qualcosa per migliorare la propria vita, la condizione generale. Invece mostra come linea politica quella dell’egoismo senza prospettive.” Diteci voi se esageriamo parlando di 8 settembre!...) si racconta di come la destra, sia a livello locale che nazionale, giochi allo sfascio per i meschini calcoli dei suoi politici locali e per rosolare a fuoco lento Prodi ed il suo governo e di come invece “la sinistra” non debba essere così meschina ma provvedere lestamente a salvare la Patria, questa volta non sulla linea del Piave ma sotto il Vesuvio.
Davvero è così? A noi sembra piuttosto vero il contrario e cioè che se la destra lo volesse davvero potrebbe spazzare via Bassolino e la sua banda in un batter d’occhio. Berlusconi, se lo volesse, potrebbe planare su Napoli e, in maniche di camicia, aizzare la folla e cacciare a furor di popolo gli attuali reggitori “di sinistra”. La destra in realtà, al contrario di quello che raccontano gli scrittori del Manifesto, sta dimostrando, dentro questo disastro, il massimo di “responsabilità nazionale” che tradotto vuol dire contribuire, ognuno per la sua parte, a rinchiudere il portone della porcilaia, ambiente nel quale essa, come e più della “sinistra”, vive e vegeta.
Una cappa oppressiva, una
pentola a pressione appunto. Ma è una situazione intollerabile che
l’esasperazione delle popolazioni deve sbloccare, deve far saltare. Il movimento
di classe, a Napoli come in tutta Italia, non deve avere alcuna remora, anzi!,
nel prendere di petto tutte le implicazioni della improcrastinabile necessità
numero uno: fare pulizia, fare una radicale pulizia dentro quella porcilaia che
è lo Stato capitalistico italiano.
22 gennaio 2008
NOTE
(1) Si veda ad esempio l’intervento di Carlo Bertani “Nel nome dei monnezzari” dal sito www.comedonchisciotte.org Vi si può leggere: “La merce, in questa accezione, non è altro che mondezza grezza che va raffinata al più presto, affinché si possano ricavare dal prodotto finito i meritati e lucrosi profitti imprenditoriali”, “la mondezza è il prodotto finito del lavoro capitalista perché soltanto dalla distruzione del bene sarà possibile ottenere la vendita di un nuovo bene.” Tutto il discorso “anti-capitalista” condotto da questo genere di critica anti o a-marxista verte sull’alternativa della cosiddetta “decrescita” che semmai vuole significare realmente qualcosa si traduce nella rivendicazione di uno Stato borghese che controlli e moderi gli “spiriti selvaggi” del capitale, svolga insomma la sua funzione “sociale” di vero equilibratore ecc. Il marxismo al contrario non dice “decrescita”, dice: distruzione dello Stato borghese, potere e dittatura del proletariato per mettere in atto, nelle metropoli, un’opera di DISINTOSSICAZIONE sull’intera società.. Che vuol dire disintossicazione? Osservate ad esempio la prima edicola che vi capita. Il 90% e forse più della carta stampata e del materiale impresso che ci trovate è inutile o dannoso. Il potere del proletariato, ebbene sì assolutamente illiberale, semplicemente stroncherà questa produzione. Quanta cartaccia in meno da buttare nella spazzatura, quale autentica opera ecologica messa in pratica...
(2) Leggiamo dal prof. Giuseppe Messina, agronomo,
membro del comitato scientifico di Legambiente e già vicesindaco di Caserta: “Sarebbe
ingenuo pensare che la Campania,
regione di uno dei paesi dell’Ocse, tra i sette più industrializzati del mondo,
non riesca a mettere in piedi un ciclo virtuoso. Il problema ha un nome: la
Fiat, presente con fortissimi interessi nei rifiuti, nelle acque, nell’energia
del paese. A questo si aggiunge lo smaltimento dei rifiuti industriali che nella
regione sono stati seppelliti per oltre 30 anni.”
Più avanti, alla domanda: “Ma da qualche parte i rifiuti bisogna pur metterli.
Ci sono alternative?”
Risposta: “Nelle aree della Baronia nell’Ufitra, ma fino a questo momento i
consulenti competenti che le hanno indicate hanno avuto le mani legate per il no
di Ciriaco De Mita.” (Manifesto, 15/01/08).
(3) Non sarà esercizio inutile riprendere la storia, in larga parte rimossa, della rivolta popolare di Reggio Calabria 1970. Essa iniziò per motivazioni di un localismo apparentemente assurdo e “irrazionale” ossia la contestazione della decisione di Catanzaro come capitale della Regione. Furono all’inizio i potentati locali democristiani, allo scopo di difendere le loro reti affaristiche, a convocare i cittadini in piazza. Ma ben presto la situazione sfuggì al loro controllo e la piazza fu diretta dai capipopolo di estrema destra (il più famoso Ciccio Franco, poi onorevole nelle file del Msi) al grido del “boia chi molla”. Dietro la rivendicazione localistica, senza alcuno sbocco politico possibile, esplose il profondo malessere popolare e fu ribellione contro lo Stato. Per mesi e mesi fu battaglia violentissima e cruenta contro decine di migliaia di poliziotti e carabinieri impegnati a domare quella che è stato in effetti un ammutinamento di una intera città. Città che fu “normalizzata” solo dopo due anni con la calata a Reggio Calabria di 50mila operai dalle fabbriche del Nord. La rivolta fu da subito osteggiata dal PCI, mentre della allora sinistra extraparlamentare solo Lotta Continua la appoggiò e si tuffò a pesce a Reggio per ... “prendere la direzione del movimento”.