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interventi




Volantone distribuito alla manifestazione “No Monti day” del 27 ottobre 2012 a Roma


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CONTRO IL GOVERNO MONTI. CONTRO LA SANTA ALLEANZA
DEGLI STATI EUROPEI UNITI CONTRO IL PROLETARIATO

Il governo Monti, che macina continui provvedimenti antioperai (vedi da ultimo la riforma dell’Irpef che riduce alcune aliquote mentre cala la scure sulle detrazioni), è figlio della crisi capitalistica che nel 2008 è ri-esplosa, dapprima con i fallimenti delle grandi banche negli Stati Uniti e poi con la crisi dei debiti sovrani con epicentro Europa, nell’ambito di una contesa tra concorrenti-alleati impegnati innanzitutto a scaricare sul proletariato e sui paesi dominati le conseguenze devastanti della crisi. Le economie emergenti hanno avuto negli ultimi 20 anni un processo straordinario di crescita: ancora negli anni ’70, l’80% del Pil mondiale era prodotto in Occidente (Giappone compreso); oggi la Cina produce il secondo Pil nazionale dopo quello statunitense. All’orizzonte, peraltro, non scorgiamo le giovani economie che trainino fuori dalle secche il sistema unitario del capitalismo mondiale, né che soppiantino pacificamente la leadership statunitense e occidentale. Vediamo piuttosto che le metastasi dal vecchio capitalismo tendono a trasmettersi ovunque, ora anche con il rallentamento dei sostenuti ritmi di crescita degli emergenti. Questo il quadro, che per noi non significa vicino “crollo finale” del capitalismo. Significa che i proletari e i comunisti del mondo intero sono chiamati alla lotta contro un sistema marcio che solo al prezzo di incalcolabili sofferenze aggiuntive per gli sfruttati potrà proseguire ed eventualmente rilanciare la sua corsa.

Quella del governo tecnico non è una formula circoscritta all’Italia. Ovunque c’è un convergere, in vario modo, degli “opposti” schieramenti su un unico programma. I governi tecnici sono il veicolo di un accentramento direttamente politico che operi per l’adeguamento e l’accentramento della struttura economica, con partiti già in lotta feroce tra loro che di punto in bianco si ritrovano assieme, finanche al governo, per le esigenze impersonali e indeclinabili del capitalismo. La visione del governo tecnico significa che la dittatura del capitale ingloba tutti i partiti (di destra e di cosiddetta “sinistra”) e li allinea alle proprie necessità, con un colpo drastico alla finzione delle distinzioni politiche nell’unico campo borghese. Questo passaggio assume un significato particolare per l’Italia, paese che ha avuto il più grande partito “comunista” in Occidente al centro del gioco politico nazionale dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri. Con la bolognina il fu-PCI, vent’anni orsono, iniziò il processo di liquidazione finale di ogni anche formale residuo delle proprie origini. A tenere in gioco il richiamo al “comunismo”, da tempo svuotato di ogni suo proprio contenuto, sono stati i vari spezzoni e poi frammenti dell’originaria Rifondazione Comunista. L’appoggio di tutti costoro all’ultimo esecutivo Prodi, con l’esito catastrofico di una politica antioperaia sonoramente bocciata – putroppo soltanto nelle urne – dai lavoratori, ha fatto a pezzi i “rifondatori”. Oggi il confluire del PD nella “grande coalizione nazionale” che sostiene Monti insieme all’odiato Berlusconi (con una cospicua fetta di “sinistri radicali” che comunque cercano il dialogo e l’alleanza con il PD), significa che effettivamente il capitalismo ha di molto omogeneizzato sulle proprie basi la variegata rappresentanza politica (istituzionale e anche più in là), digerendo la “anomalia italiana”. Non c’è più il partitone che raccoglieva le prevalenti aspettative dei lavoratori e delle classi sfruttate, né – in sedicesimo – un “centro-sinistra” al quale i lavoratori potessero riservare (come effetto di trascinamento della fase precedente) un’aspettativa di “amicizia”, in effetti servita al contrario senza complimenti. Se i governi di “centro-sinista” ci hanno riservato finanziarie antiproletarie, la precarietà, controriforme pensionistiche etc., oggi con i voti congiunti degli ex nazional –“comunisti” del PCI-PD e degli ex-fascisti sono state approvate altre stangate pensionistiche, la controriforma dell’articolo 18, la gragnuolata di tasse, la generalizzazione dell’attacco al CCNL; il tutto mentre la Cgil, già a suo modo “mobilitata” contro il cavaliere, ha dismesso ogni azione di contrasto per un sostanziale via libera al governo di salvezza e unità nazionale con dentro il PD.

Il governo tecnico sostentuto dalla Grosse Koalition italiana sostanzia un considerevole spostamento a destra dell’asse della politica nazionale. Aggravato da un centro-sinistra a guida PD che si propone come il più leale supporter dell’agenda Monti, mentre le demarcazioni vengono piuttosto da destra, non solo dalle ben lanciate estreme (da Storace ai vari raggruppamenti nazional –“rivoluzionari”), ma anche dallo stesso partito di Berlusconi e dalla Lega. Insomma, mentre il PD sposa il montismo – con una buona fetta di “sinistri radicali” in vario modo al suo seguito –, cospicui settori borghesi (e le mezze classi, colpite anch’esse dalla scure montiana) schiumano rabbia per i sacrifici, attribuendo il tutto a un governo illegittimo supportato dalla sinistra (se non proprio “della Cgil” o addirittura “dei comunisti”), pronti ad aggressivizzarsi contro il proletariato per il ritorno a un esecutivo “legittimo” che li mandi indenni e scarichi ogni costo sul mondo del lavoro, come “dio capitale” comanda. Peraltro una classe operaia deprivata dei propri già riconosciuti punti di riferimento, ha sperimentato in questi anni il tentativo di collocare in ogni altra direzione le proprie attese, e innanzitutto nel territorialismo reazionario della Lega Nord. In assenza di una prospettiva di classe – della quale non si vede purtroppo l’annuncio – un proletariato politicamente annichilito (o settori di esso) possono “andare contro se stessi” aggregandosi a questo o quell’altro carro borghese, mentre lo stesso qualunquismo antipolitico (da delusi-incazzati, ma giammai in direzione della prospettiva di classe) predispone esattamente a questo esito. Non che il riformismo da capitalismo nazional-popolare del PCI-PDS (e dei suoi reggicoda rifondaroli) costituisse un argine a derive del genere. E’ che le soluzioni intermedie sfumano, bruciate dalla crisi capitalistica. Le classi sociali ne verranno calamitate a polarizzarsi su soluzioni radicali, le uniche realistiche e credibili. Se il laboratorio politico della borghesia sconta mille ritardi, con rischi di ricaduta nel pantano, dalla parte nostra, purtroppo, vediamo solo confusione, minimalismo elettoralistico e una fasulla “radicalità” senza nessun reale passaggio di riconquista della prospettiva di classe.

Nel campo di chi a “sinistra” considera “dissennata e suicida” l’alleanza di Vendola con il PD, troviamo bensì lucide analisi di quel che il capitalismo riserva e prepara contro i lavoratori, ma giammai una risposta e una prospettiva minimanente adeguate a contrastarlo. Marco Revelli, che già voleva festeggiare con il tricolore in piazza le dimissioni del cavaliere e l’avvento di Monti (tanto per dire di una “sinistra” priva di midollo), ha chiaro che “le linee guida nel campo delle politiche sociali nel prossimo quinquennio resteranno quelle seguite dal governo Monti con un ulteriore incrudimento dettato da un’emergenza permanente”, sicché “le prossime elezioni politiche (unico campo di ’resistenza’ per costoro, n.n.) appaiono in larga misura già segnate e potremmo dire inutili”, perché “chiunque vinca – centro-destra o centro- sinistra – si troverà l’agenda già scritta e... dopo Monti non può che esserci Monti o la sostanza del montismo probabilmente ulteriormente incrudelita” (sul manifesto del 7/08/12). D’accordo. Ma cosa si propone contro questo? Un’ “alternativa di modello”. E quale “modello” non sarebbe più alternativo e pertinente di fronte al capitalismo in crisi se non l’innominato e innominabile (da costoro) comunismo? Niente di tutto ciò. Per Revelli si tratta “semplicemente” del “progetto di un’altra Europa e di un’altra politica estera che strutturi un’area mediterranea per negoziare alla pari con i tedeschi e contrastare i loro dogmi falliti; e di “un’altra politica sociale che metta al centro il lavoro contro il finanz-capitalismo”, “rioganizzando il sistema produttivo” secondo i contro-dogmi della “messa in sicurezza delle nostre vite e del nostro ambiente”. Aria fritta! Illusione di archiviare il montismo (cioè il capitalismo crudele che incrudelisce sempre di più) con uno “scatto”... di schede (laddove sia in Irlanda che in Grecia i “cittadini”, portati a esprimersi individualmente nell’urna, hanno accettato il rigore europeo), produzione equocompatibile a tutto spiano (dunque la crisi non esiste, n.n.), un po’ di andreottismo mediterraneo per andare poi a discutere alla pari con la Germania (!?) rimettendo in discussione i suoi dogmi falliti. Dove sarebbe l’ ”alternatività” del “modello”, se si tratta di un’illusoria verniciatura buonista dell’unico indiscusso capitalismo affidata a ininfluenti belati! Ma non la pensa così Ferrero, che invece “apprezza molto” Revelli e plaude a un “progetto radicalmente (?!) alternativo di costruzione dell’Europa”. “Non deve essere” però una “piattaforma estremista”, ma un “processo plurale in cui convergono esperienze diverse”, perché “non esiste oggi una cultura politica, una forma organizzata, una visione generale che possa racchiudere il tema dell’alternativa”. Quindi contro “la rivoluzione iperlibersita di Monti” occorre formare una “soggettività plurale della sinistra che abbia l’obiettivo esplicito di dar vita ad una lista per le prossime elezioni politiche.

In entrambi i casi si afferma che siamo a uno svolto storico in cui la peggiore ferocia del capitalismo si scatena contro la classe operaia, ma non se ne conclude affatto che, allora, bisogna lottare contro il capitalismo, attrezzandovisi sotto il profilo teorico, programmatico e quindi organizzativo. Contro lo schiacciasassi del capitale sarebbe sufficiente una lista elettorale che metta assieme tutte le esperienze più frammentate e confuse, per uno pseudo-programma di ristrutturazione delle leggi di mercato perché divengano più eque, più umane... In questo modo non si appresta nessuna difesa contro la “crudeltà” del capitalismo, perché in realtà si nega ogni alternativa di sistema(previa rottamazione di un capitalismo marcio e in crisi) e si cancella la prospettiva del socialismo. Quel che è peggio, agitando fiaccamente denunce tutte iscritte nell’orizzonte del capitalismo, si ara il campo a ben altre forze che possano un domani – ma già oggi – raccogliere i frutti nell’unica coerente direzione: quella di un capitalismo nazionale che risponda alle “attese di cambiamento” del fronte interno irregimentando e compattando ancor di più il proletariato agli interessi nazionali e aggressivizzandosi all’esterno (innanzitutto contro i paesi dominati) per rivendicare il proprio “posto al sole”. Ferrero e compagni guardano ai risultati elettorali di una Syriza greca (o della Gauche Plurielle francese), ovvero della lista elettorale che in Grecia ha raccolto il reale malcontento dei settori proletari che si sono mobilitati nelle piazze. Ma l’assenza di un programma e di una prospettiva condanna questi aggregati elettorali (e noi crediamo che la verifica sarebbe stata bruciante in caso di vittoria di Syriza), mentre in una serie di paesi a cominciare dalla Francia il primo partito operaio è il Front National (stessa roba in Ungheria, Romania, etc.). Vogliamo discutere del perché questo accade?

Noi diciamo che questa “sinistra”, incapace di ricongiungersi al programma di classe, prepara la disfatta ovvero – se non si corre ai ripari – l’incanalamento della risposta proletaria lungo un asse nazional-popolare contrario agli interessi immediati e storici del proletariato e invece consono al populismo della destra. Leggiamo ancora che “vere elezioni” (gira gira, sempre di quello si parla, n.n.) sarebbero quelle che vedessero da una parte la coalizione bipartisan che ha sostenuto Monti e dall’altra “un’alleanza da costruire” che dica “no a fiscal compact, austerità e regole europee. Secondo Cremaschi “a questo bisogna lavorare superando i vecchi schieramenti che non significano più niente”, perché “chi sta con l’austerità è di destra, chi vuole rovesciarla in nome del pubblico, dei diritti sociali e dell’ambiente è di sinistra” (!!). Domani magari si strillerà contro le “infiltrazioni fasciste nel movimento”, ma intanto ci si rende conto o no che, mentre si dice che “i vecchi schieramenti non significano più niente” (musica per certe orecchie...), il programma “contro l’austerità europea, etc.” non connota in niente l’indipendente protagonismo politico del proletariato nella crisi del capitalismo, perché è invece sostanzialmente comune alle forze della destra anche e soprattutto estrema, che già oggi lo agitano nella società e nel proletariato con maggiore determinazione e credibilità (trattandosi di unificare le forze della nazione contro un nemico e un attacco che sarebbero “esterni”)?!

Siamo in piazza contro il governo Monti e la santa alleanza europea cui partecipa, e giudichiamo un errore grave il mettere sempre al centro della denuncia (facendone, anzi, il motivo di denuncia unico) “l’Europa delle banche, della finanza e del governo tedesco” che detterebbero le politiche all’esecutivo italiano. Ieri l’Italia provincia americana, oggi il governo Monti servo della Merkel. A dettare le politiche a Monti non è questo o quello Stato estero o troike sovranazionali “antitaliane” o ancora generici e indefiniti poteri esterni (“la speculazione internazionale”...) che calpestano la “nostra sovranità nazionale” e la “nostra democrazia”. Sono piuttosto i “mercati”, laddove – però – spetta ai comunisti smascherare anche la genericità dei cosiddetti “mercati” (volta a presentare come ineluttabile il meccanismo impersonale che ci domina), per dire invece in chiaro che chi ci attacca è il sistema capitalista, è la classe borghese in carne ed ossa che quei mercati domina con i suoi capitali e i suoi titoli di proprietà sul mondo intero. Sono questi interessi, comuni ai borghesi imperialisti del mondo intero, a imporre la salvaguardia del profitto a tutti i costi contro il proletariato. Se anche uno Schifani può fare dichiarazioni “contro gli oscuri poteri anti-democratici della speculazione internazionale”, dovrebbe balzare all’evidenza che così non si demarca e non si costruisce nulla dal punto di vista di classe. Come è possibile omettere che l’attacco ci proviene dai capital-imperialisti italiani, dai Riva, gli Agnelli, i De Benedetti, dai “nostri” banchieri? Il fatto che lo facciano in combutta con i sodali imperialisti maggiori, tutti insieme organizzati nei loro organismi internazionali europei e occidentali, non può valere la derubricazione dei primi dal novero dei nostri nemici (o magari il loro passaggio a “vittime” con le quali insieme organizzare la riscossa della patria oltraggiata). Essi sono presenti e rappresentati in tutte le troike mondiali, i loro interessi sono organizzati e attivi nella cosiddetta speculazione, anch’essi dominano i “mercati” con i propri capitali (con il rango che gli compete): non dobbiamo consentire che la sostanza dell’attacco del capitalismo imperialista contro il proletariato mondiale venga agitata “da sinistra”, con buona dose di incauta demagogia, come un attacco di centri decisionali stranieri e – strucca strucca – della Germania contro “la nostra democrazia”, “la nostra civiltà”, l’indistinta “nostra” nazione! Si vuole prendere atto o no che non è esattamente la stessa cosa, che in questo modo si assume il programma della revanche nazionale e si abbandona la trincea di classe?!

Il governo Merkel tutela gli interessi della borghesia imperialista tedesca, predatrice di primo piano sui mercati mondiali. Ovvio che la Germania contrasti con le unghie e i denti le manovre americane che, dopo aver pilotato la crisi sull’Eurozona, vorrebbero far pagare tutto alla Germania, indebolendone l’apparato produtttivo e facendone la comoda dispensa per paesi come l’Italia e altri, che si muovano come pedine disgregatrici al seguito degli imperialisti americani e inglesi. La rabbia e la lotta contro quanti ci impongono i sacrifici vanno indirizzate contro tutti costoro e innanzitutto contro Stato-governo-borghesi di casa nostra, perché solo in tal modo si organizza la lotta sul congruo terreno di classe e si lanciano effettivi ponti di solidarietà e di unificazione di forze ai proletari degli altri paesi. Laddove è chiaro che non siamo quelli della “sveglia europea”, ma del risveglio proletario contro USA ed Europa del capitale, due iene competitrici dello stesso sistema “combinato e diseguale”!

Quanto al “No debito”, un conto è denunciare lo stozzinaggio dei grandi investitori che hanno in mano i crediti verso gli Stati, dai quali pretendono che onorino per ora e per sempre la certezza di pagamento di capitale e cedole, massacrando di tasse i lavoratori, e che in generale gli garantiscano il diritto al profitto a spese della classe che produce. Altro è iniziare a dire che i creditori dello Stato italiano sono in buona parte banche e fondi stranieri, proseguendo che “noi (noi chi? n.n.) dobbiamo fare come l’Argentina” (parlando in Italia). Qui il “no debito” diventa la proposta di una politica “per l’Italia” rivolta a un ampio fronte interclassista, diventa il suggerimento al governo e allo Stato (che sarebbero recuperabili a un “ruolo di progresso sociale”...) per svincolare l’Italia da tutele e limiti imposti dall’esterno alla sua sovranità per riprendere un cammino capitalisticamente virtuoso per l’intera nazione.

Nel primo caso ci si attrezza a combattere contro gli imperialisti italiani e internazionali che pretendono il pagamento del debito e contro Stato e governo “nostri” che tutelano il sistema di generale strozzinagggio. Nel secondo caso si suggerisce alla borghesia italiana, almeno a quella parte di essa che voglia recuperare “un ruolo di progresso sociale”, che è insensato anche dal suo punto di vista incaponirsi a voler svuotare con continui dolorosi salassi un mare che non è prosciugabile. Che “ci” conviene a “noi tutti come nazione”, dichiarare che non possiamo pagare il debito, scaricando innanzitutto la buona metà di grandi creditori non italiani. Un’ “area mediterranea” coagulata attorno a questo rifiuto potrebbe sottrarsi ai “dogmi tedeschi” di pagamento del debito e riprendere il suo capitalistico cammino (lo ha fatto l’Argentina, perché non potremmo farlo “noi”?). Insomma: esiste una trincea di classe contro gli imperialisti che reclamano le proprie cedole e contro lo Stato esattore; ed esiste l’opposta prospettiva di un fronte interclassista per “difendere la nazione contro i nemici esterni che la dissanguano e opprimono”. Noi stiamo sulla prima trincea (proletari contro borghesi e Stato) e diamo battaglia contro la seconda prospettiva (borghesi, operai e Stato italiani insieme, per una illusoria via d’uscita di comune nazionale interesse). La quale, peraltro, proprio in quanto persegue la cometa di un’alleanza di Stati/governi “progressisti” che “trattino alla pari” con la Germania, di fatto rimane fin troppo tiepida rispetto all’effettiva unificazione delle lotte non solo alla scala più ampia ma anche nella cosiddetta “area mediterranea anti-tedesca”. La vera solidiarietà ai lavoratori greci non si costruisce sul progetto di ribaltare nelle urne gli indirizzi della politica del proprio Stato, come base per una futura “alleanza di Stati progressisti e anti-tedeschi” (prospettiva questa che separa e condanna all’isolamento le lotte nazionli), ma necessita di un vero programma per l’unificazione su basi di classe della lotta internazionale e internazionalista!

Sono questi alcuni nodi centrali da non eludere, per chi punti a organizzare l’opposizione sociale e politica al capitalismo e non a mere liste elettorali ininfluenti nello scontro reale. Come centrale è il nodo dell’internazionalismo, dove occorre prendere in carico il fatto che l’assenza di lotta contro il governo Monti (e prima ancora contro l’esecutivo Berlusconi) è in non piccola parte dovuta al fatto che una cospicua parte delle forze che in passato si erano insieme mobilitate, nel cosiddetto movimento no war, contro la guerra infinita dell’Occidente contro i paesi arabi e islamici, hanno vergognosamente decampato da questi compiti, mettendosi a plaudire le cosiddette rivolte in Libia e in Siria, continuando a farlo quando hanno visto che i rivoltosi invocavano l’alleanza e l’intervento degli imperialisti. Il nostro stare oggi in piazza potrà segnare un piccolo passo in avanti – e l’inizio della risalita dal baratro segnato da ridicoli “comunisti” occidentali plaudenti ai rivoltosi libici mentre andava in scena la distruzione della Libia (con replica siriana)–, se anche e soprattutto questo nodo non verrà eluso per essere invece posto con l’energia che merita. Ci sembra che rasenti l’indecenza la posizione di chi dice “no Monti, no debito” contro i “diktat dell’Europa tedesca” mentre ritiene “comprensibile” la “richiesta di aiuto” (accolta!) dei libici alla Nato! La manifestazione odierna non potrà segnare un effettivo pur modesto passaggio in avanti sul fronte interno contro il governo Monti e il montismo, se non sarà in grado di promuovere l’iniziativa in modo serio e coerente (il che singnifica senza concedere spazio agli amanti delle “rivolte” che si alleano e invocano gli imperialisti) per mettere in campo la nostra incondizionata opposizione contro ogni intervento militare, occidentale o arabo-reazionario, in Siria!

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