Chi ha cercato fra le cronache dei quotidiani la notizia della manifestazione degli immigrati di domenica 28 ottobre a Roma, ha constatato un black out totale su un’iniziativa di piazza vivacemente partecipata da almeno 10.000 lavoratori immigrati, prevalentemente asiatici.
A riprova di quanto questa manifestazione non fosse affatto invisibile, c’è da ricordare che essa ha fatto seguito - di un solo giorno - all’altra, altrettanto partecipata, che si è svolta a Brescia sabato 27. Anche il manifesto, che pur aveva dedicato una scarna cronaca all’iniziativa di Brescia, nulla ha pubblicato sulla manifestazione di Roma, strettamente collegata alla prima dal comune percorso organizzativo e dal gemellaggio stretto delle piazze.
Noi abbiamo preso parte alla manifestazione di Roma e, contro i tentativi di svilimento delle lotte degli immigrati, contro l’isolamento e le “disattenzioni” che troppo spesso si registrano anche a “sinistra”, ne apprezziamo e valorizziamo il protagonismo e gli sforzi che le più avanzate associazioni degli immigrati continuamente affrontano per contrastare sul piano della mobilitazione e della lotta gli attacchi che provengono dal fronte borghese e governativo. Tra queste le associazioni di diverse nazionalità e continenti organizzate nel Comitato Immigrati in Italia che figurano tra i principali promotori delle iniziative in parola.
Se la recente manifestazione del 20 ottobre ha portato in piazza a Roma una massa di lavoratori (e anche una quota di immigrati) colpiti dalla politica del governo Prodi e intenzionati a far pesare le proprie ragioni affidandole a una ripresa di partecipazione, queste associazioni degli immigrati sin dall’inizio della nuova era Prodi sono state impegnate a non dismettere la piazza.
Non che nella massa degli immigrati mancassero illusioni e aspettative a fronte dei roboanti annunci degli esordi, quando a Ferrero era concesso di straparlare prima che maturassero i tempi delle decisioni governative, sulle quali alla fine anche i “sinistri radicali” convergono (vedi il voto sul cosiddetto pacchetto sicurezza).
Ma le “speranze” verso l’azione del governo di centro sinistra non hanno paralizzato i lavoratori immigrati in un’attesa passiva. Di fronte al governo di un paese imperialista che non ha cessato un solo giorno di colpirli essi hanno utilizzato in particolare la leva di un associazionismo auto-organizzato svincolato dal ricatto dell’appoggio al governo Prodi e dalla delega in bianco alle istituzioni.
Queste associazioni, che avevano superato con molto impegno il riflusso imposto dal minaccioso esordio del governo Berlusconi-Bossi-Fini, riprendendo infine con rinnovata fiducia la via della piazza contro l’autentica tagliola della Bossi-Fini, non hanno poi interrotto la continuità della mobilitazione quando al governo è giunto il centro-sinistra. Appena qualche giorno dopo la sua vittoria elettorale e nei due anni successivi hanno animato la piazza con manifestazioni anche più modeste nei numeri di quelle recenti, ma sempre vivaci e ben organizzate.
Sin dall’inizio hanno chiesto la cancellazione della Bossi-Fini, denunciando allo stesso tempo la legge Turco-Napolitano.
Se il governo Prodi aveva promesso di regolarizzare un numero cospicuo di immigrati allargando i flussi per l’anno 2006 a tutti quelli che avevano fatto domanda (e dunque prospettando i termini di una reale sanatoria per oltre 500.000 domande ricevute), la realtà, gridata in piazza dagli immigrati, è che non solo queste domande ma anche gli “ordinari” rinnovi sono tuttora fermi al palo del “menefreghismo” delle burocrazie, per cui una massa enorme di immigrati si vede attualmente negato quel pezzo di carta la cui mancanza li rende invisibili e gli impedisce di potersi difendere innanzitutto sul posto di lavoro.
Inoltre, è stato gridato, il trasferimento delle pratiche presso gli uffici postali, lungi dal risolvere il problema degli estenuanti tempi di attesa, contribuisce con l’ennesimo balzello di 72 euro ad un ulteriore taglieggiamento dei salari, lasciando sostanzialmente immutata la condizione di ricatto.
Gli immigrati non da ieri denunciano, insieme allo sfruttamento di padroni e padroncini e allo strozzinaggio dei proprietari di case, anche il taglieggiamento dello Stato che grava di ogni possibile prelievo i loro redditi (modesti individualmente, ma enormi come massa). La legge finanziaria dell’anno 2007, che a chiacchiere avrebbe redistribuito risorse ai più deboli, in realtà ha scaricato il cosiddetto risanamento dei conti su tutti i lavoratori e anche sugli immigrati: le casse dello Stato, continuamente svuotate dai privilegi garantiti alle imprese e alle classi borghesi, sono state rimpinguate per miliardi di euro anche dall’ “aumento delle entrate dagli immigrati”, come sta scritto chiaro chiaro nei documenti ufficiali del governo Prodi.
Gli immigrati scesi in piazza si rendono conto che con il governo Prodi le loro condizioni di vita non sono migliorate e registrano, quindi, la delusione verso una promessa non mantenuta. Anche la riforma in gestazione Amato-Ferrero, vissuta come l’ultima istanza per qualche cambiamento, risulta sempre più blindata dall’opposizione della destra, compresa quella ben interna alla coalizione che governa. Non a caso i rappresentanti immigrati nei comizi di piazza hanno aggiunto all’elenco infausto della Turco-Napolitano e della Bossi-Fini anche il progetto Amato-Ferrero, che, dopo tante promesse, nulla di sostanziale concede, mentre conferma la logica della Bossi-Fini ovvero il ricatto che deriva dal legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro.
Nella manifestazione di Roma (e non dubitiamo che lo stesso segnale sia giunto da Brescia) i rappresentanti immigrati si sono rivolti direttamente ai lavoratori italiani, per dire che se padroni e governo riusciranno a tenere sotto ricatto 3 milioni di lavoratori immigrati, questo gli darà forza per attaccare e peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro di 25 milioni di lavoratori italiani.
Per questo i comitati promotori hanno espressamente richiamato la necessità di partecipare e sostenere le lotte dei lavoratori italiani a cominciare dal programmato sciopero di tutto il lavoro dipendente del 9 novembre indetto dai sindacati di base contro il protocollo del 23 luglio e la politica economica e sociale del governo Prodi.
Come anche nei comizi sentiti aleggiava l’idea, tuttora da costruire, di una giornata di sciopero degli immigrati, per bloccare per un giorno - così come è accaduto negli Stati Uniti - l’economia che gira sul lavoro degli immigrati, scioperando, chiudendo gli esercizi, non portando i propri figli a scuola.
Per i proletari immigrati non è possibile separare la denuncia delle condizioni di vita qui in Italia dalla ripulsa contro le politiche neo-coloniali contro i propri paesi. Questo aspetto è decisivo per individuare la radice e la reale portata dell’offensiva contro il mondo del lavoro lanciata dai padroni e dai governi occidentali in casa propria e nel mondo intero, dove all’occorrenza scatenano guerre criminali per poter dare campo libero ai propri interessi. A questa offensiva si accompagna una propaganda che addita la causa dell’arretramento delle condizioni dei lavoratori occidentali nella concorrenza degli altri paesi, nelle difficoltà economiche e negli squilibri dello scenario mondiale causati da Stati e popoli “canaglie” da mettere in riga con le buone o con le cattive, come si sta facendo in Iraq. Gli immigrati in piazza si rivolgono ai lavoratori italiani chiamandoli a non compattarsi alle politiche dei propri governi illudendosi di poterne ottenere qualcosa, ma invece a organizzarsi per ricercare insieme, e insieme ai lavoratori e agli sfruttati dei paesi di origine, l’unica vera soluzione ai problemi dei lavoratori.
Anche di questo abbiamo colto qualche segno nella manifestazione di Roma, dove, tra l’altro, uno striscione denunciava le politiche razziste contro “i lavavetri e i rom-rumeni”, in questo suscitando discussione tra quei lavoratori rumeni che dicevano di non aver nulla a che fare con i rom. Secondo noi è invece importante che non sia stata elusa la questione che oggi tiene banco, per contrastare la campagna razzista che prende a pretesto alcuni gravi fatti di cronaca, che oggi riempiono le prime pagine se e quando a commetterli sono rom, rumeni o comunque immigrati. Le campagne oggi dirette preferibilmente contro i rom provenienti dalla Romania, fanno parte di una campagna più ampia che con i pacchetti sicurezza e la sagra macabra dei respingimenti e delle espulsioni mira a deviare la rabbia dei proletari italiani per le proprie condizioni di disagio verso presunte cause esterne dei problemi, cui sarebbe possibile rispondere se ci si compatta al proprio governo in vista di una maggiore capacità di competizione e di aggressione dell’Italia dichiaratamente contro i concorrenti-nemici esterni (e ora anche interni, ma sempre stranieri e nemici), da mettere in riga. Tutto ben congegnato per contrapporre i lavoratori italiani ai lavoratori immigrati e quest’ultimi tra di loro e continuare a deviare fuori bersaglio la rabbia dei proletari italiani.
Non è nostra intenzione enfatizzare oltre misura queste iniziative, ma ci sembra utile raccoglierne le voci per abbozzare un contributo di riflessione che favorisca gli ulteriori passaggi.
Ai compagni immigrati, cui va il sostegno della nostra modestissima partecipazione, ci sentiamo di dire di dare il seguito che merita alle cose dette in piazza, organizzando un’attenzione significativa non solo alla giornata del 9 novembre ma a tutte le occasioni di possibile incontro di lotta con i lavoratori italiani, a prescindere dalle sigle che di volta in volta organizzano la piazza e anche quando a farlo siano le direzioni di Cgil-Cisl-Uil, costrettevi dalla pressione della crescente quota di lavoratori immigrati sindacalizzati, che esse puntano a svilire in una cornice istituzionale e di delega.
Al riguardo annotiamo che il 28 ottobre a Roma rispetto alle volte precedenti c’era una maggiore (per quanto tuttora modesta) presenza di compagni italiani (e anche un maggior numero di rappresentanze di forze politiche e partiti). Un piccolo segnale di relativo minor isolamento da registrare in positivo, perché è un primissimo risultato della capacità di mobilitazione e di sia pur difficile dialogo che in questi anni gli immigrati hanno saputo mettere in campo.
A maggior ragione il protagonismo diretto e l’auto-organizzazione si confermano come leve preziose, da mettere però al servizio di una politica fronteunitaria che si rivolga alla massa dei lavoratori, immigrati e italiani, anche a quella che delega l’iniziativa alle direzioni politiche e sindacali “centro-sinistre”, che non si svincola ancora dal ricatto del “governo amico” o non si mobilita affatto. Rifuggendo quindi da ogni suggestione di un proprio percorso autosufficiente e separato e senza nulla concedere al minimalismo autoreferenziale che porta molte forze sindacali e politiche italiane, che pur mettono in campo meritori passaggi di reazione alle politiche antioperaie del governo Prodi, a scartare compiti politici più ampi, quelli che richiamano alla necessaria definizione teorica e programmatica in direzione della ricostituzione del nostro partito di classe. Anche i compagni immigrati sono chiamati a questo compito.
Nelle iniziative degli immigrati noi scorgiamo il segno di un potenziale di lotta. Vi vediamo un serbatoio di energie proletarie cui necessariamente riferirsi se veramente si intende difendere e far valere gli interessi di classe dei lavoratori. “Stranamente”, ma non troppo considerate le premesse da noi criticate, i promotori del 20 ottobre, che ora si arrovellano con concludenza zero sul seguito da dare a quella partecipazione massiccia, non hanno avuto occhi per guardare né programmi e prospettive per valorizzare le iniziative degli immigrati. Il manifesto, che non esce il lunedì, ha ritenuto addirittura inutile riferirne.
Possiamo comprenderne il motivo, visto che il fiume di chiacchiere inconcludenti su laboratori, cantieri e balle varie è univocamente riferito a come spendere (in realtà disperdere e azzerare) la partecipazione del 20 ottobre in funzione del rilancio di pseudo-contrattazioni per poter contare un pochino almeno negli equilibri del governo Prodi, di complicate procedure costituenti di nuove aggregazioni a sinistra su basi sempre più frananti, delle strategie per contendere quanti più consensi elettorali al Partito Democratico e per ricominciare infine, illusi!, il gioco dei condizionamenti verso un quadro politico che sterza ogni giorno che passa sempre più a destra, omettendo invece di guardare e lavorare con fiducia alla prosecuzione della mobilitazione di piazza, l’unico terreno che sia in grado di condizionare il quadro politico e garantire la difesa dei nostri distinti interessi irriducibilmente contrapposti ad esso.
La manifestazione del 28 ottobre, ci viene da dire, poco si presta a fare da sgabello a questo manovrismo istituzionale privo di reali prospettive.
Ai comunisti il compito di raccoglierne la sia pur piccola valenza positiva sul piano reale della lotta, da rafforzare, estendere, unificare come unico argine reale contro le politiche di governo e padroni.
2 novembre 2007