nucleo comunista internazionalista
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LA NOSTRA MEMORIA – 3

(Frammenti della nostra storia di classe,
sul filo del tempo)


Non nascondiamo che quando, sollecitati dalla vicenda attorno alla miserabile “primula rossa” presa nel sacco, abbiamo ripreso in mano i poverissimi numeri di “Partito e Classe” tirati in economia al ciclostile (i ricchissimi numeri di “Partito e Classe”!) ci è scappato quasi da piangere. Non lo nascondiamo, saremo pure patetici… ma così siamo noi. Questa è la verità.

Le “pagine combattenti” che riproponiamo sono scritte dal compagno Paolo Turco. Che per noi Vive anche attraverso esse.

Siamo convinti, siamo certi, che i tanti compagni, vecchi e nuovi e dispersi in cento rivoli, sapranno sentire lo stesso nostro sentimento, la stessa nostra passione che questi scritti trasmettono e che ci hanno segnato, come la punta di un diamante segna e taglia il vetro.

A beneficio delle giovani leve: l’Asinara è stato un carcere speciale di massima sicurezza in cui furono reclusi i militanti delle formazioni combattenti, massimamente delle BR. Fabrizio Pelli è un militante delle BR morto in carcere. L’operazione “7 Aprile” (perché messa in atto il 7 aprile 1979) fu attuata dalla magistratura padovana contro l’area “sovversiva” dell’allora Autonomia operaia e portò all’imprigionamento dei capi, Toni Negri, Oreste Scalzone, Franco Piperno oltre a numerosi altri militanti.

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ASINARA E DINTORNI

1) In quanto comunisti rivoluzionari siamo del tutto contrari alle teorizzazioni ed alla pratica politica dei vari "gruppi combattenti" (teoria e prassi incentrata sulla lotta armata oggi nei moli e nelle forme in cui essa può essere praticata: costituzione volontaristica di un'organizzazione clandestina staccata dalle lotte immediate della massa, sovrapposta ad esse in funzione "direttiva", con scopo eminente, se non unico, sotto il profilo degli obiettivi "concreti" da conseguire, l'attacco militare ad uomini e cose dell'apparato di dominio capitalista). La nostra completa contrapposizione di programma, prospettive e fini con tutto ciò è, però, "puramente politica". Comunque siano condotte le azioni di questi gruppi, esse sono soggettivamente indirizzate contro il capitalismo e rappresentano sì una risposta sbagliata, ma ad un problema vero, ad un'esigenza autentica: quella di rispondere alla crescente violenza del capitale con l'organizzazione della violenza proletaria già a partire da oggi, dai prodromi di quelli che saranno gli scontri decisivi futuri. Ciò ci obbliga al tempo stesso a difendere i militanti del "partito armato" dalla repressione a tutti i livelli (compresa, e in primo piano, quella dei "distinguo" della cosidetta "area rivoluzionaria" democratico-legalitaria con la sua diffamazione del principio della violenza rivoluzionaria) ed a svolgere una spietata critica nei confronti della loro politica, considerata non "moralmente indegna", ma inutile e controproducente ai fini stessi per i quali si manifesta.

2) E' ben chiaro che la necessaria ed imprescindibile critica rivoluzionaria del "partito armato" non può assolutamente confondersi con la propagande, sia pure indiretta, di una competizione proletariato-borghesia sul terreno idilliaco della "contesa civile" (conquista delle "casematte" interne del sistema capitalista, "fuoriuscita" indolore da esso, azione della massa generalizzata – e solo di essa – "mansueta" e via dicendo). Soprattutto va battuta la"critica politica" che serve a nascondere la delazione. Denunciamo a questo proposito non soltanto l'aperta adesione al "corpo volontari" di difesa della Repubblica e dello Stato da parte degli squallidi tutori di una democrazia borghese "rifondata" tipo radicali e PDUP, ma un caso come quello di "Lotta Continua" che, dopo il ferimento di un giornalista dell'"Unità" a Torino, fornì alla polizia le indicazioni su come arrivare ad "Azione Rivoluzionaria", indicandone la provenienza politica, l'ambiente in cui essa era maturata etc. etc., secondo una pista, guarda caso!, rivelatasi esatta. Schifiamo le lacrime di coccodrillo dello stesso giornale che ora piange sulla sorte di Pasquale Vallitutti, coinvolto nella montatura su "Azione Rivoluzionaria" proprio in base a quella pista.

Difendere i compagni del "partito armato" dalla repressione borghese e batterli in seno al movimento di classe è un unico compito, che solo i comunisti, da comunisti, possono portare avanti Se c'è qualcuno che si illude che il terreno della lotta rivoluzionaria possa essere sgombrato, a vantaggio della prospettiva comunista, dagli organi dello stato borghese, questo qualcuno è già dall'altra parte della barricata, a sostegno (poco importa se inconscio) della violenza borghese contro il proletariato.

3) Poste queste schematiche premesse, di fronte ai recenti fatti dell'Asinara non ci limitiamo a riconfermare la nostra scontata solidarietà coi reclusi e le loro lotte, ma cerchiamo di fare alcune considerazioni da marxisti sulla questione. Partiamo, innanzitutto, dalla coscienza che quello dell'Asinara è solo un episodio, l'ultimo ed il più pubblicizzato, se vogliamo, di un'unica operazione di annientamento delle avanguardie rivoluzionarie secondo una strategia "in prospettiva" di sviluppo della violenza borghese: carceri speciali, corpi repressivi scelti, leggi eccezionali e, naturalmente, a supporto di tutto ciò, la "dissuasione" a livello della massa proletaria ad intraprendere ogni e qualsiasi azione sullo specifico ed autonomo terreno di classe (e qui l'opera del revisionismo "operaio" s'innesta a quella diretta della borghesia statale). La violenza borghese si articola secondo una strategia complessa che i comunisti devono intendere e controbattere in tutte le sue articolazioni e non "a settori" o limitatamente alle punte dirette.

4) Finora la solidarietà e la lotta in sostegno ai compagni incarcerati, per le più disparate motivazioni, è sempre stata condotta all'insegna della ripulsa, del tutto idealista e moraleggiante, della "condizione umana del carcerato", degli orrori della segregazione, in nome della lotta per il rispetto dei diritti civili, delle garanzie costituzionali etc., il tutto come fine in sé, al di fuori di ogni prospettiva rivoluzionaria complessiva, annullando o mistificando le questioni di classe nell'interclassismo democratoide. Le necessarie mosse tattiche all'interno di una strategia rivoluzionaria sono state sommerse dal pietismo e dai piagnistei: vedi il caso del "movimento dei non garantiti", pieno di incarcerati nel corso del '77, ma completamente privo di capacità di risposta sul piano di cui sopra, ed incapace, di conseguenza, di assicurare le misure utili a difendere la sopravvivenza dei compagni "sequestrati", a denunciare politicamente e contrastare praticamente l'operazione dalla loro progressiva eliminazione fisica e della "terrorizzazione" dei proletari e dei militanti "a piede libero" nel movimento di massa.

5) In questo quadro ci sembra estremamente positiva la costituzione di un organismo quale la A.Fa.De.Co (Associazione Familiari dei Detenuti Comunisti), sorto quale strumento di difesa delle garanzie e dei diritti che le leggi borghesi italiane darebbero per acquisiti, ma assolutamente non rispettati nei fatti. Niente di rivoluzionario in sé, quindi: si tratta della difesa di interessi immediati compatibili, in sé, con il presente sistema sociale. Ma l'A.Fa.De.Co mette giustamente il dito sulla piaga (e così pone le premesse per un collegamento rivoluzionario tra lotta immediata e prospettiva comunista generale) allorché si configura come organo di difesa non dei generici "diritti" di chiunque, ma di detenuti comunisti, allorché legge e denuncia nel trattamento riservato ai familiari incarcerati e ai loro congiunti la risposta dello stato capitalista a chi vuol combatterlo, allorché si dota di strumenti specifici per condurre innanzi questa sua azione. E' un'acquisizione di fondo per superare tutte le remore piccolo-borghesi sull'umanitarismo e relativi "diritti" che hanno indotto i più "volonterosi" tra gli extraparlamentari, ad es., ad impostare una lotta contro le carceri "in generale", per i diritti umani "in generale", venendo così a mancare sia nell'obiettivo immediato che in quello "prospettico".

6) Le supercarceri, al pari di ogni altro "corpo scelto", non sono il frutto di menti malate di sadismo di settori retrivi della borghesia o del suo apparato giuridico-poliziesco, non rappresentano una deviazione dal diritto democratico, una violazione delle costituzione e balle simili, come blaterano i superdemocratici di tutti i tipi, dichiaratisi "sorpresi" e persino "turbati" dalla "visita" all'Asinara. Le supercarceri e le altre misure "scelte" sono la risposta, ancora embrionale e preventiva, e soprattutto inquadrata in un piano od indirizzo più vasto, che lo stato capitalista oppone ai primi incerti sussulti della lotta li classe, temuta non certo per le dimensioni dell'oggi, ma per i suoi prevedibili e previsti sbocchi futuri. Queste misure inumane di terrorismo borghese sono un baluardo drizzato a tempo per la difesa della democrazia, ovvero del modo di produzione borghese e del suo sistema sociale, contro l'insorgenza rivoluzionaria del proletariato, destinato ad ergersi in classe per sé, in partito politico indipendente, contro lo spettro del riesplodere "anonimo e tremendo" della lotta per il comunismo.

7) Gli apparati repressivi, come tutti gli organismi di comando sociale, sono determinati dai modi e dalle forme delle contraddizioni sociali e dal loro esplodere o implodere nel corso della lotta tra le classi e, interagendo a loro volta su di esse, ne influenzano la soluzione in un senso o nell'altro. L'attuale fase di decadenza del capitalismo imperialista ci mostra lo stadio ultimo di questo modo produttivo: il capitalismo non può più svilupparsi oltre "progressivamen-te"; esso è già di ostacolo allo sviluppo delle forze produttive; il suo concentrarsi in un'area ristretta del globo getta la restante parte del mondo in uno stato di stagnazione e miseria; nei paesi imperialisti, la caduta del saggio di profitto medio sociale ed il problema della realizzazione del plusvalore spingono verso una crisi generalizzata temporaneamente risolvibile, nella logica della continuità del presente sistema produttivo, solo attraverso una guerra imperialistica. La timida ripresa economica che si cerca oggi di tener in vita e gonfiare non può assolutamente trarre in inganno e dar spazio a teorizzazioni pseudo-keynesiane di un futuro sviluppo armonico del sistema.

La "ripresa" si basa su un'intensificazione della produttività per singolo lavoratore e sulla diminuzione della mano d'opera occupata; essa prepara soltanto un'altra e più profonda crisi, e la lotta economica oggi in corso per il predominio sui mercati già comincia a delineare i futuri schieramenti di guerra.

8) I1 proletariato sta avviandosi di nuovo verso l'aut aut "o guerra imperialista o guerra civile rivoluzionaria". Tutte le forze legate al sistema borghese, i partiti "operai" in primo luogo, si adoperano per affasciarlo attorno allo stato nazionale, condizionando le misure pro-operaie allo sviluppo di un "imperialismo operaio". La posta è decisiva: si tratta della sopravvivenza del sistema. Nessun mezzo è troppo spietato per la borghesia che, stretta dalle sue contraddizioni, centuplica le proprie energie, la propria violenza. Terrore e corruzione, bastane e carota si legano in un unico disegno. Non esiste, perciò, una questione separata delle carceri che possa essere risolta al di fuori di una linea complessiva di lotta all'insieme del sistema capitalista. Siamo tutti carcerati del capitale e tutti non abbiamo da perdere che le nostre catene. Ecco perché giudichiamo fallimentare dire che modi, temi e forme di lotta contro le carceri devono essere decise dai detenuti e non dagli esterni (e ciò in linea di principio, non in base a motivi di tecnica di applicazione all'interno delle carceri di una linea unitaria, tecnica senz'altro giustificata e necessaria). Come se il capitalismo fosse due cose diverse per i comunisti carcerati e per quelli a piede libero, per le avanguardie e per le masse! Criminale, invece, giudichiamo le prese di posizione di coloro che, "inorridendo" per le condizioni di "vita" all'interno delle patrie galere, ne chiedono la riforma in nome della "rieducazione" dei malati di... rivolta e in quello del rafforzamento dello stato democratico. E' questo il caso di "rivoluzionari" come i vari Gorla e Pinto, da cui è possibile aspettarsi soltanto un'ennesima "proposta di legge" capace di "umanizzare" e controbilanciare la tendenza ineluttabile verso un rafforzamento della repressione. Costoro non solo nascondono la realtà dell'evoluzione capitalista, ma, propagandandone la "democratizzazione", disarmano i proletari e, per questa via, rendono impotente ogni pur minima lotta insediata sul terreno della difesa dei detenuti comunisti.

9) Per concludere: sì alle lotte contro le condizioni detentive nelle supercarceri e nelle galere "normali", sì alle richieste anche "riformiste" sostenute da una mobilitazione militante diretta (abolizione dei vetri e dei citofoni, diversa strutturazione delle celle, miglioramento delle condizioni di vita...), ma lotta a fondo, su tutti i piani, per legare queste "rivendicazioni" alla strategia di abbattimento dello stato capitalista Delimitazione, quindi, sempre più netta nei confronti degli imbelli e traditori apologeti delle catene dorate; organizzazione proletaria dentro e fuori le galere; costituzione degli organismi immediati e di partito della classe rivoluzionaria! Questa l'esigenza che sentiamo salire dalle celle in cui il capitale cerca di imprigionare, con le "avanguardie" (vere o presunte) della lotta allo stato, la reale minaccia che su di esso incombe: il risveglio autonomo del proletariato!

Settembre 1978

(da "Partito e classe" N.2 – nov. 1978)


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ANTITERRORISMO ED ELEZIONI:

UNA SOLA PROVOCAZIONE

Nei bassi ranghi della polizia si vede il complotto in tutto quello che si ignora e non si intende, confondendo così la colpa altrui con la propria insufficienza professionale, o almeno col non possesso del dono della onniscienza. Se in questa ignoranza poliziesca consiste il reato di complotto, allora è certo che i comunisti italiani hanno complottato e complotteranno sempre, finché non si saranno trovati i raggi X per leggere il pensiero nei cervelli umani. Ma negli alti strati della polizia si persegue invece la politica partigiana del governo attuale, ben sapendo che si elevano accuse insussistenti. Al presente governo, preme presentare alla pubblica opinione l'exploit della eliminazione di ogni attività politica rivoluzionaria. A questa si oppone la resistenza del Partito Comunista, che può essere malmenato e mal ridotto, ma non prenderà mai le vie dell'adattamento e della prudente dissimulazione, necessarie a farsi tollerare dai prepotenti. E per schiacciare questo Partito indebolito, ma per nulla disposto a sbigottirsi delle gesta brutali della parte politica trionfante, la polizia dello Stato ha fabbricato sur commande l'accusa che ci muove. Ora NOI SIAMO PRONTI A TROVARE STORICAMENTE LOGICO CHE IL GOVERNO FASCISTA CI TENGA IN CARCERE PERCHE' COMUNISTI, e ci tratti anche peggio; ma se ci si contesta di aver commesso un fatto che non abbiamo commesso, così come rivendichiamo tutte le responsabilità della nostra opera, respingiamo l'accusa falsa e inverosimile fino alla più evidente assurdità".

(dal memoriale di A. BORDIGA al processo ai comunisti del 1923)

Elezioni ed antiterrorismo sono i due temi su cui s'incentra l'attività politica ufficiale nel momento in cui stiamo preparando questo quarto numero di "Partito e Classe". Due temi apparentemente sconnessi, in realtà collegati tra loro da un filo logico ben preciso: la necessità, per la borghesia, mentre si va sempre più approfondendo la crisi di fondo del suo sistema economico, politico e sociale, di rispondere con buon anticipo e con armi adatte allo "spettro" latente del proletariato, della classe storicamente antagonista. Il vecchio spettro del 1848 torna ad aggirarsi inquietante per il mondo borghese, non più soltanto nell'Europa, ma in tutto il globo, suscitando, come e più di allora, il fronte compatto delle forze controrivoluzionarie: dagli assalti passati del proletariato la borghesia ha imparato molto e, soprattutto, sa che se anche oggi sembra mancare al suo nemico di classe una saldezza di orientamento politico ed ideale ed una continuità d'organizzazione, gli antagonismi sociali che portano allo scontro si sono accumulati nel frattempo, ingigantiti all'ennesima potenza. La vecchia talpa del comunismo non ha cessato di scavare in questi 50 e più anni di controrivoluzione, ed oggi la borghesia sente tremarsi la terra sotto ai piedi. Tutto è rimesso in causa, ed in termini più drammatici che mai; ed è per questo che allo scontro occorre andare prima, quando il nemico è ancora debole e frastornato, è per questo che, abbandonata anche la forma della "libera competizione" di idee, di programmi, di lotte "legali", la borghesia deve dichiarare apertamente il suo terrorismo sistematico contro il proletariato.

Il processo di centralizzazione economica e politica della borghesia è andato molto innanzi in questa sua fase di decadenza, giovandosi anche, e principalmente, dell'immane sconfitta proletaria negli anni venti. Il "fronte unico antiproletario" si è ognor più compattato in un'unica morsa di acciaio: esso ha inglobato il sindacato nel sistema quale forza di controllo sociale direttamente legata ad esso, ha fatto dei partiti "operai" un bastione di difesa dell'imperialismo, ha tagliato – insomma – l'erba sotto i piedi ad ogni forma di neutralità, di indipendenza, ha definitivamente precluso alle forze antagoniste ogni possibilità di crescita democratica, graduale, progressiva entro il suo perimetro. Ma in una cosa ha mancato, e non poteva non mancare: esso non è riuscito ad eliminare il carattere storicamente antagonista del proletariato in quanto classe sfruttata, determinata prima o poi ad ergersi contro i proprî sfruttatori. L'accentramento politico ed economico ha reso, semmai, più drammatica, più profonda, la spaccatura sociale e questa lacerazione, oggi che sopravvanza la crisi generale, si fa sentire in tutta la sua storica portata. Signori borghesi, avete incasellato nel vostro sistema gli organi sindacali e politici "della" classe operaia, ma la classe operaia resta fuori dalle vostre possibilità di controllo sistematico. Essa è l'unica, ma decisiva, "variabile impazzita" che potete cercare di inseguire e contenere, ma non potrete mai fare vostra, cosicché anche gli organi politici del vostro controllo sociale sul proletariato, quali i sindacati ed i partiti "operai", potranno valere, sì, a ritardare il momento dell'assalto proletario, ad indebolirne le forze, ma mai e poi mai a cancellare l'antagonismo sociale nel mare magnum corporativo della "solidarietà (nazionale o super-nazionale) tra le classi". La violenza sociale si è andata progressivamente accumulando, e sempre più si avvicina il momento in cui quest'enorme energia sarà costretta ad esplodere, a liberarsi – come, con molta proprietà, si dice in fisica  –. La mostruosa combinazione sfruttamento-consenso rappresenta uno stato transitorio di costrizione della dinamica sociale borghesia-proletariato, giammai la "legge" di essa, e più si è (necessariamente) esercitata la compressione dell'antagonismo sociale, più (necessariamente) questo sarà spinto a manifestarsi in rottura violenta, verticale, col sistema che lo tiene compresso.

La violenza espressa dal terrorismo e dall'"antagonismo diffuso" non rappresenta che la punta di un iceberg tuttora sommerso; è un'anticipazione, ma non prefigura affatto né i caratteri sociali né quelli ideologico-politico-organizzativi della violenza decisiva, levatrice della rivoluzione, quella proletaria. E' la risposta immediatistica, spontaneista-volontarista, di strati piccolo-borghesi o solo sociologicamente operai alla violenza di un sistema che, giorno per giorno, affonda sempre più nella barbarie; è la difesa informe da essa, la resistenza "offensiva" ad essa, la "riappropriazione" immediata delle cose, della vita (ma quale vita, in questa bolgia dannata?), è la sfida del "contropotere" qui e subito, atto per atto, momento per momento; è, nella sua punta più "alta", la teorizzazione e la pratica di un "attacco al cuore dello stato" in completa contraddizione coi presupposti teorico-programmatici e strategici del comunismo rivoluzionario. I "teorici" di questo caotico "movimento" non fanno che da megafono di una realtà esistente, non fanno che amplificare ideologicamente, contribuendo a fissarne le debolezze intrinseche, l'immediatismo di un fatto, di un movimento di cui essi non riescono a scorgere il senso e la collocazione nel processo rivoluzionario. I comunisti rivoluzionari (non è una novità, né lo si ripete qui per "delimitarci" prudentemente da chi è colpito dalla reazione borghese!) contrastano l'immediatismo del "movimento" e combattono aspramente le teorizzazioni operaiste, cioè codiste, di esso; lo fanno, precisamente, per sconfiggere le debolezze della rivoluzione, in perfetta antitesi col fronte borghese che mira a distruggere l'antagonismo immediato per scoraggiare il vero antagonismo storico. I comunisti rivoluzionari constatano, però, una cosa essenziale: che quel "movimento" e persino quelle "teorizzazioni", proprio per il loro carattere immediato, riflesso, rappresentano la spia di una tendenza storica ineliminabile, e che proprio in quanto tale sono fatti oggetto delle "attenzioni" dei pubblici poteri borghesi; il che significa per essi questo precisamente: la necessità (non morale, ma politica) di difendere incondizionatamente, nelle persone e nei simboli colpiti dalla repressione borghese, la loro prospettiva; la necessità di affermare positivamente la linea di tendenza in questione, il che si fa combinando assieme la piena solidarietà agli avamposti dello scontro, ancorché deboli e deformati, e lavorando a costituire le linee del reale fronte di classe, del tutto "separato" e difforme da essi. Non occorre aggiungere altro per dire come e perché stiamo a fianco dei comp. oggi perseguiti dalla "giustizia" borghese e dal coro dei suoi lacchè, diversamente travestiti.

Le forze del "fronte unico antiproletario" sono passate al contrattacco preventivo con singolare tempestività e con una perfetta distribuzione di compiti arruolando, nelle rispettive posizioni strategiche, tutti, ma proprio tutti i rappresentanti di esso: governo, forze dell'ordine, magistrati "super partes" (!), presidenti della repubblica con eredità antifascista da difendere dall'assalto "terrorista" rosso (magari chiamando a raccolta l'arma "gloriosa" degli Alpini, baluardo di questo e di ogni regime borghese, in guerra e in pace), capi del "movimento operaio" stanchi della "destabilizzazione" oscuramente messa in atto contro... 1a classe (offesa da brigatisti ed autonomi, ed evidentemente difesa dal "legale" capitalismo), giornalisti indipendenti (a pagamento), "estremisti" con buona condotta montecitoriana, "radicali" che si battono per la libertà del pensiero (purché non si traduca in azione, altrimenti son disposti a fare i giudici "in nome del popolo"), anime pietose per una gamba piagata od, orrore!, un'automobile bruciata, vigili custodi costretti a falciare la gente ai posti di blocco (anche... sbloccati) per garantire l'ordine... La fila è allungabile a volontà: quando si tratta di combattere lo "spettro" della rivoluzione (che noi crediamo tutt'altro che incarnato dai furori ideo-poetici di un Toni Negri o da quelli della "gioia armata" neostalinista di un Curcio) tutte le forze borghesi sono mobilitate, dal feld-maresciallo allo scribacchino, col passaggio d'obbligo, e decisivo, attraverso il placet e la partecipazione dei rinnegati del "movimento operaio".

La "tecnica" è quella della rincorsa a cerchi concentrici via via più larghi: si comincia dalle BR, si arriva ai capi dell'Autonomia, si procede contro tutta l'area dell'autonomia, poi si persegue chi simpatizza o difende quell'area, infine si ammonisce (per il momento) chi non condanna (si dice: "copre") i simpatizzanti dell'area, si tengono in ruolo di sospetti coloro che aspettano un attimino prima di formulare un giudizio di merito (così che Giorgio Bocca, ridicolmente assunto da certi "rivoluzionari" a simbolo del regime, si becca del fiancheggiatore da parte del PCI per il suo vetero-garantismo di convinto democratico '800... nell'epoca storica dell'imperialismo decadente!). La merda picista, nella quale serenamente galleggiano i rottami dell'operaismo eversore di un tempo (Asor Rosa, Tronti, Cacciari, i piccoli, sporchi giuda che, nella furia di legittimarsi, non sanno trovare una parola a favore degli ex-compagni attardatisi nei fumi della "rivoluzione"), la merda picista – dicevamo – arriva a questa sconvolgente "analisi": non è che il piccolo e il grande terrorismo siano i frutti di questa società, non è neppure che il terrorismo diffuso nasca come riflesso del grande; è l'illegalità di massa che "crea" il grande terrorismo, è l'eversione generalizzata, il dissenso generalizzato che "creano" il "complotto"; le responsabilità del disordine stanno "in chi diffonde un certo tipo di analisi", con "le conseguenze pratiche che da esse derivano" (cfr. l'intervista ai denunciatori picisti in "Panorama" n° 684, 29-5-'79). Insomma, è l'idea che crea il fatto, e (da poliziotti di basso rango) i picisti indicano la via: "leggere il pensiero nei cervelli umani", e perseguirlo naturalmente, come si addice ai figli "euro" di Stalin, degni prefiguratori di un 1984 da Orwell. Gioco immondo, non privo di fosche prospettive anche per chi lo esercita. Se ne accorge il progressista-industrialista liberal "L'Espresso" (cfr. n° 19, 13-5-'79, p.199): "Zaccagnini ha voluto aprire la campagna elettorale del suo partito rilanciando con tono vagamente intimidatorio la tesi (..) secondo cui chi critica la DC è (almeno ideologicamente) complice oggettivo dei terroristi. Non il malgoverno è alla radice del terrorismo (come pretende lo staff "buongovernatorista" dell'Espresso, moralizzatore da postribolo per vocazione, n.n.), bensì la denuncia del malgoverno.(..) I brigatisti, Toni Negri, gli ideologi del gauchismo, i moralisti che s'intestardiscono a denunciare gli scandali del regime, e perché no?, la sinistra istituzionale: sono tutti più o meno responsabili, tutti più o meno complici". E' questo, esattamente, il crinale di slittamento: la reazione borghese, nei momenti decisivi, non si limiterà a stritolare i nemici aperti, dichiarati, ma si libererà anche, e con inaudita determinazione, dei suoi servi, divenuti ormai d'impaccio, in seno al "movimento operaio", così come il fascismo fece coi socialisti del "patto di pacificazione" con le camicie nere e delle denunzie anticomuniste. Così come ha fatto Pinochet del "fronte popolare di unità nazionale'' che gli aveva spianato la strada. Se, allora, pagassero solo i rinnegati – ammoniva Trotzkij – si potrebbe anche dire, compiaciuti, "ben gli sta"; il guaio è che lo stritolamento dell'"opposizione" legalista, della rappresentanza venduta del "movimento operaio", arriva dopo che questi figuri hanno già affossato le possibilità rivoluzionarie del proletariato, e come colpo "definitivo" contro la classe.

Nell'azione repressiva della borghesia c'è, oltre alla brutalità evidente, una nota di cecità, connaturata al fatto di essere la classe capitalista alla testa di un sistema anarchico, indecifrabile per eccellenza. La massa borghese è realmente convinta della teoria del complotto, della trama eversiva; i vertici del potere quantomeno si illudono di poter eliminare la contraddizione antagonista colpendone i "protagonisti" individui, agenti contro il sistema, armi (o pensieri) in pugno. Il termine "colpire alle radici" ha, nel vocabolario borghese, un significato affatto particolare; significa colpire la punta affiorante dell'iceberg, nell'incapacità e impossibilità di vedere (e colpire) il resto, Come splendidamente ricordava Bordiga nel memoriale del '23, la borghesia si trova stretta tra la necessità di affrontare preventivamente l'attività proletaria "con misure e leggi di eccezione, che perseguono quanto la legge comune tollera e consente in materia di attività politica dei cittadini" e l'impossibilità di fronteggiare con questi mezzi la rivoluzione, in quanto "quando matura una situazione storica che comporti l'attacco aperto ed extralegale ai poteri dello Stato, già i fatti in cui il movimento si concreta si mettono fuori della portata delle azioni e sanzioni giudiziarie". Nel precipitare degli eventi, pur inserendosi in essi il compito grandeggiante del partito comunista, "i concetti e gli spedienti di congiure e concerti 'en petit comité, sarebbero eliminati dalla scena degli avvenimenti", sicché "non è un paradosso concludere che se c'è il processo, il complotto non c'è," che "se il partito comunista prepara un movimento contro i poteri dello Stato, ciò avviene sotto certe ipotesi, da cui discende anche la conseguenza che non si aprirà in tale periodo nessun processo contro i suoi dirigenti". Arrestare e perseguitare (con accuse tanto più efficaci quanto più fantasiose) dei "complottatori" non risolverà per la borghesia il problema, un tantino diverso, di arrestare l'inarrestabile: lo sviluppo delle contraddizioni sociali, e con esso quello della rivoluzione, per sua natura fuori da ogni portata giudiziaria. Non certo perché "filobrigatista", il sociologo S. Acquaviva notava che questo blitz concertato tra ordine pubblico ed ordine politico borghese rischia di provocare dei contraccolpi ancor più "impazziti" ed incontrollabili, ed è curioso che il perseguitato F. Piperno abbia maldestramente invocato "garanzie" per l'Autonomia in nome di uno svolgimento più lineare, alla luce del sole, del "progetto politico rivoluzionario", il che non è un "odioso ricatto" (come subito han sostenuto i picisti, campioni delle denunce e dell'ordine blindato), ma un utile suggerimento alla borghesia da parte di chi, "rivoluzionario" e braccato dagli sbirri, tuttavia sembra crederci ancora, al di là degli incendî verbali o delle innocue molotov. I tempi, però, stringono, e non c'è modo alcuno di ascoltare e mettere in atto suggerimenti di questo tipo: occorre tagliare i ponti, e da subito, con ogni forma di "illegalismo", anche solo ideale, perché dietro l'angolo non sta lo sviluppo di un pensiero (quello, poniamo, scalcagnatissimo di Toni Negri), né lo sviluppo di un'azione eversiva tutto sommato "nella norma" (quella, putacaso, dell'"operaio sociale" o financo degli azzoppatori BR); dietro l'angolo c'è la minaccia del risveglio della classe operaia. Ed è questa che va ricattata, terrorizzata, "ricompattata", utilizzando per intanto quel che si può utilizzare, delle "teste pensanti, una massa informe ed un pugno di neo-resistenzial-stalinisti staccati dalle masse. Un'operazione indubbiamente "dialettica"....

Oggi, gli inquisitori contro l'Autonomia non vanno, non possono andare tanto per il distinguo, ed alla loro rozzezza fa eco la stampa "indipendente" (da chi?, dalla classe oppressa, va da sé). Fioccano le "prove" di colpevolezza. A carico di Negri, Piperno e Scalzone si mettono in conto citazioni di Marx e Lenin; come testimone d'accusa si chiama in causa il pensiero rivoluzionario da cent'anni e più a questa parte! Da comunisti, ce ne rallegriamo immensamente. Ciò vuol dire, per noi, che – sull'onda delle contraddizioni materiali, oggettive – davvero Marx e Lenin tornano ad essere pienamente nostri, a uscire dalle soffitte degli Editori Riuniti e degli articoli di statuto di partiti "comunisti" definitivamente passati dalla parte opposta della barricata; vuol dire davvero che il RED TERROR DOCTOR, il dottore del terrore rosso (non è Negri, signori della Corte...) sta tornando a seminare il panico tra le fila della borghesia ; vuol dire davvero che la sua voce, la limpida voce del "Manifesto" del '48, sta tornando ad indirizzare la classe operaia di fronte alla quale i comunisti "non sono un partito particolare", ma "semplicemente" coloro "che sostengono costantemente l'interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia".

E' chiaro che, come individui, possiamo anche trovare preoccupante una situazione in cui si va alla persecuzione del semplice pensiero, in cui i tribunali "democratici" fanno quel che ancora non facevano quelli del 1923 (Anno II dell'Era Fascista): condannare il delitto d'opinione, in cui i presidenti "resistenzialisti" della Repubblica inviano telegrammi di sprone ai giudici incaricati di far ciò. Chissà che non si trovi per noi un nuovo delitto, quello di previsione, di anticipazione "atta a turbare l'ordine pubblico" di quel che sarà lo sviluppo dello scontro di classe negli anni a venire. Certo, come individui possiamo temere di esser passati per "complottisti", all'occorrenza, non perché nascondiamo qualcosa, non perché tramiamo alcunché, ma proprio perché "disdegnamo di nascondere le nostre opinioni", ben sapendo "che ci esporremmo alle più grandi catastrofi se tenessimo segrete le finalità politiche della nostra lotta". Ma come militanti rivoluzionari la brutalità e la cecità della repressione borghese ci sono di conforto, d'incoraggiamento; esse significano, per noi, qualcosa di ben diverso da quel che chi le mette in atto vorrebbe darci a credere. Apriamo il Diario d'esilio, 1935 di Leone Trotzkij, alla data 27 aprile, e leggiamo:

"Durante la prima e la seconda emigrazione, sino all'inizio della guerra, viaggiai liberamente da un capo all'altro dell'Europa, tenendo comizi – indisturbati – sul prossimo avvento della rivoluzione socialista. Misure di precauzione erano soltanto necessarie in Prussia; nel resto della Germania, benevolenza regnava da parte della polizia, e a maggior ragione ciò valeva per gli altri Paesi europei, Balcani inclusi. Giravo con non so quale specie di dubbio passaporto bulgaro, che mi si chiese di mostrare, credo, una sola volta, alla frontiera prussiana. Tempi beati! A Parigi, in riunioni pubbliche, le diverse ali dell'emigrazione politica russa si accapigliavano fino a mezzanotte ed oltre intorno al problema del terrore e dell'insurrezione armata... V'erano poliziotti nella strada Avenue Choisy 110, credo), ma non entravano mai, né prendevano nota di chi entrava. Solo dopo mezzanotte talvolta il proprietario del caffè girava gli interruttori per raffreddare le passioni in crescendo. A tanto si limitava il controllo sull'attività sovversiva dell'emigrazione... COME SI SENTIVA PIU' FORTE E SICURO DI SE', IL SISTEMA CAPITALISTA, IN QUEGLI ANNI!".

Sì, i tempi beati se ne sono andati, definitivamente; ma che certezza tonificante ce ne viene sull'affossamento non lontano di questo infame regime di sfruttamento! Si, le persecuzioni contro i comunisti si fanno sempre più gravi e le moderne "democrazie" competono vittoriosamente col fascismo in caccia al sovversivo, carceri speciali, leggi eccezionali ed esecuzioni capitali (solo, qui, truffaldinamente mascherate da "incidenti" o "legittima difesa"). Ma questo non è che l'indice di una debolezza crescente, di uno smarrimento della ragione (come altri la definirebbe) che fa tutt'uno con lo smarrimento delle basi "progressive" dell'economia e della società. Perché un numero sempre più alto di giovani (che noi preferiremmo, ovviamente, veder impegnati in un'attività politica di partito tra le masse), infischiandosene delle conseguenze, affronta la clandestinità, la galera, il combattimento e la morte? Ma perché, per dio!, i giovani sentono che lo scontro è in atto, che non è una loro invenzione (anche se ad esso, purtroppo, essi non sanno ancora dare una direzione, una strategia vincente); perché sentono che, imprigionati, saranno presto o tardi strappati dalle galere borghesi; che, assassinati, saranno vendicati da altri compagni; perché "il demone del comunismo" si è imposto su di essi quale forza materiale agente e li obbliga a dar battaglia. No, questo non ha nulla a che fare col complotto, con le trame di minoranze audaci od astute: è un dato oggettivo che scaturisce dalla crisi, generato da nessun altro se non dal capitalismo stesso con le sue contraddizioni. "La borghesia produce i suoi seppellitori", e contro questa contraddizione ben poco gioveranno i provvedimenti di polizia o le menzogne ideologiche del regime.

La borghesia si interroga e sperimenta. "Antiterrorismo" da un lato, elezioni dall'altro. Due facce della stessa medaglia. Spargere il terrore e la mistificazione tra la classe da un lato; cercare la via di una "leale collaborazione" del proletariato al sistema del suo sfruttamento dall'altro. E, in entrambi i casi, difficoltà e smarrimento. Le contraddizioni inter-borghesi hanno portato alle elezioni non solo per stornare il proletariato dai suoi interessi immediati, ma per dar soluzione al problema del "consenso sociale", comune a tutto il fronte unito antiproletario epperò diverso per ognuna delle sue componenti nel momento in cui la crisi fa riesplodere i contrasti sociali di fondo.

La DC alza il prezzo della solidarietà nazionale per qualificarsi come forza borghese dura, capace di governare sul serio sulla classe operaia, ma nel contempo teme i riflessi di una politica troppo rigida tra gli sfruttati e non si sente di portarla avanti da sola e in prima persona; il PCI è costretto a "lottare" per rivendicare una cogestione capitalista di parte operaia, ma non osa, o non può, spingersi troppo oltre, ed imposta tutta la sua campagna in nome di una nuova collaborazione di governo, con una DC "rinnovata" ed un PCI corresponsabile. I due poli si tengono assieme, e assieme rischiano di cadere; il gioco delle parti, anche quando è "sinceramente" aspro, rientra nel quadro di una solidarietà antiproletaria comune a tutti i partiti montecitoriani. Consci delle comuni responsabilità, né DC né PCI azzardano mosse brusche, e intanto la situazione incancrenisce ed il gioco si rilancia sempre più rischioso.

Al di fuori di questo scontro-incontro, in cui si esprime l'arco delle possibilità borghesi di gestione "democratica" e tutto sommato ancora pacifica della crisi, stanno i due estremi polari su cui si condenseranno le forze decisive dell'autentica competizione di classe: la reazione borghese aperta, armata contro il proletariato (con o senza il grande consenso piccolo-borghese e "popolare" di massa che fu del fascismo mussoliniano) e, di contro, la riscossa aperta del proletariato. Non a caso DC e PCI, ognuno per proprio conto, cercano di vincere, badando però a non turbare il delicato equilibrio complessivo che li sostiene entrambi, ancorandoli a questo pericolante sistema sociale. Negli spazi lasciati aperti dai due "mostri sacri" della politica italiana rosicano le forze minori, autentici parassiti di un sistema in decomposizione. Così la "terza forza" socialista, ridotta a comprimario volteggiante tra le due prime donne; così i "laici" PRI-PSDI-PLI, alla perenne ricerca di uno spazietto su cui stare in equilibrio; così la destra estrema, ma non tanto da dichiarare (almeno!) guerra al regime "antifascista" – cui è ben ancorata – del MSI. Così le "nuove sinistre" DP-PDUP che si contendono l'andata a nozze col PCI, solo litigando sulla dote che il "partitone" dovrebbe portare con sé. Così il "radicalismo" di Pannella e soci in cui converge tutto il confuso baillamme dello scontento e della protesta piccolo-borghese, sino allo sciovinismo campanilista, nazionalista e xenofobo (come a Trieste) ed in cui la contesa col PCI fa da schermo, in realtà, ad una indegna campagna contro il comunismo. Al quadro entro cui si svolge la farsa (non disutile per la borghesia, però) elettorale abbiamo dedicato un vasto lavoro interno, uscito in parte sull'ultimo Bollettino di documentazione, e ad esso rimandiamo. Qui una sola considerazione finale in aggiunta a quanto contenuto in quel Bollettino, ed una "previsione".

La crisi spazza via celermente gli intermedismi e questi, quando rinascono, devono farlo in forme nuove, dislocandosi via via in ragione delle contraddizioni sociali affioranti nel sottosuolo. Il '76 ci ha liberati del gruppuscolarismo di falsa sinistra; nel "movimento" ne è conseguita una crisi che significa non "riflusso", ma solo l'impossibilità di ricomporsi su queste basi, definitivamente bruciate. Il '79 ci presenta un tentativo di cattura di certe forze antagoniste da parte della marmaglia radicale: ci sono caduti dentro come mosche sul miele (o letame che sia) i "sopravvissuti" Pinto-Boato & Co.; vi ha dato un avallo una cert'area dell'Autonomia in base a considerazioni che dimostrano come l'eversione della molotov e dei passamontagna possa benissimo sposarsi al più idiota democratismo controrivoluzionario. Ma dal '76 ad oggi è anche sotterraneamente cresciuta (signori magistrati, vi preghiamo di non credere a cantine e seminterrati clandestini!) una avanguardia che ha tratto le lezioni di un decennio, ormai, di illusioni, slogans a vuoto, demagogie dell'atto e del pensiero, e che pazientemente sta componendosi attorno ad un programma rivoluzionario. Al prossimo turno delle esplosioni operaie di massa, l'incontro tra movimento reale e le avanguardie già cristallizzatesi dimostrerà quanta terra borghese il proletariato si è già bruciato dietro! Queste elezioni sono un ennesimo atto del via crucis sulla strada della ripresa rivoluzionaria: spetta ai comunisti organizzati metterlo a frutto perché esso si consumi utilmente per la causa della rivoluzione. La risposta alla provocazione borghese combinata, dell'"antiterrorismo" e delle elezioni, contribuirà a tagliare altri ponti mimetizzati con il nemico di classe, a indicare le linee del futuro passo in avanti, delle avanguardie e del movimento. Quel che è "rifluito" una volta per sempre è una specifica eredità borghese; si sbaglia chi si illude che il programma comunista, che il movimento rivoluzionario sia rifluito con essa. Il futuro (non lontanissimo) ne darà una vivente dimostrazione!

27.5.1979

(da "Partito e classe" N.4 – estate 1979)


ooooo



COMUNISTI

E REPRESSIONE DI STATO

Ci scrive un comp. aderente a "Lotta Comunista" rispondendo al nostro appello ai lettori per un contributo al nostro lavoro in termini di chiarimenti e polemiche politiche:

"Nei primi due numeri della rivista dite di essere obbligati a difendere i militanti del partito armato. Mi chiedo: difendere chi, da che cosa e per che cosa? Non vedo perché i comp. dovrebbero difendere lo stalinista Renato Curcio, che durante un processo, per insultare un avvocato, lo chiamava "trotzkista", e perché andrebbero difesi gli altrettanto stalinisti dei NAP. Che cosa hanno dato costoro alla causa del comunismo? Hanno contribuito solamente ad aumentare la sfiducia nella lotta operaia, hanno creato illusioni guerrigliere, bruciando energie che avrebbero potuto essere impiegate assai meglio. C'è forse da auspicarsi che questi figuri piccolo-borghesi (non è significativo che Curcio e la maggior parte dei suoi compari siano piccolo-borghesi, magari ex da salotto come la Cagol, o ex-cattolici?) ritornino in libertà per poter fare ancora più liberamente il loro mestiere di impostori di operai? Analogo discorso va fatto per gli autonomi, che, come i lottarmatisti, avrebbero la pretesa di essere comunisti. Penso che comunista sia solo chi difende i principi del comunismo e chi si richiama alla sinistra comunista, e non i cialtroni che hanno portato avanti una delle più schifose manovre politiche, cioè quella di voler addirittura negare il concetto stesso di classe operaia con la teoria dell'operaio sociale e della fabbrica diffusa. Per costoro, chiunque può essere "operaio sociale", anche chi una fabbrica non l'ha mai vista. Mi sembra sintomatico che questi "terribili rivoluzionari" ora che sono sotto il tiro della repressione piagnucolino pietà, invocando tregue e amnistie, come i loro compari di "Città Futura" di Roma, che chiedono allo stato di essere protetti dai fascisti. Mi pare che solamente "Lotta Comunista" abbia avuto una posizione corretta, non sprecando carta ed energie senz'altro meglio destinabili. Sugli arresti degli "autonomi": ma è poi una così grande sciagura che falsificatori del comunismo, come Negri e soci, siano in galera?"

Questa lettera contiene troppi elementi di primaria importanza per non meritare una risposta il più possibile articolata. Essa risolleva una questione centrale per misurare l'attitudine teorica e pratica dei comunisti, vale a dire la questione dell'atteggiamento dei comunisti di fronte alla "repressione" nei confronti di altre forze "proletarie" o comunque "eversive", "rivoluzionarie" (usiamo i termini correnti, e che siamo ben lungi dal considerare e trattare come scientificamente corretti). La questione va completamente al di là e fuori della valutazione che i comunisti possono e devono dare intorno alle miserie dottrinarie e pratiche dei colpiti, cosa che sta in tutt'altro ordine di problemi: nella fattispecie, partiamo pure, senz'altro, dando per scontato il nostro non equivoco giudizio su lottarmatismo ed autonomia, e non ne stiamo qui neppure a riparlare, bastandoci un rinvio sommario a quel che abbiamo già ripetutamente scritto. Ma, per 1'appunto, si tratta di altro.

E' certo che il comp. che ci scrive in questi termini è sanamente preoccupato (parlando di "soggettività") di delimitare i campi rispettivi tra comunismo riv. e rivoluzionarismo piccolo-borghese, non potendosi, giustamente, ammettere contiguità tra i due se non nel senso di netta contrapposizione. E' anche naturale che, da operaio autentico e non da mezza-figura "sociale", egli pensi di ritrovare in "Lotta Com." il ben dosato connubio scienza-organizzazione e senta una gran fretta di liquidare gli "impostori". D'altronde, anche Curcio e soci, dalle patrie galere, promettono scomuniche e piombo (più... "leninisti" di così!) ai trasgressori, "sanamente" preoccupati di salvare l'ortodossia e convinti che non sarà poi un gran male – anzi! – se i devianti saranno per questa via impediti dal diffondere eresie e sfiducia nel proletariato. Partendo da lidi opposti, si imposta il problema nello stesso modo, divergente "alquanto" dal metodo di Lenin, e nostro.

1) Il primo stupefacente sillogismo in cui cade il comp. è che, siccome gli autonomi sono dei falsificatori del comunismo, è bene siano levati di mezzo anche, se capita, con la galera. Ma chi "ci" sbarazza di questi incomodi elementi? Forse la rivoluzione comunista? Non parrebbe. E' la "giustizia" borghese, la magistratura del capitale a farlo. E perché?, se l'è mai chiesto il comp.? Per poterne gioire si dovrebbe rispondere: o per sbaglio (uno sbaglio tale da favorire di rimando i rivoluzionari) od espressamente (per favorirli coscientemente). Ora, crediamo che tra i tanti motivi di "crisi sovrastrutturali del capitalismo italiano" nessuno, nemmeno "Lotta Com.", sia arrivata a vederne una di tal genere, per cui lo stato borghese viene in nostro soccorso. Inoltre, è falsa l'idea che una messa in condizione di non nuocere dei varî Negri etc. possa, in qualsiasi caso (esclusa la rivoluzione di cui sopra, in grado di eliminare naturalmente fenomeni patologici marginali ad essa), costituire una "semplificazione" a favore del "vero comunismo": una risoluzione non organica, nel senso della rivoluzione, dei problemi posti da correnti quale l'Autonomia non fa che riprodurre in forma allargata i guasti da essa prodotti in condizioni normali, di non carcerazione dei capi, di libertà d'espressione e via dicendo. Ne è una riprova la polarizzazione ai due estremi: o del pratico abbandono della lotta, della dispersione individuale, o della "radicalizzazione" lottarmatista, che sono conseguiti all'operazione 7 Aprile, senza in alcun modo ampliare spontaneamente, naturalmente, lo spazio all'azione dei rivoluzionari conseguenti.

2) Lo Stato non ci fa alcun piacere, neppure indirettamente, contro voglia. L'operazione 7 Aprile risponde ad un disegno ben preciso, che s'inserisce in tutto un piano oramai collaudato (e vero banco di prova della "solidarietà nazionale" tra i partiti dell'arco costituzionale) di lotta al terrorismo. Un tale piano avrebbe per obiettivo delle teste matte, dei mezzi-strati, una singola organizzazione politica od un gruppo di organizzazioni di "falsificatori del marxismo"? Il comp. conceda alla borghesia un po' più di intelligenza, com' è doveroso: le antenne-radar della borghesia non fremono e non mirano ad una specifica forma di "eversione", ma al cuore del problema, il proletariato, la rivoluzione, il partito della dittatura di classe (anche se tutto questo non esiste oggi fisicamente: ma ne esiste sì la virtualità, la necessità del suo prodursi in tempi non più lontanissimi). Se si fosse trattato solo di questa Aut. Op. e delle attuali formazioni combattentistiche, la borghesia avrebbe tranquillamente potuto adire alla pacificazione buffonescamente proposta da Piperno & C. per non "imbarbarire lo scontro politico"; ma è vero, in prospettiva, il contrario, ed ecco perché sono chiamati a pagare duramente anche gli "autonomi" che si rifugiano dietro l'intellettualità, il pensiero libero ed i suoi diritti o (pigliando una clamorosa gaffe) scambiano la Francia 1979 per quella del 1789, ovvero i tempi della rivoluzione proletaria con quelli della rivoluzione borghese. Un minimo esame di tutto quel che si è prodotto in Italia e dovunque in questi ultimi anni per rispondere preventivamente alla minaccia proletaria potenziale dovrebbe mostrare immediatamente il collegamento che c'è tra misure di attacco allo sciopero, restrizioni legali, mobilitazione ideologica borghese e "lotta al terrorismo". In questo preciso senso si deve intendere che, col 7 Aprile, la borghesia ha inteso colpire, ben al di là dei Toni Negri e comp., la prospettiva materiale del comunismo, il che non significa affatto che per la borghesia (o, dal lato opposto, per noi) Aut. Op. e BR si identifichino con il comunismo autentico e la vera rivoluzione. La borghesia sa andare oltre 1'immediato; uno sforzo analogo devono saper compiere i comp., come quello che ci scrive, che mirano a difendere il programma inequivoco della rivoluzione.

3) Va compreso che, proprio per la sua natura di pedina di un più ampio scacchiere, un'operazione come quella del 7 Aprile non si esaurisce nel fatto giudiziario, ma si proietta e si completa, al contrario, sullo scenario politico-sociale. Essa viene in sostanza usata come deterrente in duplice direzione: contro le ridotte "avanguardie" sul campo da un lato, contro l'insieme del proletariato dall'altro. L'azione giudiziaria trova il suo coronamento nella mobilitazione "antiterroristica" del proletariato da parte di partiti e sindacati "operai-borghesi", nella rinunzia ad esso instillata all'uso dei suoi mezzi di lotta per i suoi stessi obiettivi immediati (vedi per tutte la vicenda dei licenziamenti alla FIAT resi possibili dallo smantellamento picista-sindacale dell'autonomia di classe). Come il fascismo prende pretesto ed usa per i suoi fini i fatti del Diana, come il nazismo fa altrettanto con l'incendio del Reichstag, così la nostra "democrazia" utilizza il "terrorismo" attuale per imporre il proprio potere, morale e materiale, contro la classe nel suo insieme.

4) Si dirà: ma è proprio il "falso comunismo" che offre coi suoi atti e la sua ideologia dissennata il pretesto antiproletario alla borghesia! Il ragionamento è radicalmente falso. Il tipo particolare di "falsificazione del comunismo" che prende l'aspetto particolare della lotta radicale, armata o meno, non nasce, in ogni caso, da una volontà borghese di creare un diversivo a… quello che ancora non c'è (un partito ed una lotta rivoluzionari), ma nasce come risposta soggettivamente anti-borghese alla crisi capitalistica della società ed in tanto può affermarsi come elemento di confusione, in quanto tardi o sia debole la risposta proletaria autentica, in grado di dare la direttrice rivoluzionaria di marcia inglobando o respingendo ai margini la deviazione piccolo-borghese. Ciò che "offre pretesti" alla borghesia non è dunque l'attuale "terrorismo" in sé, ma una generale debolezza proletaria che può tuttora essere sfruttata sul binario di manovra dell'interclassismo democratico, di unità nazionale e relativi sacrifici. Ché, se poi esistesse – in luogo di un' Aut. Op. o delle BR – un reale ed efficiente partito comunista, vedresti, caro comp., che "pretesti" sarebbero necessarî per scatenare l'attacco borghese!

5) Difendere chi? A questo punto dovrebbe risultar chiaro che non si tratta di impegnare forze di classe per la difesa di individui o gruppi equivoci o che altro dir si voglia, ma di difendere in essi, e con le nostre armi inconfondibili, l'obiettivo reale cui ha mirato la borghesia con la collaborazione senza riserve dei vari PCI, PSI, Sindacati; vale a dire la forza ideale e materiale del comunismo. All'azione generale della borghesia, di cui il 7 Aprile non è che un aspetto, rispondiamo con una nostra contro-azione generale, utilizzando l'atto del nemico a nostra volta per re importare nella classe principi, programmi e metodi di lotta del comunismo rivoluzionario. Chiedere la libertà dei comp. arrestati non è che un aspetto conseguente a tutta la mobilitazione d'insieme che ci compete, in fabbrica e ovunque, contro le idee, le leggi, i bracci armati, le appendici "operaie" della borghesia. Liberare Negri od altri dalle galere borghesi significa dire: non riconosciamo alla borghesia nessun diritto di colpire il comunismo, nessun potere di giudicare la legittimità dello scontro di classe; significa, in una parola, lavorare allo scontro centrale proletariato-borghesia, affidando allo sviluppo di esso (e ad esso soltanto) – attraverso un adeguato impiego di mezzi ideologici e pratici d'azione – l'eliminazione che a noi può interessare del "falso comunismo" d'ogni tipo. "Libertà per Negri" significa, innanzitutto, oggi come oggi, libertà per il proletariato dalle menzogne e dalla sottomissione borghesi!

6) Difendere da che cosa e perché? Crediamo, a questo punto, di aver risposto a sufficienza. Il discorso è rimpicciolito e deviato quando, nella questione, non si vede che il caso personale o particolare. Renato Curcio che per insultare l'avvocato lo chiama "trotzkista" ci disgusta semplicemente e Piperno che invoca la tregua pacificatrice fa semplicemente pena. Ma, se appena ci innalziamo alla visione marxista delle cose, al di sopra degli individui, dei "protagonisti" da rotocalco, arriviamo a cogliere l'importanza della lotta per la liberazione dei "terroristi" quale elemento della generale lotta anticapitalista e a "dimenticare" disgusti e pene per coloro che non poniamo affatto al centro del problema. E come non capire che proprio mentre assolviamo a questo ns. compito siamo meglio in grado di approfondire il distacco reale tra noi e le mille varianti del confusionismo piccolo-borghese portandolo nel dibattito e nell'azione di massa? Nessuna tregua, certo, verso l'operaismo od il terrorismo anche o specialmente quando chiediamo la liberazione delle vittime della repressione borghese. "Libertà per Negri" significa anche lotta per liberare le avanguardie proletarie da ogni suggestione dalle sgangherate sue teorie.

7) Una domanda il comp. non ci ha posto: difendere come e dove. Noi l'abbiamo indicato: difendere, attraverso i comp. arrestati, la prospettiva comunista nelle fabbriche e fuori contro la speculazione e la manovra anticomunista (non anti-Autonomia od anti-BR) della borghesia e dei partiti e sindacati "operai" in particolare. Solo a questo patto ha un significato la "difesa dei principi" ed il "richiamo alla Sinistra Comunista". Al comp. pare che solo "Lotta Com." abbia agito correttamente "non sprecando carta ed energie senz'altro meglio destinabili". Ma, forse, "Lottta Com." non si è mai trovata di fronte all'azione anticomunista, speculante sull'"antiterrorismo", di PCI e consorti? Certo che sì, perché la faccenda tra noi e gli arrestati del 7 Aprile o gli altri comp. in galera non si risolve nel rapporto fuori dalla società tra la nostra e la loro "ideologia". Bene o male il gioco ci coinvolge, anche se facciamo finta di non vederlo, anche se pensiamo di esorcizzarlo col silenzio. Ed ecco, allora, che di fronte al di spiegarsi della manovra borghese nelle fila della classe operaia "Lotta Com."non compie il dovere primo di ogni organizzazione comunista, di separarsi dalla "democrazia" e dal l'"antiterrorismo" borghesi, ma si rifugia dietro la foglia di fico della sua separazione ideologica dal "falso comunismo" e lo fa rinunciando alla guerra implacabile contro il vero agente del disarmo operaio, il cosidetto "riformismo", così come, in occasione della speculazione sui fatti del Diana, il riformismo si trincerò dietro la sua ripulsa del terrorismo per far blocco con la borghesia, lasciando solo il PCd'I a mantenere integro il fronte di divisione di classe.

Si può restare in silenzio o addirittura approvare, in nome dell'"unità operaia", di fronte agli scioperi contro la violenza e per la democrazia? Chi fa questo, voglia o non voglia, contribuisce a creare le premesse di quel clima che porta oggi al licenziamento senza colpo ferire dei 61 della Fiat, domani al contrattacco deciso del padronato su tutta la linea. Impossibile che mentre PCI e Sindatati svolgono la loro azione disfattista contro il principio stesso dell'autonomia di classe, "Lotta Com." non trovi di meglio da fare che allinearsi ad essa in nome delle citazioni marxiane contro il terrore individuale etc.? (Tanto da arrivare a dar ampio spazio, per la prima volta, sul giornale ad uno scritto di Amadeo Bordiga per smentirne il senso rivoluzionario e farsene scudo per il proprio opportunismo!).

Il comp. ci potrà meglio informare sull'azione svolta dalla sua organizzazione per destinare al meglio le energie risparmiate tacendo sugli arresti dei "falsari del marxismo". Per il momento ci limitiamo qui ad esprimere le nostre un tantino più che perplessità nel leggere un documento di fabbrica (una fabbrica non piccola, del "centro strategico" di Genova) stilato in comune da tutte le forze dell'arco legittimo, dalla DC al PCI, dal PRI a... "Lotta Comunista"; un documento di condanna del terrorismo come arma della reazione contro la democrazia, contro la costituzione. E' il caso di chiedere spiegazioni? Ad una riunione di operai a Milano il responsabile di "Lotta" incalzato su ciò ha preferito dileguarsi in silenzio, forse per andare a chiedere spiegazioni, a sua volta, ai capi illuminati del partito di ferro.

Già, compagno, difendere chi, da che cosa, per che cosa? Permetti che giriamo la domanda a qualcun altro. Comincia a farlo tu stesso, perché si pongano le carte in tavola e si chiariscano veramente le questioni in tutte le loro conseguenze pratiche, perché veramente i principi del comunismo e l'eredità della Sinistra vengano a misurarsi con la realtà, in essa stabilendo chi sta sul serio, e non solo a parole, dalla parte di essi.

Come vedi, i motivi di discussione e confronto tra noi non mancano davvero!

(da "Partito e classe" N.5 – dic. 1979)

FABRIZIO PELLI

Il compagno Fabrizio Pelli, militante delle Brigate Rosse, moriva di leucemia il 9 agosto '79 al Niguarda di Milano, in stato di detenzione; detenzione iniziata nel Natale '76 e le cui condizioni sono state una delle cause della malattia stessa. Un volantino distribuito per i funerali di Fabrizio a Reggio Emilia (là aveva trascorso gran parte della sua vita prima di passare alla clandestinità agli inizî degli anni settanta) illustra meglio di ogni altre discorso il "trattamento di favore" che i comunisti – secondo un vecchio luogo comune – avrebbero nelle carceri:

"La mancanza di cure tempestive non è certo imputabile al caso, vi è stata una precisa volontà dell'esecutivo che, pur consapevole della gravità delle sue condizioni, anziché ricoverarlo in un ospedale, sceglieva di sbatterlo da un lager all'altro, sempre senza cure e per di più spesso in isolamento assoluto. Solo dopo parecchi mesi, nel marzo di quest'anno, è stato ricoverato all'ospedale Niguarda, sottoposto però ad una sorveglianza tanto stretta quanto puramente terroristica (viste le sue gravi condizioni). Al comp. venivano infatti impedite dalla DIGOS milanese le cure necessarie con i pretesti più strambi (ad es. gli sono state impedite iniezioni interrompendo così la cura di importanza vitale, solo perché il medico addetto a questo, essendo stato appena assunto, non riscuoteva ancora la piena fiducia della DIGOS stessa); gli venivano inoltre impediti i contatti indispensabili con la famiglia, riducendo a poche ore settimanali i colloqui, sempre in presenza di poliziotti; gli venivano di fatto impediti il riposo e la tranquillità, mantenendo poliziotti costantemente nella sua camera. Come ultima misura, la magistratura milanese, fedele esecutrice degli ordini dell'esecutivo, gli negava, proprio nella giornata di mercoledì, la libertà provvisoria per motivi di salute. Quanto fossero gravi le sue condizioni lo ha testimoniato in modo drammatico la sua morte, avvenuta il giorno stesso."

All'incirca negli stessi giorni, il fascista Antonio Braggion otteneva la libertà provvisoria (guarda caso!) per motivi di salute. Non ci stupisce l'uso dei due pesi e delle due misure che lo stato capitalista adotta coi comunisti e coi proprî servi (anche se, a volte, per interne ragioni di conservazione esso è costretto a sbattere in galera anche i proprî scherani più accesi e "intempestivi", come nel caso delle guardie nere di rincalzo del "neofascismo"). Né ci sembra una cosa fuori dal normale od "amorale" tutto ciò, come invece credono o vogliono far credere i vari "garantisti", da Pannella & Co. ai giornalisti dell'"Espresso" che proprio quest'estate (n° 26 del l° Luglio: badate alla velocità ed all'opportuna scelta "vacanziera"!) "scoprono" la realtà delle orribili condizioni di detenzione nelle supercarceri di Dalla Chiesa, e casi come quelli della Besuschio, della Sansica, della Tidei, di Farioli o di Pelli. Tutti costoro si coalizzano nel presentare fatti del genere come frutto di uno strato politico-amministrativo retrivo, arretrato, o del "malgoverno" DC. Ah, se ci fossero le "sinistre" al governo! E magari si sorvola sul fatte che il trasferimento degli autonomi detenuti a Rebibbia nelle varie supercarceri è avvenuto pochi giorni dopo l'interrogazione parlamentare dell'on. Trombadori (sì, lui, quello dei pianti con Pannella, il Papa, Fanfani... sulla fame nel mondo!) per lamentare, a nome del PCI, la fuoriuscita di interviste, il lassismo etc., insomma il fatto che i carcerati comunisti non siamo effettivamente ridotti al rango di veri sepolti vivi. L'"ammodernamento" delle condizioni carcerarie ci sarebbe sì, da parte di un PCI gestore del potere in prima persona, ma alla tedesca, od alla russa, ovvero secondo le tecniche combinate della socialdemocrazia e dello stalinismo per annientare moralmente e fisicamente i "fuorilegge" del suo sistema capitalista di stato!

Non ci interessa, perciò, lagnarci perché i "diritti dell'uomo" sono violati, e non perché non c'interessi l'uomo e risolviamo tutto col rimando mistico alla "futura" rivoluzione, al "futuro" socialismo, ma proprio perché sappiamo, ed abbiamo il dovere di ricordare e propagandare, che la borghesia non può rispettare i principi "Dei delitti e delle pene", un tempo suoi, quando si trattava di lottare per sé contro un sistema economico-so

ciale da abbattere, ma oggi assolutamente non più rispettabili di fronte al proprio storico becchino di classe, il proletariato. E' per questo che diciamo che all'atto di violenza necessaria dello stato borghese si può rispondere solo con la messa in campo dell'opposta forza proletaria, e non con i piagnistei; ed è anche questo il solo mezzo per utilizzare le buone intenzioni di "garantisti" non del nostro campo, costringendoli a confessare (ed eventualmente lottare contro) la realtà di classe della cosidetta repressione, anziché lasciare ad essi spazî "democratici" di mistificazione e svirilizzazione delle lotte e dell'autonomia proletaria.

A noi interessa di conseguenza rilevare come le condizioni di detenzione dei comunisti rivoluzionari siano frutto di contrasti sociali ed un'arma necessaria per la difesa della democrazia borghese, ovvero della più raffinata forma della dittatura del capitale. Se oggi le supercarceri sono stipate di militanti dei gruppi combattenti, cominceranno a riempirsi, quando l'ora dello scontro comincerà a farsi avvertire, di semplici proletari rei di aver lottato per sé, contro lo sfruttamento del capitale e persino, alla bisogna, ed al culmine di un processo di riorganizzazione borghese supercentralizzata, dei riformisti che non hanno saputo fare adeguatamente il loro mestiere di "contenitori" della rabbia proletaria. Il "fine sociale" delle supercarceri si riassume in questo obiettivo: terrorizzare, annientare, spezzare la lotta proletaria al di là delle forme che via via può assumere. A scala internazionale, gli istituti di pena si specializzano e professionalizzano a questo scopo, indipendentemente dalla volontà del singolo "cattivo" governante e in ciò mostrano di essere un prodotto storico che prelude alla ripresa rivoluzionaria futura. Per cancellare questi abominii della borghesia dalla faccia della terra non serve trasferire o mettere a riposo Dalla Chiesa: occorre abbattere il sistema che li produce per garantirsi la propria conservazione. Significa ciò rimandare tutto al domani, ignorare il presente? Tutt'altro. Lotte proletarie contro le galere di stato sono sin d'ora, e qui, possibili, anche a partire da obbiettivi "riformisti" (abolizione dei vetri, aumento delle ore d'aria, fine dell'isolamento etc.); a condizione, però, che esse siano veramente tali, negli strumenti che si danno e nei fini che perseguono, senza quindi contribuire in alcun modo alla diffusione delle disfattiste teorizzazioni e pratiche demo-garantiste, due volte micidiali: per il presente, l'immediato, delle condizioni dei comp. carcerati e, soprattutto, per il futuro della loro lotta.

L'atroce crimine consumato sul comp. Pelli possa costituire un contributo alla riacquisizione di queste elementari verità rivoluzionarie da parte delle avanguardie comuniste!

(da "Partito e classe" N.5 – dic. 1979)