nucleo comunista internazionalista
documenti




DAL NOSTRO ARSENALE:
UN TESTO DA ASSORBIRE RIGA PER RIGA E DA MANDARE A MEMORIA

L’IMPERIALISMO DELLE PORTAEREI

L’Admiral Kuznetsov, di cui abbiamo accennato in un precedente intervento, salpata il 21 di settembre dalla base di Severomorsk non lontano dal confine norvegese, prosegue si direbbe senza particolare fretta sulla sua rotta direzione Mediterraneo, costa siriana. Ad essa e alla relativa flottiglia di appoggio si è unito l’incrociatore lanciamissili atomico Pietro il Grande che gli esperti qualificano come “la nave più pesantemente armata di tutto il pianeta”. I comandi dell’imperialismo egemone osservano e monitorano passo-passo questa imponente potenza di fuoco in movimento con discreto nervosismo. Gli inglesi, antichi dominatori dei mari, al suo passaggio al largo delle loro acque territoriali si sono lasciati andare ai soliti schiamazzi antirussi; la Nato ha schiumato rabbia contro la Spagna che ha concesso il rifornimento di carburante alla Task Force navale russa. Quanto al padrone americano se ne sta, per il momento, abbottonato e in silenzio.

Dagli ambienti filorussi (1) giunge una precisazione che non è formale né attinente alla sola mera “tecnica militare” e di cui prendiamo senz’altro atto: l’Admiral Kuznetsov, puntualizzano loro, non è in effetti una vera portaerei. La forza armata della Russia non dispone di autentiche portaerei poiché in sostanza, dicono loro, la Russia non è una potenza imperialista.

Ci è dato quindi il destro per riproporre questo nostro formidabile testo del 1957 (2) in cui sono tracciate le fondamenta per ogni e qualsiasi azione di contrasto effettivo all’imperialismo che si disponga sulla linea della Rivoluzione internazionale, proletaria e comunista. Un avvertimento preliminare però, a costo di andare contro la logica partendo dalla coda del discorso ma la cosa ci preme assolutamente: chiunque consideri i due capoversi finali del testo nulla più che esercizio impotente di profezia visionaria, chiunque li consideri in buona sostanza (e nella migliore delle ipotesi) niente altro che “pia illusione” destituita appunto di ogni riscontro reale, è vivamente pregato di lasciare perdere il tutto e di girare al largo dai nostri ambiti. Trovi senza indugio altrove, in altri luoghi e in altri modi, la maniera per darsi da fare “per incidere veramente sui movimenti reali” a partire “dalla realtà concreta e tangibile” e non dalle nuvole su cui noi – cioè la prospettiva della Rivoluzione proletaria internazionale – staremmo sospesi.

Dunque, dati tecnico-militari alla mano, viene dimostrato che la Kuznetsov è un “incrociatore pesante portaerei” sospinta da un sistema di propulsione “francamente obsoleto” proprio perché pensata per operare a ridosso delle coste russe. Una concentrazione di forza e di fuoco difensiva insomma e non protesa al dominio degli oceani come invece è per la decina di portaerei americane tutte a propulsione nucleare: “La realtà è che le portaerei americane, inglesi e francesi sono strumenti per l’imposizione del dominio coloniale. Parcheggiate un paio di portaerei con il loro gruppo di battaglia a qualche centinaio di miglia da una nazione disobbediente e poi la bombardate fino allo sfinimento. Questo è in realtà l’unico razionale di queste enormi strutture (galleggianti). E il bello è che potete minacciare quasi tutto il mondo senza bisogno che gli alleati siano d’accordo sulla vostra missione. Perciò possiamo affermare che le portaerei americane ed occidentali sono un mezzo di proiezione di forza a lunga distanza, da utilizzarsi contro nazioni deboli e scarsamente difese”. (1)

Non abbiamo alcuna difficoltà, oggi come nel 1957, a dare atto ai filorussi della congruità delle loro argomentazioni poggiate su dati di fatto assolutamente evidenti salvo il “piccolo particolare”, ovviamente negato da questo genere di “antagonisti dell’impero”, che il differenziale di forza complessiva fra egemoni USA e potenza capitalistica russa qualifica quest’ultima non come forza di equilibrio e contrappeso se non “di liberazione” a scala mondiale bensì come una forza imperialistica di rango inferiore.

Forza imperialistica di rango inferiore che nel ’56 doveva ricorrere ai carri armati per schiacciare la rivolta popolare ungherese mentre contemporaneamente, nella crisi di Suez, la strategia imperialistica americana si imponeva ammantandosi di “anticolonialismo”, spiazzando e fregando i francesi e gli inglesi cioè le potenze del vecchio colonialismo storico. Il che per noi ne dimostrava la indiscussa e indiscutibile superiorità in fatto di concentrazione di Forza capitalistica e di capacità di oppressione. In altro fondamentale testo di sessant’anni fa così i rivoluzionari marxisti inquadravano la schiacciante superiorità degli USA, “imperialisti della seconda maniera”: “Essi possono controllare a distanza il meccanismo produttivo delle ’regioni sottosviluppate’ del globo mediante il gioco dei prestiti e delle sovvenzioni che, nella finzione giuridica, figurano stipulati fra ’Stati sovrani’. Anzi, sono in grado di costruire, anticipandone i capitali, grandi aziende industriali che lasceranno (in apparenza) amministrare dagli indigeni elevati al rango di ’liberi cittadini’ di repubbliche sovrane, ma che, attraverso i meccanismi bancari internazionali, piloteranno come vogliono, senza muoversi dai loro uffici e senza che la flotta debba accorrere sul posto.” (3)

Passati sessant’anni, a una tale vetta di concentrazione di Forza e di capacità oppressiva a scala mondiale non è certamente ancora giunta la macchina capitalistica russa (né quella cinese). E qui tocchiamo un altro punto celato dalle analisi svolte dagli “antagonisti dell’impero”. Essi arrivano ad ammettere che la “politica del dialogo”, delle reiterate offerte di collaborazione e compromesso avanzate dalla Russia borghese e capitalista di fronte alla pressione guerrafondaia americana è una politica strumentale determinata dalla necessità di guadagnare tempo: alla Russia serve la “pace” (o la non guerra) per rafforzare le sue postazioni, mentre alle oligarchie dominanti negli USA serve la guerra per ribadire il loro potere “unipolare”. Quello che i nostri “antagonisti dell’impero” nascondono è che la politica di collaborazione e “pace” che la borghesia russa si sforza di proporre “ai partners” americani deriva dal fatto che essa borghesia russa (e cinese) avverte di non possedere il grado di Forza complessiva per prendere il posto dell’imperialismo USA a svolgere il ruolo di guardiano dell’ordine capitalistico mondiale. Da un lato si è ben determinati a respingere la pressione e le provocazioni degli “irresponsabili guerrafondai”, dall’altro si è trattenuti dal colpire come si potrebbe (e non solo dal punto di vista militare) la potenza egemone per il sacro timore che una sua caduta rovinosa mandi in frantumi l’ordine borghese nel quale si vive e prospera suscitando, anche nelle cittadelle dell’imperialismo, la sollevazione di quella Forza – tremenda ma anonima – sulla quale tutto puntano i “visionari” marxisti.




Note

Rif. “The vineyard of Saker – Ferma la guerra dell’impero alla Russia”, cfr. “Cerchiamo di dare un senso all’unità operativa navale russa al largo delle coste siriane”

L’imperialismo delle portaerei” da Programma Comunista nr 2/1957. Ora anche nel volume “Scritti sulla questione nazionale e coloniale nel secondo dopoguerra” che abbiamo prodotto.

Colonialismo storico e colonialismo termonucleare” da Programma Comunista nn 6-7/1957. Anche questo testo è nel volume “Scritti ......”

2/11/2016






L’ imperialismo delle portaerei

L’imperialismo, nel suo aspetto generale di conquista e dominazione di organismi politici ed economici da parte di un centro statale superiore, non è fatto esclusivo del capitalismo. A prescindere dal loro contenuto sociale, esistono numerosi tipi dello stesso fenomeno storico: un imperialismo asiatico, un imperialismo greco-romano, un imperialismo feudale e finalmente un imperialismo capitalista. Agli operai rivoluzionari interessa, soprattutto, la differenza sostanziale che distingue l’imperialismo capitalista dal suo contrapposto storico, e cioè l’imperialismo feudale.

Sempre tacendo le altre differenze fondamentali, l’imperialismo feudale e l’imperialismo capitalista si distinguono nettamente in quante l’uno si manifestò in costruzioni statali che avevano un fondamento territoriale e terrestre, mentre l’altro si presentò sulla scena storica soprattutto come dominazione mondiale fondata sulla egemonia navale e quindi sul dominio delle grandi vie oceaniche. Sotto il feudalesimo, poteva esercitare una funzione imperialistica il potere statale che disponeva del primato militare terrestre; sotto il capitalismo, invece, che è il modo di produzione che ha portato ad altezze inaudite la produzione di merci ed esasperato fino all’inverosimile i fenomeni del mercantilismo già insiti nei precedenti modi di produzione, l’imperialismo è connesso al primato navale, oggi divenuto primato aeronavale.

Imperialismo capitalista è anzitutto egemonia nel mercato mondiale Ma, per conquistare tale supremazia, non bastano una possente macchina industriale e un territorio che le assicuri le materie prime. Occorre una grandissima marina mercantile e militare, cioè il i mezzo con cui controllare le grandi vie intercontinentali del traffico commerciale. Gli avvenimenti storici mostrano infatti come la successione nel primato imperialista sia strettamente legata, in regime di mercantilismo capitalista, alla successione nel primato navale.

La decadenza della Repubblica veneta, che assurse a grande potenza e splendore all’epoca delle Crociate, prese inizio dalla perdita del monopolio del commercio tra l’Asia e l’Europa. Il traffico intercontinentale si svolgeva, parte per via mare, e cioè nel Mediterraneo e nel Mar Rosso, parte per via terra. Infatti, non esistendo un Canale che tagliasse l’istmo di Suez, bisognava trasbordare le merci portate dalle navi che attraccavano ai porti della costa egiziana del Mar Rosso su traini terrestri e fluviali che assicuravano il collegamento coi porti mediterranei, tra i quali primeggiava Alessandria.

La scoperta dell’America aveva resi il Portogallo e la Spagna padroni di vasti imperi coloniali, i primi nella storia dell’imperialismo moderno. Veri precursori dell’imperialismo del tipo statunitense, i Portoghesi non si preoccuparono della occupazione di grandi territori, badando soprattutto a impossessarsi dei passaggi obbligati del traffico mondiale. Nell’am-bito di tale grandioso piano, era indispensabile conquistare l’egemonia nell’Oceano Indiano, ponte di passaggio tra i continenti più progrediti dell’epoca: l’Europa e l’Asia. Avvenne così che, partendo dalla Colonia del Capo, conquistata nei primi anni del ’500, essi misero le mani su Ceylon e su Malacca, spingendosi fino all’arcipelago della Sonda, e più tardi in Cina, dove occuparono Macao. Ma il colpo che ferì mortalmente la supremazia veneziana fu l’occupazione portoghese dell’isola Socotra e dello stretto di Ormuz, situati rispettivamente all’ingresso del Mar Rosso e del Golfo Persico. In tal modo, le antiche vie d’acqua e di terra del commercio euro-asiatico furono interrotte, e le navi che tentavano di violare il blocco portoghese spietatamente colate a picco. Allora la Repubblica di Venezia e il Sultano d’Egitto, per salvare gli interessi comuni, strinsero alleanza contro i nuovi padroni dell’Oceano Indiano, ma la flotta alleata fu sconfitta nella battaglia di Diu (1509).

Il risultato finale della lotta fu che il traffico intercontinentale venne deviato sulle rotte atlantiche, per cui Lisbona divenne il centro del commercio mondiale e la capitale della maggiore potenza imperialistica dell’epoca, mentre Alessandria decadde rapidamente. La Repubblica di Venezia, ad onta del formidabile colpo, riuscì bensì a durare a lungo, ma il suo primato imperialista era ormai perduto.

La storia successiva non si svolse in maniera diversa. Essa dimostra che l’imperialismo borghese è l’imperialismo delle flotte, perché il suo regno è il mercato mondiale. Chi possiede l’egemonia mondiale nel campo navale si abilita all’egemonia nel campo del commercio mondiale, che è il vero fondamento dell’imperialismo capitalista. Due guerre mondiali provano come l’imperialismo degli eserciti ceda inevitabilmente il terreno all’imperialismo delle flotte. Due volte, potenze terrestri come gli Imperi Centrali e l’Asse nazi-fascista si sono misurate con le potenze anglosassoni, superiori nel mare e nell’aria, e due volte sono uscite dal conflitto totalmente sconfitte.

La seconda guerra mondiale ha presentato un fatto nuovo, ma che si spiega con le secolari leggi di sviluppo dell’imperialismo. Infatti, non solo le potenze terrestri hanno riportato un’assoluta sconfitta, ma anche una potenza del campo a loro avverso – la Gran Bretagna – è uscita disfatta dall’immane lotta, e non per capacità distruttiva del nemico, ma per superiore potenzialità navale e commerciale del maggiore alleato: l’America. Per la Gran Bretagna, la seconda guerra mondiale, quanto ad effetti provocati nell’equilibrio navale mondiale, doveva rappresentare quello che per la Repubblica di Venezia rappresentò la battaglia di Diu. Infatti l’Inghilterra non può certo dirsi distrutta, ma il suo primato navale e la sua egemonia sono definitivamente tramontate. Il declassamento della flotta ha comportato disgregazione dell’impero coloniale britannico che appunto la flotta teneva unito.

Oggi è l’epoca dell’imperialismo americano. Non a caso gli Stati Uniti hanno ripetuto a danno dell’Europa la manovra strategica inaugurata dai Portoghesi nel secolo XV. Sbarrando la via d’acqua del traffico commerciale Europa-Asia (sappiamo tutti che il Canale di Suez non sarebbe stato bloccato se Nasser non avesse goduto dell’appoggio statunitense contro l’Inghilterra), gli Stati Uniti hanno preso per la gola l’Europa e definitivamente distrutto le residue tradizioni imperialistiche britanniche. Sappiamo che cos’è l’imperialismo del dollaro: esso non occupa territori, «libera» quelli su cui grava ancora la dominazione colonialista e li aggioga al carro della sua onnipotenza finanziaria, sulla quale veglia la flotta aeronavale più potente del mondo. L’imperialismo americano si presenta come la più pura espressione dell’imperialismo capitalista, che occupa i mari per dominare le terre. Non a caso la sua potenza si fonda sulla portaerei, nella quale si compendiano tutte le mostruose degenerazioni del macchinismo capitalista che spezza ogni rapporto tra i mezzi di produzione e il produttore. Se la tecnica aeronautica assorbe i maggiori risultati della scienza borghese, la portaerei è il punto di incontro di tutti i rami della tecnologia di cui va orgogliosa la classe dominante.

Coloro che sono abbacinati dall’imperialismo russo fino a dimenticare la tremenda forza di dominazione ed oppressione della potenza statunitense, rischiano di cadere vittime delle deviazioni democratiche e liberaloidi che sono il peggiore nemico del marxismo. Non a caso la predicazione liberal-democratica ha il suo pulpito maggiore nella sede del massimo imperialismo odierno. Essi non vedono come la Russia, il cui espansionismo si svolge tuttora nelle forme del colonialismo (occupazione del territorio degli Stati minori), è ancora alla fase inferiore dell’imperialismo, lo imperialismo degli eserciti, cioè il tipo che per due volte è stato sconfitto nella guerra mondiale. Dicendo ciò, non si cambia una virgola alla definizione che diamo della Russia: Stato capitalista. Si constata un dato di fatto. Tutti gli Stati esistenti sono nemici del proletariato e della rivoluzione comunista, ma la loro forza non è eguale. Quel che conta soprattutto per il proletariato, il quale vedrà coalizzarsi contro di lui tutti gli Stati del mondo appena si muoverà per conquistare il potere, è prendere coscienza della forza del suo più tremendo nemico, il più armato di tutti e capace di portare la sua offesa in qualunque parte del mondo.

L’imperialismo a forza prevalentemente terrestre fu proprio del feudalesimo. Ciò non vuol dire che le potenze imperialistiche che dispongono di una limitata potenza navale tramandino tradizioni feudali, giacché, se questo fosse vero, il Giappone avrebbe raggiunto all’epoca della seconda guerra mondiale un livello capitalista superiore a quello toccato dalla Germania, visto che la flotta nipponica era più agguerrita di quella tedesca. Vuol dire soltanto che, nel confronto delle potenze imperialistiche, o aspiranti all’imperialismo, è al primo posto la potenza che possiede la flotta più grande. E’ questa che, ai fini della conservazione e repressione capitalista, riveste un’importanza maggiore. Orbene, quale potenza mondiale può oggi svolgere operazioni di polizia di classe in qualsiasi parte del mondo, se non quella che possiede la maggior forza e mobilità? La Russia, dunque? No, anche se gli avvenimenti ungheresi sembrano averle consegnato il diploma di primo gendarme della controrivoluzione mondiale. Invero tale compito può essere svolto unicamente dagli Stati Uniti, cioè dall’imperialismo delle portaerei. Per essere precisi: delle cento portaerei.

La marina da guerra degli Stati Uniti dispone attualmente di ben centotrè navi portaerei, sulle quali possono far base – scrive «Il Tempo» – cinquemila aeroplani, compresi velivoli a reazione e bombardieri di medio raggio, e varie centinaia di elicotteri. Fra alcuni mesi i cantieri navali di New York e New-port consegneranno alla U.S Navy altre tre grandi portaerei: la «Ranger», la «Indipendence» e la «Kitty Hawk». Un’altra dello stesso tipo (classe Forrestal) è stata ordinata ai cantieri di New York. Queste navi, attualmente le più grandi esistenti nelle marine militari del mondo, sono lunghe 315 metri, dispongono ognuna di 100 aeroplani, possono raggiungere la velocità di 35 nodi ed hanno a bordo 3360 uomini di equipaggio e 466 ufficiali. Quanto è costata la «Forrestal»? Duecentodiciotto milioni di dollari, pari a centotrenta miliardi e ottocento milioni di lire. Queste unità saranno superate in dimensioni e caratteristiche dalla superportaerei della classe CVAN (Nuclear Attack Aircraft Carriers) che dislocherà 85 mila tonnellate (dinanzi alle 60 mila delle «Forrestal») avrà un ponte di volo lungo circa 400 metri, e, azionata da otto turbine ad energia atomica, raggiungerà una velocità e un’autonomia finora mai conosciute da alcuna potenza navale. Per finire, le superportaerei della classe CVAN saranno dotate di missili radiocomandati. E figurarsi che cosa tenderà a divenire questa macchina di dominazione e di guerra – col po’ po’ di bilancio per la difesa annunziato da Ike –, ora che gli USA non solo promettono aiuti economici al Medio Oriente, il quale prima o poi dovrà accettarli, ma cortesemente si offre di difenderli caso mai chiedessero (richiesta su comando) il loro benevolo aiuto militare!

La storia non ha mai visto una potenza così spaventosa, permanentemente in agguato nei mari. L’imperialismo delle portaerei è l’ultima tremenda risorsa della dominazione di classe che non intende perire. Con esso la rivoluzione proletaria dovrà combattere la battaglia decisiva. Assumono così una chiarezza folgorante le tesi leniniste sulla rivoluzione mondiale, e cadono miseramente le traditrici pseudo-dottrine delle «vie nazionali al socialismo». La borghesia non si può abbattere nazione per nazione, Stato per Stato, ma solo attraverso la rivoluzione dei continenti e l’abbraccio insurrezionale dei proletariati al di sopra delle frontiere.

Quale garanzia di durata avrebbe uno Stato rivoluzionario del proletariato sorto in una parte qualsiasi del mondo, ove l’imperialismo americano fosse in grado di maneggiare dagli oceani le sue spaventose armi di distruzione? Per schiacciare la potenza repressiva del capitale occorrerà che il proletariato si rivolti in armi alla scala mondiale contro la classe dominante. Esiste allora una sola «via» al socialismo: quella internazionale ed internazionalista.

L’imperialismo americano, con le sue cento portaerei, non monta la guardia soltanto alla propria sicurezza nazionale. Esso monta la guardia al privilegio capitalista in ogni parte del mondo, dovunque il proletariato rappresenti una minaccia alla conservazione borghese. Perché mai, di fronte alla classe nemica che unifica la sua difesa, il proletariato dovrebbe frazionare le proprie forze nell’ambito delle varie nazioni? La superba flotta navale americana, che oggi terrorizza il mondo, diventerà un ammasso di ferrivecchi se il vulcano della Rivoluzione riprenderà ad eruttare. Ma bisognerà che l’incendio si appicchi alle nazioni e ai continenti: all’Europa, all’Asia, all’Africa, ma soprattutto all’America. Vedremo allora che cosa diventa una superportaerei atomica quando l’equipaggio innalza la bandiera rossa.

Non ci nascondiamo affatto che occorrerà attendere non poco per vederlo. Ma siamo certi che non si riuscirebbe a vederlo né presto né tardi se le avanguardie del proletariato non acquisissero un’esatta nozione dell’imperialismo capitalista.

(“il programma comunista” n. 2/1957)