droga, nucleo comunista internazionalista
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Cosa ne pensiamo della droga

In concomitanza con l’ennesimo show pannelliano in materia di antiproibizionismo (come al solito a costi zero ed alti ricavi per il "leader" radicale), ci è stato posto il quesito: ma voi come la pensate in materia?

Domanda legittima e che è bene ci sia stata sollecitata.

Riprenderemo la questione più in profondità, ma ci teniamo a dare subito alcune risposte.

E’ evidente che di fronte al dramma di massa dei drogati noi non possiamo, innanzitutto, assumere una posizione di moralistica condanna, per quanto sia ancor più evidente che siamo programmaticamente e per principio contro tutte le droghe (dall’eroina all’"oppio dei popoli" religioso, dallo stesso "innocuo" hascish all’ingurgitamento irriflesso delle balle giornalistiche etc. etc.). Non condanniamo il giovane che se ne è fatto incastrare perché conosciamo bene le determinazioni sociali che a ciò lo hanno spinto ed è proprio queste ultime che vogliamo aggredire, e non la loro vittima. D’accordo, perciò, su una "politica di recupero" (anche se sappiamo benissimo che questa società uno su cento ne "recupera" – di norma ridotto ad oggetto "disintossicato" dalla sostanza, ma ancor più intossicato ideologicamente dei veleni della presente società-), ma solo come negazione del diritto di punire da parte di chi concretamente ha istigato al delitto (contro sé stesso, contro il principio di umanità – per definizione non drogata-) e come tassello di una generale battaglia contro questa ed ogni altra forma d’intossicazione borghese.

Ma il problema fondamentale è: come si esce dall’incubo della droga (meglio: come si può evitare di entrarci)? Ed è su questo punto che l’"antiproibizionismo" (oramai "trasversale" a tutte le forze politiche, come ogni altra cosa in Italia) mostra il suo volto osceno. Si dice: "liberalizziamo" (a cominciare dalle droghe leggere) e sarà infine recisa la piovra dell’affarismo dei commercianti di morte assieme alle conseguenze che esso induce sul tessuto sociale (cioè sul "popolo" delle persone "per bene", "non drogate", vittime dei derelitti alla ricerca dei soldi per la dose). Perfetto: si vuole, ad un tempo, il "diritto" di buco ed il "diritto" dei "sani" a non esserne disturbati. Orbene, ammesso e non concesso che la cosa potesse funzionare, con lo Stato garante dell’"antispeculazione", avremmo una situazione normalizzata di proliferazione di zombies dediti alla droga e di altri zombies "sani" finalmente convinti a lasciar andare così le cose perché "tanto, noi non ne siamo disturbati".

Per noi, invece, ciò a cui miriamo è esattamente la liberazione da questo duplice circolo vizioso, e questo si può fare solo cominciando, per intanto (in assenza di concreti e ponderali coefficienti di azione), a vedere la sostanza del problema. Il "disagio giovanile" non cade dal cielo, così come non cade dal cielo il suo ripiegamento sulla droga. Esso consegue a ben precise cause sociali, la prima delle quali è la crescente disgregazione di un tessuto collettivo nella società, ed in particolare negli strati cosidetti "più deboli", cioè: più oppressi. Questa causa si riconnette materialmente all’essere della società borghese nella sua fase di putrescenza, ma non è "di per sé" fatale. Ben al contrario, ad essa risponderebbe con efficacia un movimento di classe che sapesse parlare "per sé", farsi carico dei propri compiti storici. E’ proprio la presente latitanza del movimento operaio da questi compiti a far sì che si aprano liberamente le brecce della droga. Col ripiegamento dal programma rivoluzionario di classe sono via via venute meno le mille "occasioni" di socializzazione militante che il movimento operaio si era dato in passato: dalle vive sezioni di partito alle "università popolari" sino ai circoli ricreativi e sportivi (che non costituivano delle "controistituzioni" a fianco di quelle borghesi, ma degli organismi di lotta antagoniste ad esse).

Fintantoché questo tessuto non sarà rimesso in campo (questione non "tecnica", ma di reorientamento programmatico in primo luogo), la deriva della droga continuerà indisturbata e crescerà su di essa l’affarismo di stato (e di privati, of course), assieme a tutto il gioco di "controllo sociale" che da esso ne consegue per moralisti, magistrati, poliziotti etc. etc.

Nell’"opera di recupero" dei drogati c’è un elemento indicativo di quanto andiamo dicendo. Il "recupero" può avvenire solo in quanto parte da un ambito comunitario. Noi sappiamo, ovviamente, che si tratta qui di un "comunitarismo" deviato, che porta a "recuperi" illusori (come quando, ad esempio, si esce dalla dipendenza dall’eroina e si entra nella dipendenza dal guru di turno e da tutte le "buone regole di vita" borghesi grazie ad una lobotomizzante "normalizzazione" dell’"individuo recuperato"). Nondimeno, ciò sta ad indicare il carattere sociale, non individuale del problema e delle sue soluzioni, e per questo noi chiamiamo il movimento operaio, e non i Muccioli ed immancabili don (o gli ancor più disgustosi Pannella), a fare la sua parte.

Come si vede, non siamo di quelli che si limitano a dire che "solo il socialismo risolverà definitivamente il problema della droga" restando, intanto, a guardare; ma non siamo neppure di quelli che, stolidamente, si limitano a sognare rappezzamenti dell’ordine di cose presente che risolvano il problema.

Pannella e chi lo segue perseguono un disegno di drogatura permanente sui due fronti, dei drogati e drogandi (che vanno ad arruolare) e degli "indenni", entrambi da sottomettere al controllo di questo regime, di questo stato. Il nostro obiettivo è... un tantino diverso. Perciò stiamo a fianco di tutte le iniziative che si muovano contro la droga andando ad attaccare i sancta sanctorum della società presente (dallo spaccio "illegale" – largamente protetto dagli organi dello stato – al complementare "recupero" messo in atto dagli stessi organi), di tutte le iniziative che comincino, perlomeno, a porsi il problema di una lotta per la socialità (termine non equivalente alla richiesta di "spazi sociali" – spesso specularmente... asociali  –, ma che senz’altro di veri spazi sociali ha bisogno, e noi abbiam già detto quali sono per noi).

Troppo "astratto"? Ma ogni altra "concretezza" non porta, come si vede e si vedrà, che ad incancrenire il male cui si vorrebbe "realisticamente" reagire. E’ la lotta di classe, è il programma del socialismo che cancellano il bisogno della droga negandolo col bisogno di emancipazione. Partiamo da qui e cominceremo sul serio a fare qualche passo in avanti.

(Che fare N. 36, ottobre – novembre 1995)