nucleo comunista internazionalista
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LA NOSTRA MEMORIA: ANNI 1936-8
BREVE RASSEGNA DELLE “PROVE DI DIALOGO” DESTRA-SINISTRA
SUL COMUNE TERRENO DELLA CONTRORIVOLUZIONE
E SULLA PELLE DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE

CHI E’ IL VERO PATRIOTA? CHI E’ IL MIGLIOR “SERVITORE DEL POPOLO”, DELLA NAZIONE CIOE’ DEL CAPITALISMO ITALIANO?

Nell’estate del 1936 lo stalinismo italiano lanciò l’appello “Per la salvezza dell’Italia. Riconciliazione del popolo italiano!” (Stato Operaio n. 8 agosto 1936) “Agli operai e ai contadini … agli artigiani, ai piccoli industriali e ai piccoli esercenti …” rivolto appunto a tutto il popolo, ben compresi i giovani fascisti e quelli della vecchia guardia. A tutti quanti ci si appellava su questa base: “NOI COMUNISTI FACCIAMO NOSTRO IL PROGRAMMA FASCISTA DEL 1919, CHE E’ UN PROGRAMMA DI PACE, DI LIBERTA’, DI DIFESA DEGLI INTERESSI DEI LAVORATORI”. Esso si concludeva con queste parole: “QUESTO E’ L’APPELLO CHE VI RIVOLGE IL P.C. d’ITALIA, IL PARTITO CHE LOTTA PER FARE L’ITALIA FORTE, LIBERA E FELICE”.

Si ricordi che proprio in quel 1936 erano scoppiati in Spagna una serie di moti e insurrezioni del proletariato spagnolo che solo nel 1939, alla vigilia della guerra, fu annientato grazie all’azione combinata di tutte le forze della controrivoluzione borghese: fascismo-democrazia-stalinismo. Pubblichiamo qui, in calce alle riproduzioni di alcuni pezzi e titoli eloquenti dell’Unità del 1936 e 1938, un “ricordo” di quella tragedia di Spagna ed in particolare di uno dei protagonisti da parte stalinista, uno di quelli per cui sbavava l’estrema sinistra dell’epoca.

Per i comunisti autentici è naturalmente sempre giusto e necessario prospettare un’azione fronte-unitaria verso la massa proletaria anche e perfino quando essa è provvisoriamente posizionata sotto le insegne e le organizzazioni del fascismo. Si tratta evidentemente di intendere su che base, sulla base di quali programmi ci si rivolge ad essa.

Lo stalinismo si proponeva e si appellava al popolo non sulla base del programma e dei principi del comunismo ma al contrario su quelli fascisti del 1919! I proletari, il popolo in generale compresi quadri e caporioni del regime, non erano chiamati a venire sul terreno dei comunisti bensì su quello “sociale” e nazionale del primo fascismo che Mussolini e i vertici del regime avevano tradito. Mussolini e i suoi gerarchi andavano combattuti in quanto traditori di sé stessi, versione 1919! In quanto traditori del popolo, traditori della Patria cioè traditori degli ideali e dei programmi del “vero fascismo”!

13 giugno 2018







da "Programma Comunista" n. 18/1973


I «CANI SANGUINARI» E LE LORO PULCI

«...Di questo ingrassa il porco sant’Antonio, / ed altri assai che son peggio che porci, / pagando di moneta senza conio»

(Dante, Paradiso, XXIX 124-126)


Non contenti dei manifesti, con cui hanno tappezzato i muri milanesi, plaudenti al “Festival nazionale de l’Unità”; non soddisfatti dall’aver inserito nel loro giornale il foglio radicale Liberazione (vecchi amori libertarî che non si scordan più), gli spontaneisti di Lotta Continua (L.C.) hanno ampiamente approfittato degli eventi cileni per ribadire il loro atteggiamento «disponibile», eclettico e «manovriero», ed in particolare per riaffermare la solidarietà codista con le più o meno fantomatiche “forze sane” o con la mitica “base operaia” del P.C.I. – come già ampiamente mostrato in occasione delle onoranze funebri di Pietro Secchia. A tal uopo, sono andati a disseppellite un tomahawk antifascista vecchio ma sempre di effetto: la leggenda delle Brigate Internazionali, dell’antifascismo “proletario”, di ciò che fu indubbiamente – e per la sventura del proletariato spagnolo — una “prova generale della Resistenza” (“oggi in Spagna domani in Italia”, secondo lo slogan ... iettatorio di Rosselli).

Che le “brigate internazionali” abbiano costituito una trappola mortale per moltissimi “oppositori” o semplici “dissidenti” dallo stalinismo; che degli stessi dirigenti stalinisti di queste formazioni un buon numero abbia figurato sui banchi degli imputati nei processi ungheresi, cecoslovacchi ecc. del secondo dopoguerra (in mancanza di bolscevichi, gli stalinisti si accontentarono di trucidare semplici “stalinisti più o meno critici”) – tutto ciò non importa a L.C., che si attiene, per le informazioni sulle “brigate internazionali” (di cui ipotizza la ripetizione per il Cile) ad una fonte di prima mano. Di che si tratti, lo spiega un trafiletto del numero del 15-IX di Lotta Continua, a proposito de “La mobilitazione in Italia” per il Cile:

«Anche a Trieste 2.000 compagni hanno partecipato alla manifestazione promossa dal comitato unitario antifascista (PCI, PSI, ecc.); la partecipazione di Lotta Continua ha raccolto gli applausi dei compagni, il compagno Vidali del PCI ha tenuto il comizio finale. Nel suo discorso Vidali ha ricordato una frase del “Che”: “come sia necessario usare la ragione e la forza”, usandola in polemica con il PC cileno e con Allende “che usavano la ragione e non la forza”, purtroppo il PC italiano non usa né la ragione né la forza!»

L.C. chiama “compagno” e presenta favorevolmente – quale sostenitore di una linea dura – uno dei più luridi arnesi della controrivoluzione, uno dei boia più servili dello stalinismo (questa “sifilide del movimento operaio”, da cui potrà essere ormai estirpata solo col ferro e col fuoco). Vittorio Vidali, conosciuto in Spagna con il nome di Carlos Contreras, è stato uno dei più importanti agenti della N.K.V.D. (polizia politica staliniana) all’estero. Noto per l’organizzazione del Quinto Regimiento, formazione caratterizzata dal più stretto lealismo al governo repubblicano borghese, * il suo compito essenziale in Spagna fu di collaborare (perlomeno) all’eliminazione dei focolai anche solo potenzialmente rivoluzionari. E’ accertato il suo diretto intervento nell’assassinio di Andrés Nin, il noto dirigente del P.O.U.M., e giù capo della “opposizione di sinistra” spagnola – uno dei fondatori del P.C. di Spagna ed ex-segretario della “Internazionale Sindacale Rossa”. Vidali del resto è stato fortemente indiziato di aver provveduto, prima della guerra di Spagna, quando trovavasi in Russia quale funzionario del “Soccorso Rosso”, all’eliminazione di oppositori di sinistra anche italiani.

E’ estremamente significativo che questo killer stalinista, dopo la pietosa conclusione della vicenda spagnola, si sia trasferito in Messico (donde il suo altro soprannome di “jaguar de México”); molto improbabile che sia andato a studiare le... antichità azteche. Si preparava in quegli anni, proprio in Messico, il capolavoro della N.K.V.D.: l’assassinio di Leone Trotzky (20 agosto 1940), e dato il ruolo rivestito da “Carlos”, non è illegittimo ritenere che anche a quest’ulteriore infamia di Caino-Dzugashvili abbia dato la sua zelante cooperazione. Se Ramón Mercader è stato il sicario, esperto e puntuale, se elementi come D.A. Siqueiros hanno osato vantarsi di aver collaborato, il piano è stato ordito da agenti di ordine superiore, esattamente dello stesso rango di Vidali – che, ripetiamo, si trovava sul posto.

Aggiungiamo che la G.P.U.-N.K.V.D. staliniana stava alla CEKA bolscevica come il “partito” (ed il Comintern) di Stalin a quello di Lenin. Due almeno delle più belle figure di rivoluzionari massacrati dallo stalinismo appartenevano alla polizia politica: Jakov Blumkin, funzionario del dipartimento estero della G.P.U., il primo oppositore di sinistra fatto fucilare dagli stalinisti (1929), ed Ighnàt Reiss, capo di una rete del servizio segreto in Europa, che nel 1937, a seguito dei Processi di Mosca, ruppe con lo stalinismo e aderì all’opposizione trotzkista – per essere assassinato dalla GPU stessa un mese e mezzo più tardi. Sul cadavere dei vecchi cekisti bolscevichi troneggiavano così i Vidali ed i Mercader.

I mandanti di costoro sono stati e sono i Noske contemporanei, i “cani sanguinari” dell’imperialismo. Tra essi merita menzione d’onore Palmiro Togliatti (Ercole Ercoli), delegato del cosiddetto Comintern stalinizzato per gli affari spagnoli (un altro bel tipo di “umanista” ad uso della borghesia, e di mastino idrofobo nei confronti dei rappresentanti del proletariato rivoluzionario).

In realtà, quando un Vidali cita Guevara, lo fa in pessima fede. Si è visto come lo stalinismo intendesse usare la forza, o meglio contro chi. In Spagna, come prima in Cina, in Germania ecc., e come poi nei confronti degli stessi movimenti democratici titino, maoista e greco di Markos, lo stalinismo si è dimostrato il più solido baluardo dello status quo.

La politica che I. Deutscher chiama di “autocontenimento”, e che è poi la famosa “coesistenza pacifica” strettamente connessa al “socialismo in un solo paese”, mentre trasformava, come disse Trotzky, i partiti comunisti da “avanguardie della rivoluzione mondiale” in guardie di frontiera pacifiste dell’U.R.SS. («Il Comintern non riuscirà a compiere una rivoluzione nemmeno in 90 anni» asserì allegramente Stalin ad una riunione del Politburo) – si manifestava chiaramente come la “organizzazione delle sconfitte”. I “becchini della rivoluzione” stalinisti hanno accettato, ricercato ed organizzato appunto la sconfitta, ed anche il massacro dei loro seguaci, pur di non correre rischi rivoluzionari e di non entrare in conflitto con l’imperialismo nel suo insieme. Hanno cosi venduto al ribasso, con l’organizzazione autonoma, mondiale e locale, del proletariato in partito politico rivoluzionario, non solo la rivoluzione socialista nelle aree avanzate, ma sia la rivoluzione democratica conseguente (e in tanti casi la rivoluzione democratica tout court) nei paesi precapitalistici. E dove rivoluzioni borghesi (certo non “conseguenti” alla russa e neanche alla francese) si sono prodotte, dalla immensa Cina alla minuscola Cuba, è stato a dispetto dello stalinismo (ancora nel 1948 Stalin pretendeva che i partigiani di Mao venissero incorporati nelle truppe di Ciang Kai-Shek, e gli stalinisti cubani sostennero addirittura Batista). Ponendo il proletariato a rimorchio della borghesia (anche dov’essa era talmente esangue da non essere in grado di svolgere i suoi stessi compiti capitalistici elementari liquidando l’ancien régime) lo stalinismo ha riservato l’impiego della forza in senso esclusivamente controrivoluzionario – sia contro il giacobinismo proletario, sia contro il giacobinismo borghese del movimenti nazional-rivoluzionari: infatti, è arrivato a sostenere più volte governi borghesi imperialisti contro movimenti democratici rivoluzionari (così lo stalinista Tillon bombardatore della popolazione di Sétif in Algeria, ed ora beniamino degli equivalenti francesi di L.C., “trotzkisti” degeneri compresi).

Nel Cile la funzione dello stalinismo non è stata diversa da quella svolta internazionalmente: si è legato il proletariato al carro di una borghesia e piccola-borghesia democratica rachitica, più timorosa (come gli staliniani stessi) di una mobilitazione delle masse sfruttate agricole ed urbane, e del cozzo con l’imperialismo, di quanto non intendesse attuare il suo stesso programma che senza tale mobilitazione e tale scontro non poteva che rimanere – come è difatti rimasto – lettera morta.

Si è fatta la tradizionale politica menscevica: si è fatto del proletariato il coolie di una borghesia impotente, che, caso mai, avrebbe potuto fare qualcosa di serio solo se spinta avanti, a pedate, dalle masse lavoratrici armate ed organizzate indipendentemente.

Questo, Vidali lo chiama “usare la ragione”; e non sbaglia, perché è appunto questa la “ragione” stalinista. Ma la forza stalinista non si è mai applicata che a sostenere questa ragione. Anche ammettendo che “el jaguar de México” critichi tutti i partiti stalinisti sudamericani (quello venezolano, per esempio, ha ripetutamente tradito la stessa causa democratica capitolando di fronte ad una legalità inesistente ed a governi-fantoccio di agrari ed emissari della CIA), e che si dissoci dalla linea del PCI – non è men vero che in Spagna, paese in cui, ben diversamente che nel Cile si era avuto un imponente movimento del proletariato, che aveva configurato una situazione pre-rivoluzionaria, lui ed i suoi padroni hanno impiegato tutte le armi, dal mitra agli strumenti di tortura, per estinguere ogni scintilla, sia pur debole, di movimento operaio, per soffocare ogni voce, anche confusa, che si rifacesse all’Ottobre bolscevico – anche a costo di subire una vergognosa sconfitta militare. Per attuare questa manovra in Spagna ci volle la forza – lo sterminio dei militanti di avanguardia: nella situazione cilena, tanto più arretrata localmente e dopo un altro trentennio e passa di contro-rivoluzione imperante, non ce n’è stato bisogno. Il proletariato è stato consegnato al macellaio senza neanche legargli le mani – infatti era già stato abbondantemente drogato in precedenza, e se comincia oggi ad accorgersi di che cosa gli è successo, è evidentemente troppo tardi.

Il “nuovo corso” sinistreggiante di Vidali & C. può “ingannare” solo gli “amici del giaguaro” come L.C. E’ del resto noto che quando gli spontaneisti concepiscono l’organizzazione, 1a vedono (diversamente non sarebbero spontaneisti) come adattamento codista al “popolo”, alle “masse”, quindi come organizzazione socialdemocratica o staliniana. Col suo atteggiamento, L.C. dimostra – e non è certo una novità – lo stretto legame tra antibolscevismo tipo “malattia infantile” e tipo “involuzione senile”, tra “estremismo” e “destrismo”, ambedue manifestazioni della stessa impostazione immediatistica; cfr. Che fare? di Lenin, II, d, «Che cosa hanno in comune l’economismo ed il terrorismo [individuale]?»:

«In generale, tra gli “economisti” e i terroristi c’è un legame non fortuito, bensì necessario, intrinseco (...). Gli “economisti” e i terroristi attuali hanno una radice comune: il culto della spontaneità (...). A prima vista, la nostra affermazione può sembrare un paradosso, tanto grande appare la differenza tra chi esalta la “grigia lotta quotidiana” e chi chiama alla lotta più eroica, svolta da singoli individui. Ma non è un paradosso. “Economisti” e terroristi venerano gli opposti poli della corrente spontanea: gli “economisti” la spontaneità del “movimento puramente operaio”, i terroristi la spontaneità dello sdegno più appassionato degli intellettuali che non sanno collegare il lavoro rivoluzionario e il movimento operaio in un tutto, o non ne hanno la possibilità».

Questa gente che si inginocchia e prega dinanzi alla spontaneità e contempla devotamente il “didietro” del proletariato naturalmente finisce per cadere in estasi di fronte al “partito operaio borghese” che aderisce direttamente al movimento immediato, ed esprime quindi la politica (tradeunionista) ed ideologia borghese che in esso appunto spontaneamente prevale. Potrà dissentire “tatticamente” (come i populisti dissentivano dagli “economisti”), ma non sarà mai in grado di superarlo. Ed infatti quando L.C. giuocava all’antistalinismo biascicava luoghi comuni anarco-democratici altrettanto anticomunisti quanto lo stalinismo stesso, di cui oggi mena vanto, giungendo (a proposito di deretani) a praticare anilinctus sulla persona di un Vidali. Se “il PCI lecca il culo alla DC”, L.C. in questo campo non si dimostra neanch’essa molto schizzinosa.

Cui prodest? a chi giova? chi viene coperto a sinistra da L.C.? chi appare come il partito dei “vecchi rivoluzionari” (mentre in realtà è il partito dei “carnefici dei vecchi rivoluzionari”)?

Nel calderone picista, cosi come al Festival de l’Unità, tutto fa brodo. Se è vero che dall’adorazione delle natiche proletarie si arriva ad incensare quelle dei Secchia e dei Vidali, non è meno evidente che per questa via ci si trova a penzolare dal vasto fondoschiena di un qualsiasi Amendola. E chi ne ingrassa è appunto il pachidermico porco (od ippopotamo) di sant’Antonio (Gramsci) – il partito nazionalstalinista, che come tale è solito cibarsi di immondizie, e ci prospera.

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* Per i tipi de La Pietra, Milano 1973, è uscito un libro di Vidali su I1 Quinto Reggimento, favorevolmente recensito da Il Comunardo n. 1, 1973, pag. 84. La rivista della sedicente “Associazione Amici della Comune di Parigi” (dagli amici mi guardi iddio...) scrive: «Nel 1870 Parigi si difese con valore, energia, audacia. Perdette. Noi ripeteremo le gesta eroiche dei comunardi di Parigi, ma con risultato diverso. Il 5° Reggimento fu fedele a questo impegno e a questa promessa. La sua esperienza rappresenta perciò ancora oggi non solo un episodio glorioso del passato ma un modello cui riferirsi per lottare con efficacia contro il fascismo e batterlo». Il che, oltretutto, è abbastanza spudorato: in Spagna è stata proprio riportata una bella “vittoria sul fascismo”... grazie alla vittoria di Carlos Contreras e colleghi sulle vipere trotzkiste!